Il matrimonio di Lorna |
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Un film di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne.
Con Jérémie Renier, Arta Dobroshi, Fabrizio Rongione, Alban Ukaj, Morgan Marinne.
continua»
Titolo originale Le silence de Lorna.
Drammatico,
durata 105 min.
- Belgio, Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania 2008.
- Lucky Red
uscita venerdì 19 settembre 2008.
MYMONETRO
Il matrimonio di Lorna
valutazione media:
3,43
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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La forza di rinasceredi Guidobaldo Maria RiccardelliFeedback: 6918 | altri commenti e recensioni di Guidobaldo Maria Riccardelli |
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domenica 1 maggio 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Inserita in un contesto spietato e venale, la giovane Lorna affronterà un percorso di maturazione e consapevolezza, all'insegna di una (ri)presa della propria dignità. Vivido ed in più parti sferzante e spiazzante, questo "Le silence de Lorna" dirige l'obiettivo verso una realtà eticamente povera e disagiata, costretta a rendere tutto passabile di mercimonio, a mettere in gioco la stessa esistenza per generarne una possibilmente migliore, ponendosi al soldo di personaggi senza pietà alcuna. Pare comunque scorgersi una luce di speranza, per coloro i quali sappiano spezzare le catene con le quali sono imprigionati, a frantumare quel muro di omertà alto e stabile, ma potenzialmente scavalcabile. La nostra Lorna rappresenta uno di questi esempi: in principio integrata, fatalmente fredda, concentrata anima e corpo nella missione assegnatale, con il tempo non può fare a meno di respingere la caritatevole anima femminile che in lei alberga, pur non avendo le possibilità di cambiare un piano già studiato ed attuato; nonostante ciò, si dimostra in grado di non dimenticare, di saper attribuire il reale valore ad una vita, di uscire, pur con conseguenze ovvie, da questo squallido circolo vizioso. La narrazione è convinta e scorrevole, e, come detto, sa ingannare lo spettatore (paradigmatica la scena dell'acquisto degli abiti) immergendolo in uno scenario drammatico, fortemente empatizzante, grigio e sgualcito, dal rumore confuso e meccanico. Il percorso emozionale, la "digestione" degli avvenimenti, è, come logico che sia, graduale, ma crescente, puntellato dai rarissimi sorrisi della brava Arta Dobroshi, prima lontana e distaccata, cieca di fronte alla sofferenza altrui, ma via via irrimediamilbente scalfita, capace addirittura di esplosioni di tenerezza commoventi (splendida la corsa verso al marito in sella alla bicicletta), placate sì dagli eventi, ma non smorzate, bisognose però di un "qualcosa" verso cui liberarsi, una nuova (vecchia?) vita che si (ri)genera, un sentimeno per l'altro che si disvela, un ricordo volutamente tenuto in vita, un doppio di chi non avrebbe a quel punto voluto veder scomparire. Nell'egoismo diffuso del crogiolo di individui dai quali è circondata, scorge in quell'idea l'unico referente affidabile, l'unico degno di poter trasformare il delicato monologo finale in un consolatorio dialogo pieno di vita.
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