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Penny Panayotopoulou mette in scena un'opera di profonda sofferenza esistenziale, dove la tribolazione è pienamente tangibile nelle cose, nei movimenti, ancor prima che nelle situazioni.
Diretto con estrema competenza e con mano delicata, questo September si snoda in un crescendo di dinamiche ambigue, ambivalenti, dove è costantemente messo sotto l'obiettivo il rapporto tra solidarietà e distanza, nel quale il movimento tra prossimità e lontananza diviene il tema prevalente: le ragioni dell'altruismo, genuinamente femminile, vanno a cozzare con gli omnicomprensivi legami familiari, meritevoli di attenzione e tatto, in un' "economia di emozioni" ben presto poco sostenibile.
Pregevoli le interpretazioni: Kora Karvouni e Maria Skoula entrano alla perfezione negli sfaccettati personaggi, restituendoci istantanee piene di realtà.
Ritroviamo poi un topos caro al cinema greco moderno, il luogo vacanziero fuori stagione (vedi, su tutti, il capolavoro Kinetta, di Giorgos Lanthimos): splendida metafora portatrice di svariate sensazioni, accomunate dal senso di vuoto, di desolazione, di una difficoltà nel seguire un flusso che sfugge tra le mani, restituendoci una malinconia difficile da svestire, ma che, allo stesso momento, può rendersi necessaria alla riflessione, ad un confronto con se stessi, specchio virtuale ma pienamente vivo.
Importante, toccante e doloroso, conferma ancora una volta l'estrema ispirazione di questa generazione di cineasti ellenici.
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