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Muovendosi abilmente tra noir e drammatico, con spruzzate isolate di commedia nera, Filippos Tsitos costruisce un'opera freddamente profonda ed importante, proponendo una visione certamente poco conciliatoria delle dinamiche relazionali moderne.
Sullo sfondo di un'Atene ridotta a mero scenario scenico, sapientemente fotografata cogliendone odori e sfumature, i nostri si muovono con cosciente rassegnazione in attesa degli eventi, somigliando in più parti a semplici pupi mossi a distanza da un cordone invisibile.
Personaggi assolutamente comuni, ma certamente non banali: pur ignorandone il passato, si propone una loro costruzione solida e precisa, volutamente scevra da aspetti pratici, focalizzata in toto su di quella fondamentale rappresentazione intima che mai dovrebbe mancare in lungometraggi di questo tipo; di fatto, pur venendo a mancare una contestualizzazione precisa della loro situazione, ci vengono mostrati nei loro tratti tipici, nei loro segni distintivi, in ciò che possa servire a formulare un'opinione informata sulle loro azioni.
Senza ricorrere a scorciatoie di facile lettura, in più frangenti l'opera si fa struggente, toccante, gelida nel restituire un rapportarsi privato di quella componente passionale e disinteressata.
Snodandosi tra buste, cartelle, capricci e violenze più o meno esplicite, Tsitos mette in scena un finale dal grande valore espressivo, basandosi concretamente su di quella meravigliosa rappresentazione stilizzata, il manufatto del nostro Sotiris, ben più reale ed umana della realtà stessa.
Cast in ottimo spolvero, dove un Antonis Kafetzopoulos solidamente in parte emerge su tutti.
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