gfloriano
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venerdì 11 luglio 2008
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la storia di un'amicizia profonda
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Regia: Marc Foster
Con: Khalid Abdalla, Atossa Leoni, Shaun Toub, Homayoun Ershadi
Trama: nell’Afganistan di fine anni settanta, la vita segue antichi rituali, non disdegnando la modernità, le tradizioni sono profondamente radicate, mentre comunisti e talebani sono entità ancora embrionali. Hassan e Amir sono amici per la pelle con una gran passione per gli aquiloni. Proprio nel momento più bello, la gara annuale di aquiloni a Kabul, la violenza entra nella vita dei due amici in modo brutale spezzando la magia e l’innocenza dell’infanzia. Da quel momento nulla è più come prima, da lì ad un anno inizia l’invasione sovietica, i ragazzi si separano seguendo due percorsi diversissimi fino a…….
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Regia: Marc Foster
Con: Khalid Abdalla, Atossa Leoni, Shaun Toub, Homayoun Ershadi
Trama: nell’Afganistan di fine anni settanta, la vita segue antichi rituali, non disdegnando la modernità, le tradizioni sono profondamente radicate, mentre comunisti e talebani sono entità ancora embrionali. Hassan e Amir sono amici per la pelle con una gran passione per gli aquiloni. Proprio nel momento più bello, la gara annuale di aquiloni a Kabul, la violenza entra nella vita dei due amici in modo brutale spezzando la magia e l’innocenza dell’infanzia. Da quel momento nulla è più come prima, da lì ad un anno inizia l’invasione sovietica, i ragazzi si separano seguendo due percorsi diversissimi fino a…….vent’anni dopo, quando Amir sarà richiamato a rimediare agli errori di gioventù, tornando finalmente ad essere in pace con se stesso e riallacciando il filo spezzato dell’aquilone-vita.
Tratto dall’omonimo best seller di Khaled Hosseini, che correrò a leggere, il film è uno splendido struggente spaccato su un paese che proprio non riesce trovare pace, che fa da sfondo, entrando drammaticamente, nel rapporto di amicizia tra i due ragazzini: Amir figlio di un possidente, introverso e pacifico con la passione per gli aquiloni e per scrivere storie fantastiche ed Hassan, figlio del servo di casa Amid, gioviale, scafato ed intraprendente.
Ci sono due piani narrativi: il rapporto padre-figlio ed il rapporto di amicizia, narrati con struggente partecipazione emotiva, che tocca le corde dell’emozione fino a sfociare in ‘poetica’ narrativa , tanto che in più punti le emozioni visive mutano in commozione turbando profondamente la nostra anima.
Un film che avvince alla poltrona, trascinando lo spettatore in un paesaggio da fiaba dove la barbarie umana fa scempio di corpi ed anime.
Sconvolgente e indimenticabile…..
Da non perdere!
Trama: ****
Sceneggiatura: ***
Fotografia: *****
Colonna sonora: ****
Impressione generale: ****
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giorgio
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domenica 11 gennaio 2009
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un film emozionante
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Forse sono uno dei pochi che prima di leggere il libro ha visto il film. Sia in sala cinematografica che qualche settimana fa in DVD. Qualche giorno fa ho finito di leggere anche il libro.
Il film mi ha emozionato moltissimo. La storia veramente molto appassionante e anche coinvolgente. Gli attori, molti non professionisti, veramente bravi. Leggendo poi il libro, ho potuto constatare che alcuni episodi sono stati modificati, sicuramente per esigenze cinematografiche. Nel libro l'intera vicenda è molto più dilatata nel tempo. Logicamente le pagine scritte trasmettono ancora di più la sofferenza che già traspare nel film. Il senso di colpa di Amir è ingigantito e la sua voglia di redimersi appare in continuazione.
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Forse sono uno dei pochi che prima di leggere il libro ha visto il film. Sia in sala cinematografica che qualche settimana fa in DVD. Qualche giorno fa ho finito di leggere anche il libro.
Il film mi ha emozionato moltissimo. La storia veramente molto appassionante e anche coinvolgente. Gli attori, molti non professionisti, veramente bravi. Leggendo poi il libro, ho potuto constatare che alcuni episodi sono stati modificati, sicuramente per esigenze cinematografiche. Nel libro l'intera vicenda è molto più dilatata nel tempo. Logicamente le pagine scritte trasmettono ancora di più la sofferenza che già traspare nel film. Il senso di colpa di Amir è ingigantito e la sua voglia di redimersi appare in continuazione.
Quando Amir dice che se con il suo comportamente non avesse costretto Hassan e Alì ad andersene di casa, Baba li avrebbe portati con loro in America e tutta la storia sarebbe stata diversa. Ma anche quando ricorda le parole del padre: un uomo che non sa difendere se stesso non potrà fare nulla nella vita. Praticamente un macigno che Amir da quell'inverno del 1975 si porta appresso e non riesce a liberarsene. Neppure a confidarsi con la moglie per togliersi quel peso che porta sulla coscienza.
Vorrebbe gridare al mondo il suo pentimento, il suo errore, il suo tradimento al carissimo amico ma non ci riesce.
Il filo conduttore del film e del libro è questa sua incapacità a perdonarsi.
A me è piaciuta tantissimo la figura di Rahim Khan sempre presente al momento giusto. Per dare una carezza ad Amir che si sente solo e imcompreso dal padre, per spronarlo a scrivere e coltivare il suo sogno di scrittore, di rincuoralo quando l'atteggiamento del padre gli fa pensare che sia colpevole della morte della madre, ma anche ha fagli capire che è giunto il momento di tornare a essere buoni, che è arrivato il momento di agire.
Quando dice al padre che un figlio non è un album da colorare come meglio si crede, ma che ognuno ha la sua identità e che quando sarà grande lo renderà orgoglioso.
Poi il fatto che Rahim Khan è l'unico testimone che può confidare ad Amir il segreto che per tanti anni è rimasto nel suo cuore e in quello di Baba. E prima di morire, Amir deve sapere tutta la verità.
Per me Rahim Khan è il personaggio fondamentale di tutta la vicenda.
Quello che il film mi ha trasmesso maggiormente rispetto al libro è la Kabul anni 70. L'importanza delle immagini nei nostri giorni è determinante. Siamo abituati a ragionare secondo quello che vediamo. Perciò leggendo le pagine del libro non riuscivo ad immaginare come poteva essere la vita in Afghanistan prima dell'arrivo dei Sovietici.
Un piccolo neo negativo nel film. Era proprio necessario che in una scena il bambino Amir indossasse una maglietta Lacoste? Pubblicità occulta ?.
Comunque un film che mi rimarrà per sempre nel cuore.
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vedelia
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lunedì 12 gennaio 2009
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gli aquiloni volano dentro di noi
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Amir, figlio di un ricco imprenditore di etnia pashtun, e Hassan, suo servitore di etnia hazara, sono sin dall’infanzia amici inseparabili, uniti anche dalla passione per le gare di aquiloni. Amir nutre per l’amico un vero affetto, ma allo stesso tempo anche molta invidia poiché suo padre, il generoso e coraggioso Baba, mostra per il servitore molto affetto e benevolenza. Questo rancore lo spingerà a commettere una colpa terribile nei confronti del suo leale amico. Infatti in un vicolo di Kabul un tragico evento cambierà per sempre la vita dei due ragazzi e lascerà una profonda cicatrice nel cuore e nella mente di Amir, che neanche il passare degli anni e i futuri tremendi eventi storici che colpiranno l'Afganistan riusciranno a cancellare.
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Amir, figlio di un ricco imprenditore di etnia pashtun, e Hassan, suo servitore di etnia hazara, sono sin dall’infanzia amici inseparabili, uniti anche dalla passione per le gare di aquiloni. Amir nutre per l’amico un vero affetto, ma allo stesso tempo anche molta invidia poiché suo padre, il generoso e coraggioso Baba, mostra per il servitore molto affetto e benevolenza. Questo rancore lo spingerà a commettere una colpa terribile nei confronti del suo leale amico. Infatti in un vicolo di Kabul un tragico evento cambierà per sempre la vita dei due ragazzi e lascerà una profonda cicatrice nel cuore e nella mente di Amir, che neanche il passare degli anni e i futuri tremendi eventi storici che colpiranno l'Afganistan riusciranno a cancellare.
Costretto a lasciare il suo paese, a causa dell’invasione russa, e rifugiatosi in America col padre, Amir non riesce a superare il senso di colpa per il dolore che ha causato al suo amico. Così, molti anni dopo la fuga dalla patria, quando ormai è diventato un celebre scrittore, non appena riceve una preoccupata telefonata dal vecchio amico di famiglia Rahim Khan, che lo prega di tornare a Kabul, Amir capisce che c’è sempre “un modo per tornare ad essere buoni” e decide di tornare nella sua terra per salvare il figlio di Hassan, divenuto schiavo dei violenti militari talebani, saldando così i conti con i propri errori. Ad attenderlo a Kabul però non ci sono soltanto i fantasmi della sua coscienza bensì la scoperta che la sua terra è ormai divenuta un luogo distrutto dalla violenza, misero, sottoposto alle feroci leggi dell’estremismo islamico, dove i diritti all’uguaglianza, alla parità, alla giustizia e alla libera espressione non esistono più, dove le donne sono “invisibili”, giocare è “fuorilegge” e "gli aquiloni non volano più".
Riuscirà Amir a mostrarsi per la prima volta un vero uomo e a portare a termine la sua missione in contraccambio alla lealtà del suo amico, morto con coraggio per aver difeso la sua casa e la sua famiglia?
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peroscio perosci
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venerdì 20 maggio 2011
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aquiloni o bandiere americane?
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Recensire il film di Marc Forster non può che significare anche, o meglio, soprattutto, recensire il libro di Khaled Hosseini. Salvo, infatti, che si voglia restringere il discorso alla riuscita, o meno, dell'esercizio (scolastico-mercantile, purtroppo, d'abitudine) della traduzione su cellulosa dell'opera inspiratrice, con collazione annessa di scene, ambienti, personaggi, ed inevitabile divisione dei lettori/spettatori -o spettatori/lettori, secondo la priorità temporale- in tifoserie più o meno accanite (fino ai veri e propri ultras dell'uno o dell'altro); od ancora limitarlo alla mera disamina tecnica di fotografia, recitazione, montaggio, etc.
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Recensire il film di Marc Forster non può che significare anche, o meglio, soprattutto, recensire il libro di Khaled Hosseini. Salvo, infatti, che si voglia restringere il discorso alla riuscita, o meno, dell'esercizio (scolastico-mercantile, purtroppo, d'abitudine) della traduzione su cellulosa dell'opera inspiratrice, con collazione annessa di scene, ambienti, personaggi, ed inevitabile divisione dei lettori/spettatori -o spettatori/lettori, secondo la priorità temporale- in tifoserie più o meno accanite (fino ai veri e propri ultras dell'uno o dell'altro); od ancora limitarlo alla mera disamina tecnica di fotografia, recitazione, montaggio, etc., l'oggetto principe della valutazione non può che essere l'originale, inteso quale sorgente della storia narrata, ed ancor più del messaggio (purché un messaggio vi sia) con essa trasmesso. Ciò premesso, posso dire semplicemente che Il cacciatore di aquiloni (nella sua duplice veste: cartacea e audiovisiva) non mi è piaciuto. A parte la coloritura manieratamente esotica, ad uso e consumo dell'occidentale estatico di fronte a qualunque scena di vita non tecno-motorizzata, raffiguri essa il bazaar di Kabul o una tribù subsahariana, le cime del Tibet o l'impero azteco; a parte (ma meno!) il solito manicheismo a stelle e strisce, che non si dà pace finché non trova un antagonista certo, alla fumetto Marvel, un cattivone tutto d'un pezzo da sconfiggere per far trionfare, finalmente e -si direbbe quasi- una volta per tutte, il bene (al limite del ridicolo, a questo riguardo, l'agnitio dell'aguzzino del piccolo Hassan, divenuto nel frattempo un feroce talebano al seguito del mullah stupratore); a parte infine il buonismo rassicurante e conciliatore (e pressapochista! Alla giusta osservazione del direttore dell'orfanotrofio, ad esempio, che sottolinea come il salvare un bambino, uno solo fra i tanti, non tolga le sofferenze di tutti gli altri, nulla viene risposto e di quelli più non si parla, una volta felicemente approdati in America), il racconto mi è parso privo di grandi emozioni (se escludiamo l'atto eroico di papà Baba al momento della fuga in furgone e qualche altro episodio) e, inoltre, in più punti subdolamente (involontariamente?) partigiano, tanto da parere, nella fosca rappresentazione finale della dittatura talebana (con morti impiccati agli angoli delle strade, uomini che vendono le proprie gambe mozze, lapidazioni en plein air) quasi conseguire implicitamente, colla contrapposizione delle immagini (Inferno a Kabul, Cuccagna in America) l'effetto di un beneplacito, di una giustificazione ex post (il romanzo è uscito nel 2003) alle operazioni di "esportazione democratica" avviate in Afghanistan.
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