gianleo67
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mercoledì 10 ottobre 2012
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sei personaggi in cerca di un capo-comico
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Infingardo e cinico imprenditore di una società informatica assolda stravagante attore teatrale per recitare la parte del presidente della sua azienda, in procinto di essere ceduta all'insaputa dei sui ignari sottoposti. Le cose si complicano quando il 'grande capo' inizia a mostrare una inaspettata autonomia decisionale.
L'ideologo del 'Dogma' colpisce nel segno con questa estemporanea commedia degli equivoci dove l'assunto disimpegno del prologo viene smontato pezzo per pezzo tanto nella precisione accademica con cui costruisce il meccanismo narrativo (una recita nella recita sostenuta da un elegante artificio dialettico) quanto nella misura etica con la quale sovverte la logica (a volte solo presunta) delle relazioni umane, frutto più spesso dell'arbitrio e dell'imponderabile che di un consolidato sistema di valori (la venerazione per un misconosciuto autore teatrale diventa l'ago della bilancia da cui far pendere l'esito di decisioni cruciali).
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Infingardo e cinico imprenditore di una società informatica assolda stravagante attore teatrale per recitare la parte del presidente della sua azienda, in procinto di essere ceduta all'insaputa dei sui ignari sottoposti. Le cose si complicano quando il 'grande capo' inizia a mostrare una inaspettata autonomia decisionale.
L'ideologo del 'Dogma' colpisce nel segno con questa estemporanea commedia degli equivoci dove l'assunto disimpegno del prologo viene smontato pezzo per pezzo tanto nella precisione accademica con cui costruisce il meccanismo narrativo (una recita nella recita sostenuta da un elegante artificio dialettico) quanto nella misura etica con la quale sovverte la logica (a volte solo presunta) delle relazioni umane, frutto più spesso dell'arbitrio e dell'imponderabile che di un consolidato sistema di valori (la venerazione per un misconosciuto autore teatrale diventa l'ago della bilancia da cui far pendere l'esito di decisioni cruciali).
Sebbene possa apparire come un espediente non troppo originale, il ricorso alla astrusa vaghezza terminologica come generatore di una esilarante ambiguità semantica perviene ad esiti di sicura efficacia nel definire le relazioni tra soggetti che partono da posizioni pregiudiziali e che, come i burattini di un prestabilito gioco delle parti, sembrano non possedere alcuna autonomia decisionale. Questo effetto di 'induzione alla recitazione' viene ancor più accentuato dall'esplicitarsi del ruolo demiurgico di un autore che attraverso le decisive incursioni della 'voice-over' detta programmaticamente le linee generali del processo creativo, introducendo i personaggi e sviluppando le situazioni verso uno sconcertante ed imprevedibile finale. Proprio mentre l'epilogo sembra indirizzarsi verso lo scontato clichè del cinema di genere, l'autore decide di esercitare il suo diritto di prelazione sulla storia ('il diritto,a differenza dell'arte, è una cosa concreta e precisa') esibendo l'efficacia di una procura inesplicabilmente scritta a suo favore sin dall'inizio e assumendo su di sè quella responsabilità così strenuamente rifuggita dai suoi personaggi in cerca di autore. Pirandelliano.
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dave san
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giovedì 21 novembre 2013
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da teatro-cinema a cinema-teatro
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Il fantomatico amministratore di un’azienda in cessione ingaggia un attore che finga di essere il capo, concretandosi ai dipendenti. La simulazione sembra efficace, all’inizio. La situazione non tarderà a precipitare. In Dogville Lars Von Trier non utilizza ambientazioni realistiche, ma le evoca. La scenografia è sostanzialmente astratta. Il Grande Capo fa il contrario. La tecnica di regia èsempre personale e l’intreccio si svolge in location vere e proprie. L’interazione tra i personaggi ricorda alcune dinamiche da luogo di lavoro, deformate nell’iperbolica caricatura Fantozziana (icona italica). Diversamente dal Nostro, questa storia e il suo stile generano un comico senz'altro più realistico, misurato e sottile.
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Il fantomatico amministratore di un’azienda in cessione ingaggia un attore che finga di essere il capo, concretandosi ai dipendenti. La simulazione sembra efficace, all’inizio. La situazione non tarderà a precipitare. In Dogville Lars Von Trier non utilizza ambientazioni realistiche, ma le evoca. La scenografia è sostanzialmente astratta. Il Grande Capo fa il contrario. La tecnica di regia èsempre personale e l’intreccio si svolge in location vere e proprie. L’interazione tra i personaggi ricorda alcune dinamiche da luogo di lavoro, deformate nell’iperbolica caricatura Fantozziana (icona italica). Diversamente dal Nostro, questa storia e il suo stile generano un comico senz'altro più realistico, misurato e sottile. Si tratta di una commedia satirica sul presente. Il film è del 2006. Come tutte le vicende rappresentate da registi complessi, il film è al servizio di una tesi affermativa e premonitrice: i giochi di potere finanziario, i passaggi di mano inguantati e poco trasparenti, piccoli e grandi mostri generati dalle circostanze. Il pubblico può cogliere il messaggio e scomporlo in responsabili e vittime di riferimento; potrà condividere, gradire, oppure no. Si tratta senz'altro di una commedia intellettuale, non soltanto di mero intrattenimento. Eppure la pellicola è godibile e relativamente leggera.
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travis
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martedì 23 gennaio 2007
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“questione di stile”
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Qualcuno potrebbe definirlo un esercizio di stile, “Quanto sono capace di realizzare un film di puro intrattenimento, abbandonando il tono pedante dei miei precedenti film”; in realtà si potrebbe definire più una sperimentazione. Rigorosamente fedele ai principi cardine del DOGMA 95 di cui è fondatore, la “creatura” di von Trier è una commedia sui generis, assolutamente non convenzionale e girata con aria scanzonata senza mai prendersi troppo sul serio. Lo stesso regista all’inizio del film chiede allo spettatore di non sforzarsi eccessivamente nella ricerca di misteriosi contenuti o fantomatiche morali. Gli spunti che offre sono incentrati prevalentemente sul concetto di responsabilità, ambita da tutti perché sinonimo di potere e autonomia, ma contemporaneamente temuta perché difficile e rischiosa da gestire.
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Qualcuno potrebbe definirlo un esercizio di stile, “Quanto sono capace di realizzare un film di puro intrattenimento, abbandonando il tono pedante dei miei precedenti film”; in realtà si potrebbe definire più una sperimentazione. Rigorosamente fedele ai principi cardine del DOGMA 95 di cui è fondatore, la “creatura” di von Trier è una commedia sui generis, assolutamente non convenzionale e girata con aria scanzonata senza mai prendersi troppo sul serio. Lo stesso regista all’inizio del film chiede allo spettatore di non sforzarsi eccessivamente nella ricerca di misteriosi contenuti o fantomatiche morali. Gli spunti che offre sono incentrati prevalentemente sul concetto di responsabilità, ambita da tutti perché sinonimo di potere e autonomia, ma contemporaneamente temuta perché difficile e rischiosa da gestire. Così creando la figura fantomatica del Grande Capo o Grande C. si riescono a scindere i due aspetti scaricando su un’ entità superiore le difficoltà, le antipatie e le scelte impopolari e tenendo per sé solo i piaceri del comandare. Particolarmente riuscita la scelta del cast, dove brilla per espressività e senso della scena il personaggio Kristoff. Le scene più esilaranti durante i vari tentativi di firma del contratto per la vendita della società al Grande capo Islandese; le frecciatine reciproche, eredità storica dei “freddi” rapporti tra Danesi e Islandesi, sono assolutamente imperdibili.
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dankor
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giovedì 25 gennaio 2007
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leggerezza e cinismo di un maestro del cinema
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Non c'è nel film alcuna volontà moralistica di denunciare i biechi rapporti di forza che operano nel mondo del lavoro. Von Trier non intende costruire un film di denuncia e del resto personaggi così grotteschi e poco realistici non si presterebbero affatto a tale scopo.Tutt'al più c'è un'evidente presa in giro dell'egocentrismo degli attori , della loro maniacalità che il regista sfrutta per sviluppare la sua idea di "commedia" ; quali ingredienti siano necessari perchè lo spettatore riesca a cogliere l'essenza di questo tipo di passatempo ed uscire dalla sala di proiezione soddisfatto di ciò che ha visto: un cinismo, quello di Von Trier, stupefacente.
Utilizza brillantemente una tecnica di montaggio frammentaria che ,insieme all'uso di riprese casuali servono a disorientare lo spettatore ed in questo a rendere il film più vicino alla vita quotidiana ,fatta di un tessuto narrativo privo di omogeneità e ,come ogni film che si rispetti, assolutamente imprevedibile .
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Non c'è nel film alcuna volontà moralistica di denunciare i biechi rapporti di forza che operano nel mondo del lavoro. Von Trier non intende costruire un film di denuncia e del resto personaggi così grotteschi e poco realistici non si presterebbero affatto a tale scopo.Tutt'al più c'è un'evidente presa in giro dell'egocentrismo degli attori , della loro maniacalità che il regista sfrutta per sviluppare la sua idea di "commedia" ; quali ingredienti siano necessari perchè lo spettatore riesca a cogliere l'essenza di questo tipo di passatempo ed uscire dalla sala di proiezione soddisfatto di ciò che ha visto: un cinismo, quello di Von Trier, stupefacente.
Utilizza brillantemente una tecnica di montaggio frammentaria che ,insieme all'uso di riprese casuali servono a disorientare lo spettatore ed in questo a rendere il film più vicino alla vita quotidiana ,fatta di un tessuto narrativo privo di omogeneità e ,come ogni film che si rispetti, assolutamente imprevedibile .L'impianto di base è tipicamente quello del film nel film , ovvero il rifiuto netto di qualsiasi traccia di realismo , perchè una commedia deve essere esclusivamente autoreferenziale e la stessa dichiarazione dell'io narrante ,all'inizio del film, appare quasi superflua; ci accorgiamo subito che i personaggi sono delle macchiette , che non sono volutamente realistici , e rappresentano le classiche maschere della commedia tradizionale che il regista utilizza perchè il suo prodotto funzioni secondo i suoi schemi prestabiliti, mettendo in luce una logica dell'irrazionalità dei comportamenti umani.
Von Trier copisce con il suo straordinario sarcasmo l'unico che sappiamo essere un attore( quindi reo due volte rispetto ai suoi inconsapevoli colleghi) e di lui mostra tutte le incongruenze , le contraddizioni, anche se nel corso del film lo presenta comme un personaggio in fondo positivo , di buon cuore; con il colpo di scena finale ribalta l'impressione suscitata fino ad allora nello spettatore, trasformandolo in un voltagabbana che si vende per dar sfogo alla sua vanità repressa, anche a costo di rovinare delle persone che fino a poco prima voleva difendere.
Per Von Trier il male non si situa nell'ambito dei rapporti di forza economico sociali( quelli per lui sono scontati e non ha il piglio del sociologo) ma è insito nell'animo umano ed è caratterizzato dalla massima imprevedibilità delle nostre azioni così come è fuori da ogni logica il comportamento del suo protagonista.In Dogville c'era il dramma scarnificato ,ridotto all'osso nelle sue dinamiche , qui c'è la commedia che si presenta ugualmente con pochi ingredienti di base , ma che mescolati con maestria da Von Trier lasciano sullo spettatore un effetto di disincanto e di divertimento davvero di alto livello.
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redmond barry
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sabato 13 gennaio 2007
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politically correct?
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Tutto quello che ormai non è più lecito aspettarsi da Von Trier diventa realtà,metacinema che letteralmente se ne impippa di rispettare prassi di racconto,personaggi scorretti,dialoghi che non le mandano a dire ai compatrioti danesi (dalla bocca dell'iracondo "presidente islandese"!),fino ad un epilogo dove,a a seguito dell'attesa alla Godot del "firmo o non firmo" il personaggio non l'attore finto GRANDE CAPO dell'altrettanto immaginario Grande Capo (Il grande C! eh eh) riprende il sopravvento e manda i titoli di coda sulla rappresentazione della fantomatica opera di Gambini! (conosciuta,guarda il caso,da 2 persone al mondo,una della quali oltre il tavolino...)
Inutile dilungarsi sulla trama,su una regia volutamente dilettantistica (ma tremendamente funzionale),conta invece ribadire a tutti quelli che consideravano il Lars un rompiballe capace solo di ammorbare con drammi infiniti,quanto si sbagliavano,è capace,egregiamente,di ben altro,ed in questi 99 minuti circa ti fa letteralmente sbellicare dalle risate (la scena del sesso con la sottoposta che lo crede gay e lui che dice solo "si,si,si" è degna del primo Allen!) con un cinismo ed un politically non correct che è rara avis e,più che vietato (ai minori),andrebbe sponsorizzato.
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Tutto quello che ormai non è più lecito aspettarsi da Von Trier diventa realtà,metacinema che letteralmente se ne impippa di rispettare prassi di racconto,personaggi scorretti,dialoghi che non le mandano a dire ai compatrioti danesi (dalla bocca dell'iracondo "presidente islandese"!),fino ad un epilogo dove,a a seguito dell'attesa alla Godot del "firmo o non firmo" il personaggio non l'attore finto GRANDE CAPO dell'altrettanto immaginario Grande Capo (Il grande C! eh eh) riprende il sopravvento e manda i titoli di coda sulla rappresentazione della fantomatica opera di Gambini! (conosciuta,guarda il caso,da 2 persone al mondo,una della quali oltre il tavolino...)
Inutile dilungarsi sulla trama,su una regia volutamente dilettantistica (ma tremendamente funzionale),conta invece ribadire a tutti quelli che consideravano il Lars un rompiballe capace solo di ammorbare con drammi infiniti,quanto si sbagliavano,è capace,egregiamente,di ben altro,ed in questi 99 minuti circa ti fa letteralmente sbellicare dalle risate (la scena del sesso con la sottoposta che lo crede gay e lui che dice solo "si,si,si" è degna del primo Allen!) con un cinismo ed un politically non correct che è rara avis e,più che vietato (ai minori),andrebbe sponsorizzato..
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[+] redmond barry: the original...
(di rustiko)
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