andyflash77
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mercoledì 25 luglio 2012
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un film altamente "alcolico"
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Chi abbia mai letto Charles Bukowski non può reprime almeno un balzo sulla sedia quando sullo schermo appare Matt Dillon sotto le spoglie di Henry Chinaski. Ubriacone, scrittore di talento che nessuno vuole pubblicare, sempre trasandato, sporco, barba ispida, sguardo intorpidito e occhi gonfi, animo eternamente rivolto alle donne ma quanto più possibile lontano dalla sobrietà. Ma badate, l'alter ego dello scrittore qui è una semplice ispirazione e non vuole - né potrebbe - esserne la personificazione. Factotum come dice il titolo, Henry passa con malavoglia o semplice indifferenza da un lavoro all'altro, quel che conta è pagarsi da bere la notte, avere di che scommettere e poter godere dell'inedia e dello stato di reietto senza voler essere un ribelle.
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Chi abbia mai letto Charles Bukowski non può reprime almeno un balzo sulla sedia quando sullo schermo appare Matt Dillon sotto le spoglie di Henry Chinaski. Ubriacone, scrittore di talento che nessuno vuole pubblicare, sempre trasandato, sporco, barba ispida, sguardo intorpidito e occhi gonfi, animo eternamente rivolto alle donne ma quanto più possibile lontano dalla sobrietà. Ma badate, l'alter ego dello scrittore qui è una semplice ispirazione e non vuole - né potrebbe - esserne la personificazione. Factotum come dice il titolo, Henry passa con malavoglia o semplice indifferenza da un lavoro all'altro, quel che conta è pagarsi da bere la notte, avere di che scommettere e poter godere dell'inedia e dello stato di reietto senza voler essere un ribelle.
Borderline in quel di Los Angeles, Henry non cambia solo lavoro ma anche donna, fedele sempre e solo alla bottiglia e ad una certa (dolorosa) ironia che fa sorridere. Non ci si perde semplicemente nel dramma cupo, ci sono momenti che illuminano la pellicola da un senso o dall'altro, l'ennesima scopata e il vomito della mattina dopo sbronza o al contrario Henry alle prese con l'aspirapolvere, mentre risistema casa e forse parte della sua esistenza.
Già autore di Eggs e Kitcken Stories, il norvegese Bent Hamer è un abitué della Croisette dove ha avuto modo di portare anche Factotum, sempre e solo nella sezione Quinziane des Realizateurs. Pur senza eccellere, sorto da un mix tra racconti propri del regista e il romanzo omonimo del celebre scrittore tedesco, siamo dinanzi ad un buon esempio di cinema, disperatamente sorretto da un ottimo Matt Dillon che dondola e si trascina da un bar all'altro con soluzione di continuità. E difatti è proprio grazie a Dillon e ottime comprimarie come Marisa Tomei che si scorge qualcosa che può andare al di là della banale storia di trasandatezza e compiaciuta autodistruzione. Al di là dei bar polverosi, della bottiglie avvolte nei sacchetti di carta, al di là dei soliti movimenti (o non movimenti) di macchina che sbirciano questa esistenza malata. S'offre allo spettatore un'ora e mezza per essere trascinati nei bassifondi, permettersi ogni bassezza e poi decidere che fare della propria vita. Sobri o ubriaconi? Fate la vostra scelta, ma ricordate che la differenza tra l'essere l'ennesimo disperato e un artista, la farà la vostra capacità con la penna.
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parsifal
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venerdì 19 gennaio 2018
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terzo stadio
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Terzo esperimento cinematografico , in ordine di tempo, di trasporre le atmosfere suburbane di C. Bukoswky su pellicola ad opera di B.Hamer che si ispira al romanzo omonimo del vecchio Buck. Storie amare di whisky e malinconia, di incapacità di adattarsi ad una realtà avvertita come estranea e distante, rifugiarsi in una fuga senza fine, sulla strada di una certa ed inesorabile autodistruzione. L'alter ego Chinasky, ( Matt Dillon) tenta di percorrere il sentiero che le convenzioni sociali gli impongono, ma la sua reale natura lo conduce all' isolamento autodistruttivo dal quale non può e non vuole uscire.Trova occasionali compagni e compagne d'avventure , per restare comunque sempre solo con un senso di vuoto che lo pervade e lo conduce all'alcool , per spegnere il fuoco della delusione e della noia di vivere.
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Terzo esperimento cinematografico , in ordine di tempo, di trasporre le atmosfere suburbane di C. Bukoswky su pellicola ad opera di B.Hamer che si ispira al romanzo omonimo del vecchio Buck. Storie amare di whisky e malinconia, di incapacità di adattarsi ad una realtà avvertita come estranea e distante, rifugiarsi in una fuga senza fine, sulla strada di una certa ed inesorabile autodistruzione. L'alter ego Chinasky, ( Matt Dillon) tenta di percorrere il sentiero che le convenzioni sociali gli impongono, ma la sua reale natura lo conduce all' isolamento autodistruttivo dal quale non può e non vuole uscire.Trova occasionali compagni e compagne d'avventure , per restare comunque sempre solo con un senso di vuoto che lo pervade e lo conduce all'alcool , per spegnere il fuoco della delusione e della noia di vivere. Anche in questo terzo esperimento cinematografico, viene a mancare l'ironia al vetriolo che ha sempre contraddistinto l'autore, per lasciare il passo ad una narrazione a tratti piatta e monocorde, aumentata anche dagli scarsi movimenti di macchina presenti nel film.L'attore protagonista è visibilmente distante dai canoni narrati da Bukowsky; la strada è per lui un luogo molto , molto lontano ,mentre l'autore ne portava sempre con sè i segni, nello spirito e nel corpo. Non è facile narrare la disperazione metropolitana e non basta l'intento di volerlo fare.
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