Alla luce del sole |
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Un film di Roberto Faenza.
Con Luca Zingaretti, Alessia Goria, Corrado Fortuna, Giovanna Bozzolo, Francesco Foti.
continua»
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 90 min.
- Italia 2005.
uscita venerdì 21 gennaio 2005.
MYMONETRO
Alla luce del sole
valutazione media:
3,28
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Cultura del Bene e subculturadi Salvatore ScagliaFeedback: 2256 | altri commenti e recensioni di Salvatore Scaglia |
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domenica 27 dicembre 2009 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
L’ho visto tre volte, il film, in sala. E’ molto bello, coinvolgente, e verosimilmente ispirato ad un certo neorealismo, che nel nostro paese si fa ancora strada producendo dei buoni lavori. E a questo filone sembra appartenere proprio il film di Roberto Faenza, che ha molte caratteristiche affini a “Meri per sempre” e “Ragazzi fuori” di Marco Risi. Visionato a Roma, poi, “Alla luce del sole” è anche una prova di come si vedono e giudicano le cose siciliane fuori dalla mia terra: Palermo. Sotto il profilo strutturale la pellicola appare dualistica: come in alcune scene; come nel titolo - allusivo e contrapposto al buio morale - e persino come la stessa città (in cui la storia è ambientata). Ti fa fuggire Palermo. Per lordura, d’anima e di corpo. Ma ti attrae, irresistibilmente, col folklore, col calore della gente. Basta seguire i primi fotogrammi per comprendere la trama del film, intessuto di mostruosità e di contraddizioni stridenti. Apre la pellicola un orrendo e illegale combattimento tra cani, le cui immagini sono volutamente crude, quasi a presagire la morte di Pino Puglisi (inteso amichevolmente “3P”): si ammazzano come niente cani e uomini, come se avessero uno statuto ontologico affine o addirittura identico. Un primo contrasto verte su Padre Pino, amante della cultura (opposta ad una diffusa ignoranza, brodo di coltura mafiosa): il quartiere industriale Brancaccio è anche metafora di quei pezzi di città che preferiscono uno scantinato ad una scuola, che Puglisi vorrebbe legalizzare e che Cosa nostra - grazie all’assenza (o l’indifferente beneplacito ?) delle istituzioni - può usare come deposito di armi ed altri materiali inconfessabili. Padre Pino che chiede a un bambino del luogo cosa voglia fare da grande: << non lo so >> è la risposta sconsolante, in un’esistenza sconsolata, in un quartiere sconsolato. In questo contesto (del vivere alla giornata) opera proprio padre Puglisi, nel tentativo di superare questo tedium vitae col sapere, coi i veri valori: giustizia e pace, avversati dalla mafia, che vuole povertà e arretratezza, brodo di coltura del suo essere antiStato. Ma c’è dualità (o, meglio, dualismo) tra la processione religiosa di Puglisi - fino a ieri finanziata e strumentalizzata dalla criminalità -, e il party (dei boss) parallelo, con un’esplosione di mille colori, suoni e divertimento. Due feste contrapposte: quella della Chiesa propone un mix di spiritualità, semplicità e trasparenza, che i fuochi di artificio dei mafiosi intendono coprire con nuovi baccanali. La bontà e la determinazione di padre Puglisi colpiscono anche un ragazzo portatore del “sentire mafioso” (Pitrè), che - disperatamente schiacciato tra il bene (la parrocchia e il centro sociale “Padre nostro”) e il male (il padre e la sua cricca) si suicida. E’ questo, forse, il clou del film, in cui si nota che “u parrinu” Puglisi sollecita nelle persone l’humanitas di base, senza la quale non c’è spazio per una benché minima redenzione. Quindi il massacro finale di padre Pino, con il suo “vi aspettavo”, che esprime un martirio (= testimonianza) consapevole e che rappresenta un contraltare positivo ed eroico rispetto al suicidio con la moto; un contrasto stridente tra la serenità d’animo (persino nell’ora estrema !) di Puglisi e la lacerazione interiore del ragazzo (che, confuso, non sa scegliere tra mafia e onestà), nonostante la speranza offertagli dalla chiesa: simbolicamente vuota come il cuore dei mafiosi.
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