subcrow
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giovedì 17 luglio 2008
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e bravo il nostro gus!
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Agghiacciante ritratto di una parte dell'America "malata", quella che si trova a confronto con il disordine giovanile e quella delle "pistole facili". il film è tutto qui,nella sua semplicità, in un buon Gus Van Sant e nelle sue azzeccate scelte di ripresa. La telecamera che segue i vari protagonisti nella scuola, ci fanno vivere le scene della pellicola come se fossimo anche noi lì, in quel maledetto giorno dentro la Columbine. Buon lavoro, educativo e riflessivo.
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francesco manca
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sabato 24 maggio 2008
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"elefante rosso sangue"
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Ho terminato la visione di "Elephant" da circa tre quarti d'ora, e devo ammettere, in tutta sincerità, che è senza alcun dubbio uno dei film più sconcertanti che abbia mai visto in tutta la mia vita. Come per "Gerry" e il successivo "Last Days", Van Sant adotta la sua arma più potente e affilata, quella del "silenzio", un silenzio quasi eterno che sembra non finire mai, un silenzio spaventoso che, come ci si aspettatava, annuncia una micidiale e improvvisa esplosione. I movimenti di macchina, gli innumerevoli piani sequenza, la fotografia, la luce, la colonna sonora...ah, scusate...quale colonna sonora? sono i principali tasselli che fanno di "Elephant" un'opera corale e visivamente divina, che porta con sè attori perlopiù sconosciuti in una storia torbida e, ahimè, realmente accaduta.
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Ho terminato la visione di "Elephant" da circa tre quarti d'ora, e devo ammettere, in tutta sincerità, che è senza alcun dubbio uno dei film più sconcertanti che abbia mai visto in tutta la mia vita. Come per "Gerry" e il successivo "Last Days", Van Sant adotta la sua arma più potente e affilata, quella del "silenzio", un silenzio quasi eterno che sembra non finire mai, un silenzio spaventoso che, come ci si aspettatava, annuncia una micidiale e improvvisa esplosione. I movimenti di macchina, gli innumerevoli piani sequenza, la fotografia, la luce, la colonna sonora...ah, scusate...quale colonna sonora? sono i principali tasselli che fanno di "Elephant" un'opera corale e visivamente divina, che porta con sè attori perlopiù sconosciuti in una storia torbida e, ahimè, realmente accaduta. Tutto ciò che Van Sant compie per realizzare a pieno il suo lavoro, non è che un'unica, implicita e impercettibile follia, ed è da ammirare la sua innata e straordinaria capacità di trasformare in qualche strano e incomprensibile modo, il normale in ANormale, ciò che si vede e ciò che NON si vede, facendo sì che il tempo si estingua con i suoi personaggi per arrivare alla conclusione che solo un fatto così paradossale e drammaticamente sconcertante non poteva ASSOLUTAMENTE passare "inosservato". Come ho vagamente accennato prima, in "Elephant" la colonna sonora è praticamente (o quasi) inesistente se non fosse per la sinfonia mistica e celeste del pianoforte di sottofondo che accompagnano, soprattutto, le sequenze a camera fissa di apertura e di chiusura che ci mostrano l'oscurarsi del cielo autunnale della febbrile Portland, cittadina dell'Oregon. Che altro dire sull'opera di Van Sant? Niente...se non per ribadire la sconcertante e terribile aria di "malessere" interiore che lo spettatore avverte nelle sue vene durante la visione, in particolar modo, nella parte finale che io definirei con due termini: micidiale e brutale. Nonostante questo, però, chi non ha ancora avuto modo di vedere il film, non deve assolutamente aspettarsi di trovare in "Elephant" azione o avventura di qualche genere, perchè la pellicola di Van Sant è (volutamente) lenta, allucinata, sfuocata e in qualche modo incantata, proprio per riservare a chi la sta guardando, dieci minuti finali di pura follia. Palma d'Oro meritatissima!
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sihaya
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sabato 22 marzo 2008
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troppo scarno
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Partendo da un ottimo spunto di cronca, come la strage ella columbine, van Sant ne ha fatto un film troppo asciutto, asettico, noioso, senza nemmeno una colonna sonora decente, dove l'indagine psicologica è tutta concentrata sulle vittime con il deserto completo sugli assassini. Comprendo che questo può essere un punto di vista voluto, ma alla fine ogni personaggio risulta solo una marionetta.
L'unico punto riuscito è la descrizione perfetta della strage, crudele come lo è stata veramente.
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nicneim
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mercoledì 19 marzo 2008
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stupendo.
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Trasmette sensazioni fortissime, perfino i sentimenti più comuni come la noia, o come una banale attesa diventano angoscianti
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(di bomboklat89)
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kubrick the best
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mercoledì 22 agosto 2007
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film carino
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quello che è avvenuto a columbine mi ha colpito moltissimo..la domanda è perchè lo hanno fatto??non erano bruttissimi e dylan aveva anche una amica molto carina..il film è fatto bene ma le motivazioni come i videogiochi o hitler x esempio sono completamente campate in aria..eric quello che ha architettato tutto era un ragazzo disturbato..psicopatico..volevano uccidere 500 studenti..ma il loro piano non è andato come doveva..e hanno fatto solo 13 morti e 25 feriti..avevano intenzioni mlto peggiori..e alla fine si suicidano..non è come nel film..nel film quello che mi è piaciuto è l'insensatezza di tutto questo..il nulla..comunque eric e dylan non erano affatto come nel film..bel film ma non prendetelo alla lettera,,le cose non sono andate cosi voleva solo rendere una idea
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candy star
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mercoledì 25 aprile 2007
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banale
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Il film abusa in modo decisamente poco corretto della tematica che presenta, poichè qualsiasi film, trattante un tema similare, comunque è in grado di creare un emozione data la tragicità e l'intensità dell'argomento.
A tratti molto pesante e lento, caratteristiche tipiche del regista in questione; interessante il fatto che la sequenza temporale sia dettata dall'incontro tra i vari personaggi, ma ciò non è certo una novita, basti pensare a Joyce ed il suo Ulysse!
A mio avviso inoltre, il film banalizza le motivazioni ed il substratum emozionale dei due assassini, facendoci sembrare la strage come un gioco messo a punto da due ragazzi annoiati, il che non è ne credibile, ne tantomeno veritiero.
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Il film abusa in modo decisamente poco corretto della tematica che presenta, poichè qualsiasi film, trattante un tema similare, comunque è in grado di creare un emozione data la tragicità e l'intensità dell'argomento.
A tratti molto pesante e lento, caratteristiche tipiche del regista in questione; interessante il fatto che la sequenza temporale sia dettata dall'incontro tra i vari personaggi, ma ciò non è certo una novita, basti pensare a Joyce ed il suo Ulysse!
A mio avviso inoltre, il film banalizza le motivazioni ed il substratum emozionale dei due assassini, facendoci sembrare la strage come un gioco messo a punto da due ragazzi annoiati, il che non è ne credibile, ne tantomeno veritiero.
Peccato che di un tema così importante ed in grado di suscitare una riflessione nell'opinione pubblica si sia tratto un film così banale.
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doctor love
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lunedì 15 gennaio 2007
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normali mostruosità quotidiane
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Con gli ultimi anni Van Sant è uscito dalla mediocrità dei suoi ultimi e (sopravvalutati)campioni di incassi, abbandonando redditizi copioni con begli attori e più o meno buoni sentimenti per tornare a raccontare quello che meglio sa fare: i drammi della quotidianità, con personaggi veri e fragili come foglie, non geni ribelli ma normali e banali. In questo senso la sua trilogia della gioventù disegna il capitolo più amaro, costringendoci a sperimentare senza filtri la sensazione di smarrimento e impotenza che lo spettatore statunitense ha provato di fronte alla notizia della strage. Chi si aspettava esaltanti scene di azione, con incessanti raffiche e ritmo incalzante è rimasto deluso: il film è lento e piatto come lo scenario che descrive.
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Con gli ultimi anni Van Sant è uscito dalla mediocrità dei suoi ultimi e (sopravvalutati)campioni di incassi, abbandonando redditizi copioni con begli attori e più o meno buoni sentimenti per tornare a raccontare quello che meglio sa fare: i drammi della quotidianità, con personaggi veri e fragili come foglie, non geni ribelli ma normali e banali. In questo senso la sua trilogia della gioventù disegna il capitolo più amaro, costringendoci a sperimentare senza filtri la sensazione di smarrimento e impotenza che lo spettatore statunitense ha provato di fronte alla notizia della strage. Chi si aspettava esaltanti scene di azione, con incessanti raffiche e ritmo incalzante è rimasto deluso: il film è lento e piatto come lo scenario che descrive. Non c'è degrado, niente apparenti tensioni sociali nella lucente e impeccabile scuola immaginaria, tutto scorre normalmente,la mensa e i lunghi corridoi sono lindi, ci sono belle palestre, biblioteca, laboratori fotografici...e ognuno dei personaggi immersi in questo microcosmo si presenta di fronte a noi senza preamboli e finzioni, ciascuno con i suoi piccoli e poco interessanti problemi da adolescente. La sensazione di essere di fronte ad un acquario, o ad una gabbia allo zoo, è accentuata dalla splendida fotografia e dalle musiche, che danno irrealtà all'atmosfera di attesa (tutti sappiamo che cosa succederà prima o poi..). Anche nel videogioco in cui i due ragazzi sognano di sparare ai compagni il mondo è piatto, monotono e le vittime sono manichini tutti uguali uno all'altro. Dopo aver scomposto la narrazione per seguire i personaggi nei momenti appena precedenti l'evento cruciale, nelle scene della strage il film riesce a mantenere immutata l'atmosfera nonostante l'esplosione di violenza, chiudendosi senza nessuno squillo: facile immaginare che il giorno dopo tutto riprenda a scorrere come prima.
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titty
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mercoledì 3 gennaio 2007
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inguardabile
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HO ASPETTATO INVANO CHE IL FILM SI MOVIMNETASSE UN POCHINO..........STO ANCORA ASPETTANDO.....ASPETTO.......ASPETTO..........LA STORIA IN SE E' SERIA E POTEVA ESSERE UN BEL FILM SE IL REGISTA NON AVESSE TUTTA QUESTA CONFUSIONE IN TESTA
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(di chiara)
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francesco di benedetto
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sabato 9 settembre 2006
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elephant e il caimano (versione corretta)
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Spiazzare le aspettative di coinvolgimento immediato e passionale da parte dello spettatore.
Negare o comunque non evidenziare concretezza, intensità e densità materiale degli stimoli percettivi da comunicare.
Disancorare dunque lo spettatore da stabili punti di appoggio e di riferimento.
Tenere desta la tensione percettiva dello spettatore, mantenendola su questo binario di persistente frustrazione.
Far emergere con lucidità attraverso la sofisticatezza della messa in scena tutto il caos insito nell’attività, ormai sputtanatissima, di produzione delle immagini.
Riflettere dunque sul cinema e su di sè.
Constatare lo scacco, l’impotenza da parte dello sguardo, narrandone l’asfittico, asfissiante, bulimico consumo di stimoli visivi, ora fermandosi insistentemente alla glacialità, disumanità, impersonalità di un punto di vista, ora forzando gli input percettivi nel senso di uno scoppiettante e surreale parossismo espressivo; ma fornendo in ogni caso sempre la stessa impressione finale di logoramento dell’attenzione, di incompiutezza e di caos.
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Spiazzare le aspettative di coinvolgimento immediato e passionale da parte dello spettatore.
Negare o comunque non evidenziare concretezza, intensità e densità materiale degli stimoli percettivi da comunicare.
Disancorare dunque lo spettatore da stabili punti di appoggio e di riferimento.
Tenere desta la tensione percettiva dello spettatore, mantenendola su questo binario di persistente frustrazione.
Far emergere con lucidità attraverso la sofisticatezza della messa in scena tutto il caos insito nell’attività, ormai sputtanatissima, di produzione delle immagini.
Riflettere dunque sul cinema e su di sè.
Constatare lo scacco, l’impotenza da parte dello sguardo, narrandone l’asfittico, asfissiante, bulimico consumo di stimoli visivi, ora fermandosi insistentemente alla glacialità, disumanità, impersonalità di un punto di vista, ora forzando gli input percettivi nel senso di uno scoppiettante e surreale parossismo espressivo; ma fornendo in ogni caso sempre la stessa impressione finale di logoramento dell’attenzione, di incompiutezza e di caos.
Due esempi mirabili e inquietanti di metalinguaggio, di lucida denuncia dello stato alterato, alienato di coscienza determinato dai media visivi. Dove a tanta attuale dirompente ed insinuante ploriferazione di angoli visuali proposti (internet, televisione, ecc.) fa riscontro uno sguardo castrante, crudamente contemplativo della gratuità, indecifrabilità propria e di ciò che lo circonda
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francesco di benedetto
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venerdì 8 settembre 2006
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elephant e il caimano
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Spiazzare le aspettative di coinvolgimento immediato e passionale da parte dello spettatore.
Rinunciare alla concretezza, alla densità materiale degli stimoli percettivi da comunicare.
Disancorare dunque lo spettatore da stabili punti di appoggio e di riferimento.
Tenere desta la tensione percettiva dello spettatore, mantenendola su questo binario di persistente frustrazione.
Far emergere con lucidità attraverso la sofisticatezza della messa in scena tutto il caos insito nell’attività, ormai sputtanatissima, di produzione delle immagini.
Riflettere dunque sul cinema e su di sè.
Constatare lo scacco, l’impotenza da parte dello sguardo, narrandone l’asfittico, asfissiante, bulimico consumo di stimoli visivi, ora fermandosi insistentemente alla glacialità, disumanità, impersonalità di un punto di vista, ora forzando gli input percettivi nel senso di uno scoppiettante e surreale parossismo espressivo; ma fornendo in ogni caso sempre la stessa impressione finale di logoramento dell’attenzione, di incompiutezza e di caos.
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Spiazzare le aspettative di coinvolgimento immediato e passionale da parte dello spettatore.
Rinunciare alla concretezza, alla densità materiale degli stimoli percettivi da comunicare.
Disancorare dunque lo spettatore da stabili punti di appoggio e di riferimento.
Tenere desta la tensione percettiva dello spettatore, mantenendola su questo binario di persistente frustrazione.
Far emergere con lucidità attraverso la sofisticatezza della messa in scena tutto il caos insito nell’attività, ormai sputtanatissima, di produzione delle immagini.
Riflettere dunque sul cinema e su di sè.
Constatare lo scacco, l’impotenza da parte dello sguardo, narrandone l’asfittico, asfissiante, bulimico consumo di stimoli visivi, ora fermandosi insistentemente alla glacialità, disumanità, impersonalità di un punto di vista, ora forzando gli input percettivi nel senso di uno scoppiettante e surreale parossismo espressivo; ma fornendo in ogni caso sempre la stessa impressione finale di logoramento dell’attenzione, di incompiutezza e di caos.
Due esempi mirabili e inquietanti di metalinguaggio, di lucida denuncia dello stato alterato, alienato di coscienza determinato dai media visivi. Dove a tanta attuale dirompente ed insinuante ploriferazione di angoli visuali proposti (internet, televisione, ecc.) fa riscontro uno sguardo castrante, diafano, crudamente contemplativo della gratuità, indecifrabilità propria e di ciò che lo circonda, sottratto da qualsiasi anelito di tangibile seduttività
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