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Pellicola strappalacrime diretta dal belga naturalizzato statunitense Ulu Grosbard, regista di lungo corso, qui alla sua ultima regia.
La pellicola tratta una tematica estremamente delicata, che consente al veterano Grosbard di toccare le corde dei sentimenti in modo sin troppo facile: per adoperare una metafora calcistica, si può parlare di un rigore a porta vuota. Tuttavia, sebbene l’opera sia sicuramente capace di emozionare, ciò nonostante non convince appieno, in quanto appare troppo costruita e poco genuina.
L’argomento è affrontato ricorrendo ad una serie di luoghi comuni, che rendono il film di maniera, prevedibile e melenso. Le reazioni che i personaggi hanno di fronte ai drammatici accadimenti che li colpiscono, sono codificate e prevedibili.
La pellicola si divide in due parti: la prima racconta la scomparsa-rapimento del bambino, con la conseguente ripercussione sugli stati d'animo dei genitori e degli altri familiari; la seconda parta, collocata temporalmente 9 anni più tardi è incentrata sul ritrovamento del bambino scomparso e soprattutto sulle difficoltà che comporta il suo reinserimento, tematica quest’ultima che ha almeno il pregio di non essere abusata e conservare pertanto una certa originalità.
La protagonista è la madre del bambino rapito, a cui dà il volto Michelle Pfeiffer autrice di un’interpretazione emotivamente intensa; a Treat Williams è lasciata la parte del marito della protagonista, mentre Ryan Merriman e Jonathan Jackson interpretano i due fratelli, quello rapito (Merriman) e il primogenito (Jackson) colpito dai sensi di colpa per la sparizione del fratellino. Nel cast si ricorda anche Whoopi Goldberg nella parte della poliziotta che assiste la famiglia dopo il rapimento, ruolo che francamente poco si attaglia alla Goldberg.
Nonostante tutto, il film commuove e quindi Grosbard centra l’obiettivo.
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