Himalaya - L'infanzia di un capo |
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Un film di Eric Valli.
Con Thilen Lhondup, Gurgon Kyap, Karma Wangel
Titolo originale Himalaya, l'enfance d'un chef.
Avventura,
durata 104 min.
- Francia 1999.
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Roberto Nepoti
La Repubblica
Eric Valli è considerato una persona seria. Fa reportage per il National Geographic Magazine e Life, pubblica libri, ha diretto pluripremiati documentari. Per realizzare Himalaya. L'infanzia di un capo, si è comportato come faceva il padre di tutti i documentaristi, il grande Robert Flaherty (chi se lo può più permettere, con i brevissimi tempi di lavorazione che corrono?): ha vissuto per mesi nei luoghi dell'azione, conoscendone i futuri protagonisti e diventando loro amico. Questa volta, però, non ha voluto realizzare un documentario, ma un film narrativo; anche se basato su una drammaturgia ridotta all'essenziale e su fatti molto reali per le popolazioni tibetane. Il film ci porta in un villaggio a nordest dell'Himalaya, a cinquemila metri d'altezza, abitato da un popolo metà contadino, metà nomade. L'unica risorsa per sopravvivere è trasportare il sale dell'alto Tibet nelle valli del Nepal, viaggiando con carovane di yak per piste a strapiombo, sfidando la neve e le valanghe. Il capo Tinlé non vuole lasciare il comando della spedizione a Karma, che ritiene responsabile della morte del suo primogenito. Karma organizza una propria carovana e parte prima della data fissata. Allora il capo ne allestisce un'altra assieme al figlio minore, il lama Norbou, e al nipote e sfida ancora una volta la montagna. La prima parte del film, più contemplativa, serve a installare i personaggi. La seconda è occupata dal lungo viaggio, che evoca quasi una lunga marcia biblica. Valli, però, preferisce definire il suo film un "western tibetano", con memorie di Jack London e di Joseph Conrad. Non ha mica torto. I cowboy a cavallo trasportavano bovini, mentre quelli degli yak portano sale; però sono molto simili il senso dell'epica, l'immanenza del pericolo, l'itinerario attraverso una natura incontaminata dalla "civiltà". Come recita il sottotitolo, L'infanzia di un capo, il viaggio ha anche un valore iniziatico. La cosa straordinaria è che Himalaya (nominato all'Oscar due anni fa come migliore film straniero) riesca a essere tutto questo documentario antropologico, western, racconto di formazione a partire dalla realtà e senza farle violenza. Gli attori sono i veri abitanti del villaggio nepalese; i luoghi (e le altidudini) sono rigorosamente autentici. Solo nel racconto la realtà è un po' truccata. Ma Flaherty, ai tempi di Nanook l'eschimese o dell'Uomo di Aran, non faceva forse lo stesso?
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