maria cristina nascosi
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domenica 11 febbraio 2007
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e d'amore ignavia...
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Anche a distanza di 16 anni, UN COEUR EN HIVER / Un cuore in inverno o La violinista, che dir si voglia, il bel film di Claude Sautet, il suo penultimo capolavoro, prima che la morte lo ghermisse, rimane 'semplicemente' tale.
Regista di non molti film, certo, regista di cinematografia da salotto, era stato definito, ma che pregnanza, che spessore, che capacità - quasi siderale - di introspezione in quegli incontri - scontri - dialoghi, a volte soliloqui - in cui tutto è detto con poco, semplicemente, per l'appunto, lievemente, ma con una 'levitas' tutta latina, così piena com'è, di tanto.
I sentimenti, svelati a poco a poco, con sguardi, scambi di sguardi, di occhiate, furtive o stentoree, di sensazioni che arrivano ben oltre lo schermo del visivo fruitore, dello spettatore 'guardone' che invece rivive quanto mai 'in diretta' ciò che la vita ( e l'amore), almeno una volta, gli hanno riservato da vivere e da gustare o da dolersi, una sofferenza che va oltre lo sguardo della sala, che oltrepassa lo schermo in una mutua, vicendevole condivisione di sensazioni altrimenti inenarrabili.
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Anche a distanza di 16 anni, UN COEUR EN HIVER / Un cuore in inverno o La violinista, che dir si voglia, il bel film di Claude Sautet, il suo penultimo capolavoro, prima che la morte lo ghermisse, rimane 'semplicemente' tale.
Regista di non molti film, certo, regista di cinematografia da salotto, era stato definito, ma che pregnanza, che spessore, che capacità - quasi siderale - di introspezione in quegli incontri - scontri - dialoghi, a volte soliloqui - in cui tutto è detto con poco, semplicemente, per l'appunto, lievemente, ma con una 'levitas' tutta latina, così piena com'è, di tanto.
I sentimenti, svelati a poco a poco, con sguardi, scambi di sguardi, di occhiate, furtive o stentoree, di sensazioni che arrivano ben oltre lo schermo del visivo fruitore, dello spettatore 'guardone' che invece rivive quanto mai 'in diretta' ciò che la vita ( e l'amore), almeno una volta, gli hanno riservato da vivere e da gustare o da dolersi, una sofferenza che va oltre lo sguardo della sala, che oltrepassa lo schermo in una mutua, vicendevole condivisione di sensazioni altrimenti inenarrabili.
Ed ottimi gli interpreti, un Daniél Auteuil che con l'ultimo e tra i più recenti Caché - Niente da nascondere, ha raggiunto una delle migliori sue performances, da grande istrione del palcoscenico qual è che qui è il ritratto perfetto dell'ignavia d'amore, il non voler soffrire mai, a tutti i costi, perdendo quanto di meglio - e di peggio - la vita ti riserva a livello di sofferenza; e che dire di André Dussollier, l'equilibrio, l'eleganza del recitare per eccellenza, non a caso uno degli attori preferiti da decenni pure dal grande Alain Resnais, presente anche nel suo ultimo COEURS - Cuori, Leone d'Argento all'ultima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.
Splendido il quasi cameo di Maurice Garrel, 'maschera' del sé nella 'sacra rappresentazione' di una morte annunciata.
E brava anche la Béart, bella, certo, bellissima, ma sempre un po' monocroma, monocorde, a tratti monotona, se non fosse per la 'felinità' che, ogni tanto, accompagna qualche suo pur 'gracile' gesto attoriale.
Non è certo Romy Schneider che, fino alla sua morte avvenuta nel 1982 - quest'anno saranno 25 anni - fu l'attrice-feticcio di Claude Sautet: il suo essere solo riempiva la scena, il suo essere drammaturgico era lei, piccola dolce 'solo' Sissi degli anni Sessanta, cresciuto con lei mano a mano, plasmata un po' da Visconti, un po' da altri grandi, un po' - tanto - dai dolori che l'amore portò, lancinanti, nella sua vita e che la fecero 'vento a scomparire' poco dopo i quarant'anni.
E su tutto e tutti la musica di Ravel...
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andilento
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venerdì 11 novembre 2005
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la rinuncia, finalmente...
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Un film di rara finezza, che erge a protagonista un uomo capace di rinunciare. Finalmente! Una boccata d'ossigeno per la nostra società, assillata da "orror vacui" e frenetico bisogno di divorare esperienze. La sublimazione della passione come unico mezzo per renderla eterna. Il capovolgimento dello stantìo luogo comune dell'uomo cacciatore e della donna preda. Sautet ci mostra come poter essere sovversivi senza alzare la voce, mantenendo un'estrema lucidità di linguaggio. Basti pensare al tagliente scambio di battute tra Camille e Stephane durante il pranzo nella casa di campagna. Asciutto, perfetto il finale, con l'iniezione letale al vecchio amico in agonia. Anestetizzante, in realtà, non è la rinuncia di Stephane, ma la nostra onnivora e compulsiva tendenza a consumare cibo, sesso e tempo senza la capacità
di ascoltarsi e ascoltare.
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Un film di rara finezza, che erge a protagonista un uomo capace di rinunciare. Finalmente! Una boccata d'ossigeno per la nostra società, assillata da "orror vacui" e frenetico bisogno di divorare esperienze. La sublimazione della passione come unico mezzo per renderla eterna. Il capovolgimento dello stantìo luogo comune dell'uomo cacciatore e della donna preda. Sautet ci mostra come poter essere sovversivi senza alzare la voce, mantenendo un'estrema lucidità di linguaggio. Basti pensare al tagliente scambio di battute tra Camille e Stephane durante il pranzo nella casa di campagna. Asciutto, perfetto il finale, con l'iniezione letale al vecchio amico in agonia. Anestetizzante, in realtà, non è la rinuncia di Stephane, ma la nostra onnivora e compulsiva tendenza a consumare cibo, sesso e tempo senza la capacità
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frog
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lunedì 17 settembre 2001
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solipsismo
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Non sono d'accordo con la recensione principale perchè credo che il tema fondamentale del film non sia "La reticenza di fronte alla possibilità di amare [...], la sublimazione di un sentimento ibernato, affinché si conservi per sempre", ma semplicemente l'impossibilità di un uomo di comunicare con gli altri, con il reale. E' una questione di autismo, o, meglio, di solitudine metafisica, (in filosofia "solipsismo".)
Stephane è un autista, chiuso nel suo mondo di violini, incapace di vivere nella realtà se non nel modo fatuo di un'esistenza fatta di rapporti vuoti (con l'amica libraria o con il socio Maxime) e situazioni altrettanto vuote (pranzi inerti presso un frenetico caffè parigino).
L'unica persona che egli crede di amare è un anziano maestro di violino, unica persona colla quale riesce a confidarsi, a cui poi (e non mi pare casuale) dona la morte, praticandogli un'iniezione letale che lo libera dall'agonia di una lunga malattia.
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Non sono d'accordo con la recensione principale perchè credo che il tema fondamentale del film non sia "La reticenza di fronte alla possibilità di amare [...], la sublimazione di un sentimento ibernato, affinché si conservi per sempre", ma semplicemente l'impossibilità di un uomo di comunicare con gli altri, con il reale. E' una questione di autismo, o, meglio, di solitudine metafisica, (in filosofia "solipsismo".)
Stephane è un autista, chiuso nel suo mondo di violini, incapace di vivere nella realtà se non nel modo fatuo di un'esistenza fatta di rapporti vuoti (con l'amica libraria o con il socio Maxime) e situazioni altrettanto vuote (pranzi inerti presso un frenetico caffè parigino).
L'unica persona che egli crede di amare è un anziano maestro di violino, unica persona colla quale riesce a confidarsi, a cui poi (e non mi pare casuale) dona la morte, praticandogli un'iniezione letale che lo libera dall'agonia di una lunga malattia. Stephane non riesce a vivere, lo confessa alla stessa Camille, le dice che ha provato più volte ad avere una relazione, ma inutilmente. Egli non ha la buona volontà dell'uomo "normale" che ha le proprie convinzioni e ambizioni, bensì vive al di là dell'ordinaria realtà, nel mondo onirico della musica. Il suo sentimento per Camille, foss'anche amore, è inevitabilmente votato alla caducità, perchè egli non è in grado di proiettarsi verso l'altro. Stephane non può che possedere la versione fantasmatica di Camille partorita nel suo autismo; il suo destino è proprio questo, che nulla può entrare o uscire dal suo cuore.
Tuttavia il finale del film ci lascia con una scena finemente incerta: Stephane, appena salutatosi con Camille, la vede andar via con Maxime, mentre egli resta seduto al tavolino del solito caffè, lieto di averla rivista dopo tanto tempo. Allora sul volto di Stephane si forma un'espressione vaga, forse serena e sorridente perchè egli immagina di poterla rivedere, o forse sarcasticamente scettica, perchè sa di non poter superare il suo solipsismo ed arrivare a lei.
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