Diceva Borges: Tutti i bambini sono geniali finchè non cercano la mediocrità imitando gli adulti e, nella maggior parte dei casi, la trovano
Il nuovo film della Dreamworks nelle sale dal 1 novembre è un connubio di allegria e buonumore malgrado una trama leggera e esile che riserva simpatiche sorprese.
Ambientato in una classe di una scuola elementare, due discoli scolari, George e Harold, sono appassionati alla nobile arte di “realizzare fumetti” da inventarsi esilaranti storie con protagonista Capitan Mutanda, un supereroe pasticcione che con un mantello da Superman e un paio di mutandoni larghi veglia sulla città sconfiggendo il cattivo di turno e assicurandolo alla giustizia.
George e Harold dalla creatività scatenata (uno scrive e l’altro disegna) hanno un comportamento, diciamo così esuberante, che non viene visto di buon occhio dal dirigente scolastico, il Signor Grugno, che cerca in ogni modo di avere le prove delle loro, diciamo così, “birichinate”.
L’occasione viene fornita durante l’ennesimo sabotaggio del duo questa volta filmato da una “tartaruga-telecamera” dell’antipatico genietto primo della classe. Per cercare di evitare il pericolo della separazione in due classi diverse, convinti, ingenuamente, che questo possa minare un’amicizia forte e consolidata, i due bambini ipnotizzano il preside per errore (con un anello trovato nei Kellogs… la forza dell’immaginazione) trasformandolo nella creatura da loro inventata: Capitan Mutanda.
Ed è così che il burbero Grugno, si ritrova inconsapevolmente nei panni di un eroe dei più piccoli, abbigliato di un solo paio di mutandoni e di un mantello di poliestere rosso, che però rinsavisce alla sua veste di “odiatore di bambini” quando gli viene spruzzata in faccia dell’acqua fredda.
La situazione- come evidente- sfuggirà al controllo dei nostri eroi che dovranno fronteggiare anche una minaccia che si aggiunge alla già precaria situazione: su di loro aleggiano i nefandi piani del professore di scienze, dietro cui si nasconde un inventore folle dal buffo cognome di “Pannolino” intenzionato a eliminare per sempre il riso dei bambini dopo una delusione al premio Nobel e quella per converso di un saccente quanto atarassico compagno di scuola (utilizzato come “cavia”) per il raggio anti-riso del pazzo professore-scienziato.
Queste le premesse del delizioso film della Dreamworks adattato dalla fortunata serie per ragazzi degli anni ’90 di Pikley. Il successo di quella serie, con numerosi libri, adattamenti e premi, non poteva passare inosservato alla nota casa americana, che con effetti speciali e un dinamismo notevole, rilassa lo spettatore nella sua oretta e mezza di piacevole intrattenimento.
Come ogni cartoon che si rispetti, a un significato superficiale che ha come scopo fondamentale far sorridere, Capitan Mutanda lascia intravedere un messaggio più “alto”, ovvero il potere della risata e dell’amicizia fondamentali nella crescita e nella socialità dei bambini, restituendo la candida “stupidità” propria dell’innocenza rappresentata da Capitan Mutanda.
Non solo: dietro la risata si nasconde l’importanza della creatività che proprio gli adulti tendono a sopprimere e a incasellare dietro blocchi di granitica razionalità. Curioso che il preside Grugno sia proprio l’emblema in tal senso di questo costante pessimismo, poco propenso all’accettazione del riso e ancor più curioso che si trasformi nell’esatto opposto, uno scombinato eroe.
In una delle scene più profonde del film, a mio avviso, George e Harold dopo l’ennesimo recupero di Capitan Mutanda, lo riportano a casa e lo spettacolo che gli si para davanti è decisamente diverso da quello paventato: l’immagine è quella pulita ma al tempo stesso misera e soprattutto raminga della casa di un uomo solo. Un uomo che non riesce a rompere la sua maschera di timidezza (nei confronti della cuoca della mensa di cui è segretamente innamorato) nascondendola dietro una matrice di odio nei confronti di ciò che è diverso da lui, che è felice ovvero il mondo dei bambini.
E allora Capitan Mutanda ci insegna a recuperare quell’infanzia perduta nascosta in ognuno di noi, a non piangersi addosso ma a ridere della vita e affrontarla, quotidianamente (anche e soprattutto) con la dovuta creatività, quella di bambini, quella di “infanti adulti”.
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