Un agente di commercio ormai 63enne, Willy Loman, vive con la frustrazione del vedere il figlio 34enne non ancora realizzato nella vita, nonostante abbia avuto in lui sempre grandi speranze ed aspettative. Dall'età di 17 anni invece ha continuato a deluderlo, lasciando il rugby nonostante fosse una grande promessa, non riuscendosi subito a diplomare per una insufficienza in matematica, e cambiando continuamente lavoro.
A ciò si aggiunge la stanchezza fisica per l'avanzare dell'età, che non gli consente più come prima di svolgere un lavoro in continuo viaggio in macchina, nonché il vedere realizzato il figlio del vicino, secchione da ragazzo, ora brillante avvocato. Poi arriva per lui il colpo di grazia: nel chiedere un posto fisso in ufficio, riceve invece il benservito con tanto di licenziamento, dalla società con cui lavorava da 37 anni, senza riuscire ad arricchirsi.
Tratto dal dramma di Arthur Miller, è la terza riproposizione, questa volta per la tv (ce n'è una anche italiana, con Paolo Stoppa). Il film si concentra soprattutto sulla bravura dei due principali protagonisti, avendo inquadrature statiche e scenografie "da teatro": ovvero di Dustin Hoffman, che offre un'interpretazione intensa e struggente, ma anche di un giovane John Malkovich, che interpreta il figlio primogenito diseredato. Vari sono i "flashback", con il quale il protagonista rivede scene del passato ormai rimpianto, e anche il fratello morto che è stato bravo a farsi strada nel commercio, con audacia, a differenza di lui.
Finale tragico, che getta sul povero Willy un'ultima sconfitta, e delusione.
Lento e intenso, ha la capacità di non stancare malgrado i lunghi dialoghi e le inquadrature statiche. Offre anche una critica alla società contemporanea, eccessivamente arrivista ed egoista.
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