Morte di un commesso viaggiatore [2]

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Un film di Volker Schlöndorff. Con Dustin Hoffman, Kate Reid, John Malkovich Titolo originale Death of a Salesman. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 130 min. - USA 1985.
   
   
   

il mezzo esalta la performance di Hoffman Valutazione 4 stelle su cinque

di carloalberto


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sabato 12 dicembre 2020

Per la complessità dei temi trattati e per la molteplicità delle differenti possibili chiavi di lettura del testo, già la messa in scena teatrale del dramma di Miller si presenta problematica. L’approccio soggettivo del regista sottolineando, in alternativa, il carattere sociologico o esistenziale o ancora psicanalitico dell’opera può far prevalere uno degli elementi sugli altri, di fatto mettendo in scena ogni volta un dramma diverso. Più ardua appare la trasposizione filmica, che condanna all’immutabilità la rappresentazione, cristallizzandola in fotogrammi di celluloide, senza la possibilità di aggiustamenti né di una differente impostazione da una stagione all’altra, ed è, inoltre, segnata sin dall’inizio dalla stessa natura del mezzo, rilevante soprattutto in un adattamento televisivo, come quello di Schlöndorff, che privilegiando il primo piano determina la perdita della visuale a 180 gradi della scena, e di tutti i personaggi che in essa si muovono, e quindi la consequenziale rinuncia alla coralità del dramma, che, invece, coinvolge, in una prospettiva più ampia, tutta la famiglia e non soltanto Willy Loman, interpretato da uno straordinario Dustin Hoffman, per il pubblico italiano, magistralmente doppiato da Ferruccio Amendola.
Willy Loman è un padre ossessivamente presente nella vita dei figli, è un marito autoritario e infedele, è bugiardo con gli altri e con sé stesso, è un commesso viaggiatore stanco del suo lavoro, è un uomo anziano con un inizio di demenza senile, ed è tante altre cose ancora. Nello stesso tempo, Willy Loman incarna sia l’eroe tragico moderno,che, impotente di fronte ad un destino avverso, perseguitato dai fantasmi del passato, consumato dai sensi di colpa per non essere stato un buon padre, si immola per lasciare ai figli il danaro dell’assicurazione e un’immagine di sé dignitosa di cui andar fieri, sia il cittadino della middle class americana che sogna ad occhi aperti, credendo ciecamente nel mito del successo e del danaro da ottenere a tutti i costi, mentre si arrabatta nella dura realtà di ogni giorno per riuscire a pagare il mutuo o la rata del frigo nuovo, acquistato in osservanza ai dettami della religione consumistica nata nel dopoguerra.
Il personaggio del protagonista, dal profilo psicologico complesso, al quale si sovrappongono differenti figure emblematiche, quindi fornisce, per la sua stessa ambiguità, un’ulteriore occasione di sviamento, prestandosi a derive interpretative, che, trascurando o esaltando eccessivamente taluni aspetti del suo carattere, possono condurre non solo alla rappresentazione di un personaggio piuttosto che di un altro, ma, come in questo caso, anche all’oblio delle altre sfaccettature della sua personalità e perfino all’eclissi totale dei temi centrali dell’opera, occultati dalla titanica e debordante presenza scenica del grande mattatore, che catalizza su di sé l’attenzione annullando tutto il resto.
La regia di Schlöndorff incentrandosi tutta su Hoffman, sulla sua  recitazione, sulla sua mimica facciale e corporea, si autolimita espressivamente, mettendo fuori gioco le altre possibili letture, sia dell’opera che del personaggio, rischiando finanche di perdere di vista il dramma esistenziale, potenzialmente universale, del protagonista, che quasi cade in oblio rispetto alla tragedia di un uomo che a causa della sua malattia non riesce più ad affrontare in modo razionale le comuni avversità della vita. Insomma, da dramma esistenziale a trattazione compassionevole di un caso clinico.
Il sogno americano realizzato, personificato dal fratello che ha fatto fortuna, rimane relegato sullo sfondo, simile al coro delle tragedie greche, mimato nella battuta che suona come un irridente refrain:“Giovanotti, è semplice: a diciassette anni entrai nella giungla, a, ventuno ne uscii. E ricco, per Giove!” ripetuta più volte a Willy Loman per rammentargli che il sipario sta per calare sulla sua vicenda umana e che è giunto il tempo di prendere atto del suo fallimento, sebbene sia frustrante, e dolorosamente inaccettabile vederlo riflesso in quello del figlio prediletto, impersonato da un giovane ma già carismatico Malkovich.

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