renato volpone
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venerdì 22 aprile 2011
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profondo e intenso
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Il film ci racconta un'altra faccia ancora della guerra in Iraq, quella dei mercenari e degli affaristi senza scrupoli che organizzano gruppi di "contractors", uomini armati che operano nei paesi in guerra. E' la storia di Frankie che muore in un agguato sulla strada più pericolosa del mondo e di Fergus, il suo più grande amico, che cerca di scoprire la verità su questo incidente. E' un film profondo sulla guerra, sull'amicizia e sull'amore: non lascia respiro. Ci racconta di civili morti, di bambini, di profughi impotenti, di torture di dolore. Ci racconta di quanto è ingiusta la guerra. Ci parla dell'amicizia, di legami profondi, di quanto è puro un amore anche nelle modalità più inconsuete.
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Il film ci racconta un'altra faccia ancora della guerra in Iraq, quella dei mercenari e degli affaristi senza scrupoli che organizzano gruppi di "contractors", uomini armati che operano nei paesi in guerra. E' la storia di Frankie che muore in un agguato sulla strada più pericolosa del mondo e di Fergus, il suo più grande amico, che cerca di scoprire la verità su questo incidente. E' un film profondo sulla guerra, sull'amicizia e sull'amore: non lascia respiro. Ci racconta di civili morti, di bambini, di profughi impotenti, di torture di dolore. Ci racconta di quanto è ingiusta la guerra. Ci parla dell'amicizia, di legami profondi, di quanto è puro un amore anche nelle modalità più inconsuete. Recitato e girato con maestria merita sicuramente di essere visto per avere coscienza di quanto fa male un conflitto agli innocenti.
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filippo catani
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giovedì 28 aprile 2011
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l'amicizia divorata dalla guerra
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Il nuovo film di Ken Loach abbandona decisamente l'atmosfera leggera del Mio amico Eric per immergersi nelle cupe pieghe della guerra in Iraq. Il film racconta la storia di una bellissima e anche drammatica amicizia tra Fergus e Frankie. Il primo convince il secondo a partire per l'Iraq nella sua squadra di contractors prospettandogli guadagni facili e di un certo spessore. Frankie rimane coinvolto in un attentato e Fergus, tornato nella nativa Liverpool, indaga sull'accaduto aiutato dalla compagna di Frankie.
Innanzitutto il filom descrive in maniera cruda e reale quello che è effettivamente il lavoro di questi cosiddetti contractors e soprattutto vuole sottolineare le grandi ambiguità che gravano sulla scelta di invadere l'Iraq e il grande buisness che si cela dietro l'intervento militare.
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Il nuovo film di Ken Loach abbandona decisamente l'atmosfera leggera del Mio amico Eric per immergersi nelle cupe pieghe della guerra in Iraq. Il film racconta la storia di una bellissima e anche drammatica amicizia tra Fergus e Frankie. Il primo convince il secondo a partire per l'Iraq nella sua squadra di contractors prospettandogli guadagni facili e di un certo spessore. Frankie rimane coinvolto in un attentato e Fergus, tornato nella nativa Liverpool, indaga sull'accaduto aiutato dalla compagna di Frankie.
Innanzitutto il filom descrive in maniera cruda e reale quello che è effettivamente il lavoro di questi cosiddetti contractors e soprattutto vuole sottolineare le grandi ambiguità che gravano sulla scelta di invadere l'Iraq e il grande buisness che si cela dietro l'intervento militare. Purtroppo nella visione cupa di Loach anche l'amicizia non riesce a risollevare chi ha perso un amico sul campo o chi è rimasto tragicamente menomato.
La tragica figura di Fergus ci riporta alla mente, seppur in altra ambientazione e con altri metodi di indagine, la dolorosa figura del padre del film Missing di Costa Gravas; entrambi i personaggi non si attengono alla versione ufficiale del governo ma, animati da sentimenti assai nobili al contrario dei carnefici, cercano di portare a galla almeno quel poco di verità in grado di smascherare le bugie del potere. Questa verità riesce a consolare? Per Loach, e anche a nostro giudizio, decisamente no. Resta il fatto che naturalmente chi accetta in cambio di denaro di andare a compiere terribili missioni in uno stato altrui deve anche accettare il rischio di morire. La guerra è un pozzo nero che tutto inghiotte siano esse persone o sentimenti.
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paola di giuseppe
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martedì 26 aprile 2011
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cane randagio 2
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“Yusa, sbandato reduce di guerra, è il cane randagio inevitabilmente destinato a diventare un cane rabbioso da abbattere”.
E’ di Cane randagio di Kurosawa che si parla, siamo nel ’49, ma non si può non tornarvi col pensiero di fronte all’ultima scena di questo film di Loach, mezzo secolo dopo e ancora una sporca guerra da raccontare dalla parte di vittime non innocenti.
Fergus è uno sbandato, senza più passaporto e una familiarità con l’alcool che gli si legge in faccia.
Col miraggio di paghe stratosferiche ha trascinato l’amico d’infanzia e di bisbocce Frankie in quell’avventura irachena su cui da anni lucrano centri di potere di mezzo mondo, e adesso Frankie è morto sulla Route Irish, la strada più pericolosa del mondo, in un tragico settembre, mentre andava e veniva "come una pallina da jo jo" dall’aeroporto alla Green Zone.
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“Yusa, sbandato reduce di guerra, è il cane randagio inevitabilmente destinato a diventare un cane rabbioso da abbattere”.
E’ di Cane randagio di Kurosawa che si parla, siamo nel ’49, ma non si può non tornarvi col pensiero di fronte all’ultima scena di questo film di Loach, mezzo secolo dopo e ancora una sporca guerra da raccontare dalla parte di vittime non innocenti.
Fergus è uno sbandato, senza più passaporto e una familiarità con l’alcool che gli si legge in faccia.
Col miraggio di paghe stratosferiche ha trascinato l’amico d’infanzia e di bisbocce Frankie in quell’avventura irachena su cui da anni lucrano centri di potere di mezzo mondo, e adesso Frankie è morto sulla Route Irish, la strada più pericolosa del mondo, in un tragico settembre, mentre andava e veniva "come una pallina da jo jo" dall’aeroporto alla Green Zone.
Una morte che non convince, c’è un cellulare che da Frankie arriva fortunosamente a Fergus con un filmato che nessuno doveva vedere, un’azione di contractors, mercenari che sparano in corsa ad auto sospette, e passi se in quel momento due bambini sono sul ciglio della strada e uno riprende la scena, si spara anche a loro.
E che dire della famiglia con due bambini che ora insanguina i sedili del taxi crivellato di colpi?
Frankie non ci sta, raccontano che sembrava impazzito, l’Iraq non era per lui, glielo dicevano, lui non era di quelli che escono "per farsi un turbante", come proclamavano gli altri quando andavano ad ammazzare iracheni, e ci ha rimesso la pelle.
Fergus ricostruisce a modo suo la verità, lungo questa strada gli capita anche di sbagliare qualche bersaglio, la tortura è un mezzo che ha imparato da loro e a loro restituisce, ma quando individua quello giusto lo colpisce con stile.
Gli dicevano sempre che il povero Frankie era capitato, ahimè, nel posto sbagliato al momento sbagliato.
The wrong place in the wrong time sarà la sua firma e poi farà la scelta più giusta, e definitiva, per sé.
Un Ken Loach superbo, senza un attimo di respiro, ma come può certa critica parlare di "buone intenzioni ma..." ? E’ un tragico, disperato, a tratti dolente racconto di vite spezzate, è un modo forse unico, nella noiosa pletora di film fioriti sull’argomento, che non sfiori mai la retorica, il compiacimento, che non assolva nessuno e ci mostri la vera faccia di questa e di tante guerre simili.
C’est l’argent qui fait la guerre, signori miei! L’Iraq, dice con voce suadente il business man di turno, ora comincia a non rendere più, bisogna passare al Darfur, e non più azioni di commando ma ricostruzione, imprese, attività di pace più redditizie per le nostre finanze e contratti miliardari da non perdere.
“Ma cosa vuoi Fergus?”, cane randagio con la barba di tre giorni e l’alito che puzza di alcool, perché punti la pistola sulla guancia di Nelson, il Rambo strapagato tornato da laggiù per ripescare quel cellulare e ora alla guida del suo bel Range Rover con una sacca piena di mazze nel bagagliaio?
“Voglio capire perché a voi piace tanto giocare a golf”.
Ecco come parla un grande maestro del cinema.
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giorgio47
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venerdì 27 maggio 2011
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in queste guerre non esistono gli eroi
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Qual’è l’altra verità? La guerra! Semplice, senza sbavature è questa l’altra verità. In Iraq si combatte una guerra e tutti gli uomini che la combattono, sono soldati di mestiere, mercenari o come quelli del film contractors, ma sono tutti uguali, abbrutiti e spesso esaltati, amanti della violenza e tutt’altro che eroi. Questa è la guerra e se qualcuno, per motivi economici, ci capita senza avere queste caratteristiche si trova in un mondo che non riesce a capire e controllare ed allora crea dei problemi. Se il denaro abbondante che gli viene corrisposto non riesce a placare la sua coscienza, diventa un problema. Ed allora i problemi vengono eliminati come avviene a Frankie, l’amico di Fergus.
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Qual’è l’altra verità? La guerra! Semplice, senza sbavature è questa l’altra verità. In Iraq si combatte una guerra e tutti gli uomini che la combattono, sono soldati di mestiere, mercenari o come quelli del film contractors, ma sono tutti uguali, abbrutiti e spesso esaltati, amanti della violenza e tutt’altro che eroi. Questa è la guerra e se qualcuno, per motivi economici, ci capita senza avere queste caratteristiche si trova in un mondo che non riesce a capire e controllare ed allora crea dei problemi. Se il denaro abbondante che gli viene corrisposto non riesce a placare la sua coscienza, diventa un problema. Ed allora i problemi vengono eliminati come avviene a Frankie, l’amico di Fergus. I soldi sono tanti e le società che si arricchiscono in questa guerra hanno manager in doppio petto e ventiquattrore come qualsiasi società. Diciamo che qui i morti su cui si specula sono alla luce del sole, senza la mediazione delle fabbriche e dei suoi incidenti sul lavoro. Il film parte dalla morte di Frankie e racconta la vendetta che porterà a termine Fergus, il quale essendo uomo di guerra, anche se appare, in quanto spinto da un forte senso dell’amicizia e lontano “dal fronte”, migliore, provocherà comunque degli “effetti collaterali” che sono gli stessi che avevano inorridito Frankie rendendolo inadatto al ruolo per cui era pagato. Fergus non è un eroe e i superman non esistono. Di fronte alla tortura anche il contractors più bieco e violento piange e confessa colpe non sue. L’unico gesto che rende umano Fergus è la sua fine. Un film in apparenza quasi spettacolare, che rasenta l’azione di un thriller, ma che in effetti è molto più duro di quello che appare ad un primo impatto.
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alessandro di fiore
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giovedì 23 agosto 2012
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un pacifista integrale
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In tanti modi può essere realizzato un film di denuncia contro la guerra. Uno dei modi più efficaci è quello di abbandonare la contrapposizione tra categorie: bianchi contro neri, o iracheni contro americani, o buoni contro cattivi. Il conflitto vero infatti non è sul campo di battaglia, ma è dentro le nostre coscienze. Le quali sono complicate e contraddittorie perché tra l’aspirazione al bene e la tentazione al male contengono una pluralità di sfumature, tante quante sono contenute tra li bianco e il nero. E allora, se si condivide il primato della coscienza, e della sua complessità, non può mai accogliersi la forzosa semplificazione di visioni manichee in qualunque teatro di guerra.
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In tanti modi può essere realizzato un film di denuncia contro la guerra. Uno dei modi più efficaci è quello di abbandonare la contrapposizione tra categorie: bianchi contro neri, o iracheni contro americani, o buoni contro cattivi. Il conflitto vero infatti non è sul campo di battaglia, ma è dentro le nostre coscienze. Le quali sono complicate e contraddittorie perché tra l’aspirazione al bene e la tentazione al male contengono una pluralità di sfumature, tante quante sono contenute tra li bianco e il nero. E allora, se si condivide il primato della coscienza, e della sua complessità, non può mai accogliersi la forzosa semplificazione di visioni manichee in qualunque teatro di guerra. Questa volta è l’Iraq, ma potrebbe essere ogni altro angolo del pianeta. A comprendere sulla propria pelle ciò che non è ovvio solo in tempo di guerra, cioè la preminenza della persona sulla categoria, è un mercenario, nel corso della sua personale indagine rivolta a scoprire le reali dinamiche che hanno condotto alla morte il proprio amico del cuore. Le vicende personali in tempo di guerra possono trasformare con assoluta disinvoltura l’amico in nemico e viceversa. Il che rende l’esito del proprio percorso psicologico del tutto autonomo rispetto all’esito di un combattimento: i vincitori in guerra si leggono solo sui libri di storia, perché la coscienza di ciascuno, vincitore o vinto che sia, ne esce sempre sconfitta e lacerata. La potenza del messaggio pacifista sta proprio qui, nel fatto che la guerra costituisce l’annuncio della sconfitta della persona prima ancora che il campo di battaglia dia il proprio responso. “L’altra verità” di Ken Loach costituisce la visione antimanichea applicata alla guerra, che ne “In questo mondo libero” era applicata all’universo del precariato. Ben vengano film come questo, che con stile impeccabile e in assenza di truculenze tarantiniane ci rende partecipi dello sdegno verso ogni forma di conflitto armato.
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alessandro di fiore
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giovedì 23 agosto 2012
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un pacifista integrale
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In tanti modi può essere realizzato un film di denuncia contro la guerra. Uno dei modi più efficaci è quello di abbandonare la contrapposizione tra categorie: bianchi contro neri, o iracheni contro americani, o buoni contro cattivi. Il conflitto vero infatti non è sul campo di battaglia, ma è dentro le nostre coscienze. Le quali sono complicate e contraddittorie perché tra l’aspirazione al bene e la tentazione al male contengono una pluralità di sfumature, tante quante sono contenute tra li bianco e il nero. E allora, se si condivide il primato della coscienza, e della sua complessità, non può mai accogliersi la forzosa semplificazione di visioni manichee in qualunque teatro di guerra.
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In tanti modi può essere realizzato un film di denuncia contro la guerra. Uno dei modi più efficaci è quello di abbandonare la contrapposizione tra categorie: bianchi contro neri, o iracheni contro americani, o buoni contro cattivi. Il conflitto vero infatti non è sul campo di battaglia, ma è dentro le nostre coscienze. Le quali sono complicate e contraddittorie perché tra l’aspirazione al bene e la tentazione al male contengono una pluralità di sfumature, tante quante sono contenute tra li bianco e il nero. E allora, se si condivide il primato della coscienza, e della sua complessità, non può mai accogliersi la forzosa semplificazione di visioni manichee in qualunque teatro di guerra. Questa volta è l’Iraq, ma potrebbe essere ogni altro angolo del pianeta. A comprendere sulla propria pelle ciò che non è ovvio solo in tempo di guerra, cioè la preminenza della persona sulla categoria, è un mercenario, nel corso della sua personale indagine rivolta a scoprire le reali dinamiche che hanno condotto alla morte il proprio amico del cuore. Le vicende personali in tempo di guerra possono trasformare con assoluta disinvoltura l’amico in nemico e viceversa. Il che rende l’esito del proprio percorso psicologico del tutto autonomo rispetto all’esito di un combattimento: i vincitori in guerra si leggono solo sui libri di storia, perché la coscienza di ciascuno, vincitore o vinto che sia, ne esce sempre sconfitta e lacerata. La potenza del messaggio pacifista sta proprio qui, nel fatto che la guerra costituisce l’annuncio della sconfitta della persona prima ancora che il campo di battaglia dia il proprio responso. “L’altra verità” di Ken Loach costituisce la visione antimanichea applicata alla guerra, che ne “In questo mondo libero” era applicata all’universo del precariato. Ben vengano film come questo, che con stile impeccabile e in assenza di truculenze tarantiniane ci rende partecipi dello sdegno verso ogni forma di conflitto armato.
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angelo umana
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mercoledì 24 dicembre 2014
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le rogole d'ingaggio
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Liverpool 2007. Ken Loach non fa sconti, non edulcora o soavizza le vicende che racconta, le lascia drammatiche se lo sono, sempre graffianti, di impegno e funzione sociale. Qui si tratta dei contractors della guerra in Iraq, i mercenari, quelli le cui regole d’ingaggio comportavano uno stipendio da 10000 sterline al mese esentasse. Con questo attrattivo Fergus aveva convinto Frankie a prendere questo “lavoro”: grandi amici fin da bambini , condividevano tutto, dalle gite in battello per marinare la scuola alla ragazza di Frankie, Rachel, che diventerà di Fergus una volta che il primo, un 1° settembre, viene ucciso laggiù.
La sua morte è avvenuta nella Route Irish (titolo originale) che porta da Baghdad alla zona verde, a 2 km.
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Liverpool 2007. Ken Loach non fa sconti, non edulcora o soavizza le vicende che racconta, le lascia drammatiche se lo sono, sempre graffianti, di impegno e funzione sociale. Qui si tratta dei contractors della guerra in Iraq, i mercenari, quelli le cui regole d’ingaggio comportavano uno stipendio da 10000 sterline al mese esentasse. Con questo attrattivo Fergus aveva convinto Frankie a prendere questo “lavoro”: grandi amici fin da bambini , condividevano tutto, dalle gite in battello per marinare la scuola alla ragazza di Frankie, Rachel, che diventerà di Fergus una volta che il primo, un 1° settembre, viene ucciso laggiù.
La sua morte è avvenuta nella Route Irish (titolo originale) che porta da Baghdad alla zona verde, a 2 km. dall’aeroporto, la più pericolosa del mondo. Lì Frankie era stato mandato altre volte, almeno tre, senza nessuno da prelevare. Fergus scopre che è stata un’esecuzione quella del suo amico, fatta dai suoi stessi colleghi: si opponeva alle angherie e violenze che i suoi commilitoni, novelli cow-boys, praticavano sulle persone del luogo che, è detto nel film, se non erano di Al-Qaeda lo diventavano subito dopo. La regola interna di questi contractors era Niente sangue niente peccato, così tutto diventava praticabile o giustificato. Le società che contrattavano i mercenari avevano grosse collaborazioni coi governi, si sarebbero accaparrate anche le opere di ricostruzione. Si occupavano però delle esequie dei caduti e delle omelie agli eroi dimenticati del nostro tempo.
Dopo tutte le sue private indagini Fergus è preso in una spirale di violenza, cerca di farsi giustizia da sé, fino a un punto di non ritorno: vorrebbe tornare a essere un pezzetto dell’uomo di prima ma – scrive in un messaggio a Rachel - è meglio abbattere un cane rabbioso prima che morda qualcun altro.
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(di angelo umana)
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figliounico
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mercoledì 27 marzo 2024
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thriller denuncia
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Costruito come un thriller, L’altra verità ne ha tutte le caratteristiche e non mancano suspense, azione e mistero da risolvere nel finale, ma è la firma di Ken Loach a rendere un normale action movie un film di denuncia politica e sociale che prende di mira le potenti compagnie private militari e i crimini da loro commessi, spesso impunemente grazie a complicità prezzolate nelle istituzioni, e quando mai, nelle martoriate terre dell’Iraq. Stigmatizzato lo sfruttamento cinico del caos per fare soldi sulla pelle della povera gente, trattata come le bestie al macello, Loach si concentra sulla crisi di coscienza del protagonista, interpretato efficacemente dal poco noto Mark Womack, con un esito non del tutto prevedibile della sua drammatica vicenda personale.
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sarita
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domenica 8 maggio 2011
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la guerra che genere guerra
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Fergus e Frankie, amici d’infanzia, erano contractors in Iraq: soldati con il compito di proteggere i privati (giornalisti, reporters, industriali..).
Dall’ Iraq Fergus torna solo, espulso con il pretesto di una scazzottata tra commilitoni in un bar: Frankie muore in un attentato lungo la Route Irish, la strada di Baghdad che ha fama di essere la più pericolosa del mondo.
Ma Fergus sa che l’amico era un uomo fortunato e non crede e non crederà mai al semplice concetto con cui le alte sfere militari motivano la sua morte: Frankie si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato.
In questo film Ken Loach approfondisce un concetto per lui altrettanto semplice: nessuno torna vivo da una guerra.
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Fergus e Frankie, amici d’infanzia, erano contractors in Iraq: soldati con il compito di proteggere i privati (giornalisti, reporters, industriali..).
Dall’ Iraq Fergus torna solo, espulso con il pretesto di una scazzottata tra commilitoni in un bar: Frankie muore in un attentato lungo la Route Irish, la strada di Baghdad che ha fama di essere la più pericolosa del mondo.
Ma Fergus sa che l’amico era un uomo fortunato e non crede e non crederà mai al semplice concetto con cui le alte sfere militari motivano la sua morte: Frankie si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato.
In questo film Ken Loach approfondisce un concetto per lui altrettanto semplice: nessuno torna vivo da una guerra.
Fergus ci torna senza identità, non a caso il suo passaporto gli è stato sequestrato in Iraq, abbruttitito dalle violenze commesse e viste commettere, perseguitato dai ricordi delle scene di guerra, anaffettivo e aggressivo.
Che cosa gli rimane, se non scoprire la verità sulla morte dell’amico e vendicarla con qualsiasi mezzo?
Ma il suo bisogno di vendetta non genera altro che una nuova guerra, violenza che chiama violenza, odio che chiama odio.
E’ una spirale senza via d’uscita che invece di farlo tornare un ”civile” e reintegrarlo nella società lo isola ancora di più e lo allontana irrimediabilmente anche da lei, Rachel, l’unica cosa che lui e Frankie non si sono mai divisi, la donna del suo migliore amico, amata anche da lui, probabilmente da sempre.
Nell’inquadratura simbolo di tutto il film Fergus vede Rachel attraverso il vetro smerigliato di una porta socchiusa e solo lì, dietro un vetro a segnare l’insuperabile distanza, riesce ad allungarle la mano e a far affiorare il sentimento; ma è questione di un attimo e la porta si richiude.
Il tema della guerra e dei traumi post-guerra non è certamente nuovo nel cinema, ma ciò che rende questo film meritevole di essere visto è l’intenzione: quella di risvegliare coscienze ormai intorpidite e assuefatte alle immagini di guerra sulla non scontatezza e la non ammissibilità: non è scontato che in una guerra debbano morire dei bambini, non è ammissibile l’uso della tortura, non è scontato che un uomo si svegli di notte in preda agli incubi per essere stato un soldato, non è ammissibile che per salvaguardare interessi e poteri si nasconda la verità.
Ken Loach è un idealista senza senso della realtà? Sì, e sembra fiero di esserlo.
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paapla
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lunedì 25 aprile 2011
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bertold brech
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Ken Loach si laurea in giurisprudenza a Oxford e negli anni ’60 ha costretto il Governo britannico a migliorare la legge per i senzatetto, con una produzione di telefilm. Ken Loach è sempre stato dalla parte del torto e come direbbe Bertold Brecht «Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati.»
L’Altra verità punta il dito sulle squadre dei contractor inglesi, che avrebbero continuato a chiamare rozzamente “ squadre di mercenari”, con il vantaggio di ricordare gli orrori commessi dalla Legione Straniera ad Algeri e in Africa. Il film è girato in una Liverpool grigia e triste, dove i contractor di ritorno dall’Iraq si distraggono giocando a Golf e firmano lucrosi contratti.
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Ken Loach si laurea in giurisprudenza a Oxford e negli anni ’60 ha costretto il Governo britannico a migliorare la legge per i senzatetto, con una produzione di telefilm. Ken Loach è sempre stato dalla parte del torto e come direbbe Bertold Brecht «Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati.»
L’Altra verità punta il dito sulle squadre dei contractor inglesi, che avrebbero continuato a chiamare rozzamente “ squadre di mercenari”, con il vantaggio di ricordare gli orrori commessi dalla Legione Straniera ad Algeri e in Africa. Il film è girato in una Liverpool grigia e triste, dove i contractor di ritorno dall’Iraq si distraggono giocando a Golf e firmano lucrosi contratti. Dei milioni di civili iracheni morti sotto i bombardamenti e uccisi dai contractor sembrano non fregare a nessuno! La cinematografia indipendente deve essere sostenuta soprattutto dal pubblico, a Cosenza i cinefili non si sono accorti del passaggio dell’ultimo lavoro di Ken Loach.
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