Film straordinario e paradigmatico di tutto il cinema di Ferreri, non solo nella struttura e nel montaggio ma anche nel destino 'civile'. Nasce nel 1965, viene normalizzato a grottesco siparietto dal suo produttore e riesce a uscire in vensione integrale solo in Francia quattro anni più tardi. Ce ne vorranno altri dieci perchè possa avere una distribuzione italiana. E contiene di tutto: dal meraviglioso e ironico incipit à la Jetée che fa il verso anche al fotoromanzo, all'uso espressivo e non didascalico della musica, al trattamento del colore per scandire il mondo regolare della famiglia, dell'impresa e del lavoro da quello psichedelico della pura trasgressione che racconta senza sporcarsi mai le mani con la cronaca o la retorica.
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Film straordinario e paradigmatico di tutto il cinema di Ferreri, non solo nella struttura e nel montaggio ma anche nel destino 'civile'. Nasce nel 1965, viene normalizzato a grottesco siparietto dal suo produttore e riesce a uscire in vensione integrale solo in Francia quattro anni più tardi. Ce ne vorranno altri dieci perchè possa avere una distribuzione italiana. E contiene di tutto: dal meraviglioso e ironico incipit à la Jetée che fa il verso anche al fotoromanzo, all'uso espressivo e non didascalico della musica, al trattamento del colore per scandire il mondo regolare della famiglia, dell'impresa e del lavoro da quello psichedelico della pura trasgressione che racconta senza sporcarsi mai le mani con la cronaca o la retorica.
E' un film liberatorio che dimostra che sarebbe potuta esistere anche una nouvelle vague italiana, che Mastroianni poteva essere un Antoine Doinel e non solo un paternalissimo seduttore latino, insomma che sapevamo bene quello che stava succedendo nel mondo e che avremmo anche potuto parteciparvi. Probabilmente la totale mancanza di snobismo e la candida semplicità non hanno attivato quella rete di mutuo soccorso su cui potevano contare registi più conclamatamente 'impegnati', certamente più afferrabili di Ferreri. Paradigmatico quindi anche per il tipico macinare di caratteri femminili in nuce, ora quello di Catherine Spaak che dall'alto dei suoi vent'anni prepara la sua erede di quattordici curandone il look, ma anche per la classica uscita di scena dal retrogusto buñueliano nella totale indifferenza di chi resta, o nel dire 'il cibo è la vera droga, altro che la cocaina', mentre il regista affonda la sua faccia tonda in un enorme panino, da Peck, nostro vero Café de Flore.
Un film assolutamente da far conoscere anche per uscire dal perenne imbarazzo di avere una sola borghesissima destinazione d'uso, una sterminata famiglia di soldati e spose in tutte le varianti locali e regionali.
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