angea
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domenica 31 luglio 2011
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un lupo tarkovskiano
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Dopo "la pianista", film ispirato a un tempo sia a Kubrick sia a Buñuel, il regista Michael Haneke continua con "il tempo dei lupi" un interessantissimo progetto di contaminazione tra artisti diversi. In questo caso la pellicola è in bilivo tra lo svedese Bergmann e il russo Tarkovskij. Al regista svedese varie recensioni hanno fatto riferimento (lo stesso titolo del film di Haneke è ispirato a "l'ora del lupo" di Bergman). Mi vorrei quindi concentrare sul regista russo. Fin nella scelta delle immagini il primo pensiero che mi è venuto è stato a "Stalker" (un'immensa distesa di prati e alberi, i colori scuri, forte presenza di grigi e di verde). Ma anche la trama ha molte analogie con Stalker.
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Dopo "la pianista", film ispirato a un tempo sia a Kubrick sia a Buñuel, il regista Michael Haneke continua con "il tempo dei lupi" un interessantissimo progetto di contaminazione tra artisti diversi. In questo caso la pellicola è in bilivo tra lo svedese Bergmann e il russo Tarkovskij. Al regista svedese varie recensioni hanno fatto riferimento (lo stesso titolo del film di Haneke è ispirato a "l'ora del lupo" di Bergman). Mi vorrei quindi concentrare sul regista russo. Fin nella scelta delle immagini il primo pensiero che mi è venuto è stato a "Stalker" (un'immensa distesa di prati e alberi, i colori scuri, forte presenza di grigi e di verde). Ma anche la trama ha molte analogie con Stalker. In entrambi i film è presente una "zona" che risulta isolata dal resto del mondo. In entrambi i film nelle "zone" avvengono dei fatti inquietanti, e non spiegati, che rendono la vita umana problematica. Ancora: in entrambi i film sono presenti delle figure misteriose legate, sia pure in modo diverso, al tema dello spirito (i "trentasei" del film di Haneke e gli stalker in Tarkovskij). Sono presenti anche suggestioni tarkovskiane come l'acqua o i cavalli (si pensi a Solaris, L'infanzia di Ivan, Andreij Rublov e, perfino, Nostalghia). Il finale del film si richiama esplicitamente a Sacrificio di Tarkovskij (il bambino pronto a immolarsi nel fuoco pur di salvare le persone con le quali è costretto a convivere). Un'altra scelta stilistica di impronta tarkovskiana è nella volontà di non usare una colonna sonora (l'unica musica che si ascolta è un movimento di una sonata di Beethoven completamente sommerso dai rumori intorno); è noto che Tarkovskij sognava di realizzare un film in cui non ci sarebbe stato spazio per la musica. La cosa più importante però è il sottinteso riferito alla trama: né in Tarkovskij né in Haneke le "zone" vogliono dire qualcosa di particolare. In entrambi i casi essi rappresentano semplicemente la vita: le zone sono la vita, noi stessi viviamo ogni giorno la zona. Se ci pensiamo un attimo la nostra vita è esattamente questo: trovarsi in attesa di un treno che ci porti altrove, tra gente più diversa, molta della quale è lupo tra i lupi (le guerre, gli omocidi, i furti, la violenza, ecc.), ma altri mantengono ancora una loro umanità. L'unica speranza è il sacrificio, il sacrificio per gli altri ... e ci sono persone in questo mondo ancora disposte a questo ... Certo l'esito non è all'altezza dell'opera di Tarkovskij ma gli si dovrebbe almeno riconoscere un'originalità e un'onesta non comune. Film faticoso ma che merita più quanto sia considerato (avrei propeso per tre stelle e mezzo, ma non essendo possibile opto per quattro). Un ultimo accenno alla attrice Florence Loiret Caille che sia pure con una particina davvero esile, riesce a rappresentare perfettamente il dramma delle vita violata ...
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gianleo67
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venerdì 25 ottobre 2013
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cronache della fine del mondo
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Dopo aver perso il marito, ucciso dall'uomo che ha occupato insieme alla propria famiglia la sua casa nella campagna francese, una donna si ritrova a vagare insieme ai due giovani figli nel paesaggio desolato di un oscuro tempo post-apocalittico, in cui scarseggiano i viveri e la gente si trasferisce sempre più numerosa dalle città combattendo per la sopravvivenza e attendendo il treno che li conduca verso la salvezza.
Tra le allusioni extradiegetiche di una fantascienza sociologica e il marchio di fabbrica di una amara allegoria sulle miserie (e gli splendori) della natura umana, il regista tedesco precipita i personaggi di questo dramma della sopravvivenza nelle angosce ed i tormenti di una lucida disillusione esistenziale, di un dopo e di un altrove che tace sulle cause di una plausibile catastrofe per dissezzionarne, con impietoso cinismo, gli ineluttabili effetti.
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Dopo aver perso il marito, ucciso dall'uomo che ha occupato insieme alla propria famiglia la sua casa nella campagna francese, una donna si ritrova a vagare insieme ai due giovani figli nel paesaggio desolato di un oscuro tempo post-apocalittico, in cui scarseggiano i viveri e la gente si trasferisce sempre più numerosa dalle città combattendo per la sopravvivenza e attendendo il treno che li conduca verso la salvezza.
Tra le allusioni extradiegetiche di una fantascienza sociologica e il marchio di fabbrica di una amara allegoria sulle miserie (e gli splendori) della natura umana, il regista tedesco precipita i personaggi di questo dramma della sopravvivenza nelle angosce ed i tormenti di una lucida disillusione esistenziale, di un dopo e di un altrove che tace sulle cause di una plausibile catastrofe per dissezzionarne, con impietoso cinismo, gli ineluttabili effetti.
Puntando sul rigore di una messa in scena emendata da espliciti riferimenti narrativi e sugli scenari disadorni di una apparente (talora rassicurante) normalità, Haneke riproduce una sorta di esperimento sociologico in cui emergano chiare pulsioni e desideri, istinti e razionalità, vizi e virtù di una desolata comunità messa di fronte alle scelte radicali che impone la sopravvivenza nell'anno zero di una Terra avvelenata dal fall-out radioattivo e dalla follia umana. Questo radicalismo teorico tuttavia sembra incrinarsi di fronte ad una insensibile deriva sentimentale ed alla irresistibile tentazione di una facile simbologia dell'avvento (la bambina di nome Eva che scrive lettere ad un padre morto,la leggenda di una genie di 'giusti' pronti ad immolarsi per la salvezza del mondo, il treno che corre verso la remota destinazione di un eden verdeggiante) rimarcando i luoghi comuni dell'apologo piuttosto che perseverare sul crinale più difficile e angusto del racconto morale, dove il crudo realismo di una umanità residuale sia l'unica cifra formale a cui riferire gli scarni elementi della narrazione. Plausibile dal punto di vista psicologico, appare forzato nella presunzione didascalica della massima 'Hobbesiana' dell'uomo animale egoista (diremmo meglio predatore) riconducendo la materia trattata alla esemplare dimostrazione di un radicale nichilismo etico (la comunità che si aggrega attorno ad un capo-branco che concupisce le femmine e raziona i viveri, il relativismo morale di assassini che negano la efferetezza del proprio crimine dietro la parvenza di miti patres familiam, il ragazzino irrimediabilmente alienato alla vita sociale) contraddetto dall'amorevole slancio dell'uomo che salva il bambino dall'atroce destino di un 'auto da fè' nel commovente finale. Straordinarie le interpreti femminili tra la maschera impassibile di una intensa Isabelle Huppert e il dolente candore della giovanissima Anaïs Demoustier. Ingenerosi i fischi alla presentazione fuori concorso al 56º Festival di Cannes. Cronache della fine del mondo.
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guidobaldo maria riccardelli
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mercoledì 6 aprile 2016
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attuale e da rivalutare
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Pellicola attualissima, vivida e spiazzante, ingiustamente poco celebrata a suo tempo.
Michael Haneke ci immerge nell'azione senza avvertimenti, ci spiazza creando sentimenti empatici verso i protagonisti, non servono spiegazioni, semplicemente perché non ci sono.
Suggestiva la fotografia, con un uso superbo della luce delle fiamme, unico riferimento nel mezzo dell'oscurità, ulteriormente potenziata dall'utilizzo sapiente dei campi lunghissimi, adeguati agli scenarii post-apocalittici.
Il finale si presta alle interpretazioni, anche se parrebbe lasciare una luce, ancorché fioca, in vita.
Di tutto rispetto il cast, dove brilla una profonda Anaïs Demoustier.
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ennio
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sabato 15 dicembre 2018
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il postapocalittico che non ti aspetti da haneke
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Rispetto agli altri film di genere distopico/postapocalittico, "il tempo dei lupi" ha il pregio di non dichiararsi tale. Lo si capisce solo dopo un pò, e non vengono mai date notizie su ciò che è successo prima e su quello che succederà dopo. In un certo senso è il più realistico tra i film di questo genere: non presenta società totalitarie, natura distrutta o epidemie devastanti, ma solo la difficoltà e la miseria di una piccola comunità di reduci che cerca di tirare avanti nell'improvviso postdisastro. L'acqua e il cibo diventano i quotidiani pensieri delle persone. Forse solo "the road" gli assomiglia un pò come impostazione umanistica.
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Rispetto agli altri film di genere distopico/postapocalittico, "il tempo dei lupi" ha il pregio di non dichiararsi tale. Lo si capisce solo dopo un pò, e non vengono mai date notizie su ciò che è successo prima e su quello che succederà dopo. In un certo senso è il più realistico tra i film di questo genere: non presenta società totalitarie, natura distrutta o epidemie devastanti, ma solo la difficoltà e la miseria di una piccola comunità di reduci che cerca di tirare avanti nell'improvviso postdisastro. L'acqua e il cibo diventano i quotidiani pensieri delle persone. Forse solo "the road" gli assomiglia un pò come impostazione umanistica.
Ciò che manca a "il tempo dei lupi" è forse l'epica, l'assolo recitativo, la speranza dietro l'angolo. Per questo motivo anche se è un film ben fatto si lascia probabilmente dimenticare più facilmente di altri.
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noia1
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lunedì 15 settembre 2014
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sconsigliato a chi cerca impatto e ritmo.
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Una famigliola si ritrova senza più il capofamiglia, mamma e figli dovranno affrontare il mondo soli.
Haneke sempre intenso, un viaggio angosciante di una famiglia a cui cade il mondo addosso, l’impatto della loro ingenuità contro la crudeltà del mondo più rude che esista dove non c’è pietà o fratellanza ma solo un altro modo per fregare o sfruttare il prossimo.
Un mondo disperato, le persone quando si ritrovano a dover fare i conti con la miseria tirano fuori il peggio di sé: la rabbia, la meschinità, lo spirito servile, la permissione di oltraggi ai prorpi corpi. Quasi bestie perché come il lupo a cui il giovane era tanto affezionato, affamato, lo morde, successivamente si vedrà dove sono disposti a spingersi alcuni elementi pur di campare un giorno in più.
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Una famigliola si ritrova senza più il capofamiglia, mamma e figli dovranno affrontare il mondo soli.
Haneke sempre intenso, un viaggio angosciante di una famiglia a cui cade il mondo addosso, l’impatto della loro ingenuità contro la crudeltà del mondo più rude che esista dove non c’è pietà o fratellanza ma solo un altro modo per fregare o sfruttare il prossimo.
Un mondo disperato, le persone quando si ritrovano a dover fare i conti con la miseria tirano fuori il peggio di sé: la rabbia, la meschinità, lo spirito servile, la permissione di oltraggi ai prorpi corpi. Quasi bestie perché come il lupo a cui il giovane era tanto affezionato, affamato, lo morde, successivamente si vedrà dove sono disposti a spingersi alcuni elementi pur di campare un giorno in più.
Tante sensazioni, atmosfere cupe e rarefatte quasi che il mondo non sia più quello che conosciamo, la solitudine nella sua forma più struggente dove la situazione più drammatica, più che dagli eventi, è mostrata proprio dalle persone stesse.
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