ggalletti
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mercoledì 15 marzo 2006
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l'identità e la memoria
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In un Hotel fatto di corridoi vuoti che finiscono in saloni da cui si aprono altri corridoi, domina il silenzio della non-identità. Si percepiscono frammenti di discorsi scollegati ad altri discorsi che potrebbero stare in bocca a questo o quest'altro avventore, ma che inesorabilmente si dileguano nel silenzio. In questo Hotel lugubre e freddo si perde la memoria dell'uomo e della società. Nessuno ha memoria di chi è e del perchè si trova lì. Tutti tranne uno, che fa leva proprio sulla memoria per portare via la donna che insegue in questo labirinto di corridoi, di saloni e di nulla. Eppure non si capisce se egli agisca in nome della memoria di qualcosa accaduto davvero, oppure se la sua è l'invenzione di un fatto che, per chi comunque non ha memoria, non è più importante se sia vero o falso.
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In un Hotel fatto di corridoi vuoti che finiscono in saloni da cui si aprono altri corridoi, domina il silenzio della non-identità. Si percepiscono frammenti di discorsi scollegati ad altri discorsi che potrebbero stare in bocca a questo o quest'altro avventore, ma che inesorabilmente si dileguano nel silenzio. In questo Hotel lugubre e freddo si perde la memoria dell'uomo e della società. Nessuno ha memoria di chi è e del perchè si trova lì. Tutti tranne uno, che fa leva proprio sulla memoria per portare via la donna che insegue in questo labirinto di corridoi, di saloni e di nulla. Eppure non si capisce se egli agisca in nome della memoria di qualcosa accaduto davvero, oppure se la sua è l'invenzione di un fatto che, per chi comunque non ha memoria, non è più importante se sia vero o falso.
Così la storia di quest'uomo e questa donna potrebbe essere la storia di qualsiasi uomo e qualsiasi donna nell'Hotel. Una storia che può avere o non avere un esito, perchè tanto di quell'esito se ne perderà memoria e la storia ricomincerà da capo, forse tra chi l'ha interpretata in un breve arco di tempo, forse da altri due avventori dell'Hotel. La società senza memoria non ha nemmeno un'identità, e si rigenera sempre uguale a se stessa, senza passato, senza futuro, senza tempo, tra corridoi che portano a saloni vuoti, da cui si aprono altri corridoi...
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gianleo67
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lunedì 10 marzo 2014
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l'ingannevole verità della memoria
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Avvenente ed algida signora della buona borghesia tedesca,in vacanza estiva in uno sfarzoso e barocco hotel bavarese in compagnia del marito intraprende,insieme ad un aitante ed insistente spasimante, un lungo 'tour de force' della memoria nel rivocare gli accadimenti dell'anno precedente e nello stesso luogo, in cui lui sostiene di averla conosciuta e sedotta e che lei invece nega con pervicace ed ostinata determinazione. Chi dei due avrà ragione?
Sullo spunto di un soggetto non originale (il romanzo 'L'invenzione di Morel' dello scrittore argentino Adolfo Bioy Casares) lo sceneggiatore prediletto di Resnais costruisce una originalissima partitura cinematografica che risuona (sin dagli echi ipnotici del monologo iniziale) come una ridondante litania che ci addentra nei recessi insondabili di un austera magione bavarese come all'interno di un interminabile e indefinito processo di conoscenza, lungo le ingannevoli scorciatoie di una memoria mutevole e infingarda che sembra restituirci ad ogni angolo, lungo ogni corridoio, in ogni salone decorato 'a fregi e colonne', il senso di una fantasmatica presenza, minacciosa e oscura, quale lo spettro di una paradossale ed inaccettabile verità.
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Avvenente ed algida signora della buona borghesia tedesca,in vacanza estiva in uno sfarzoso e barocco hotel bavarese in compagnia del marito intraprende,insieme ad un aitante ed insistente spasimante, un lungo 'tour de force' della memoria nel rivocare gli accadimenti dell'anno precedente e nello stesso luogo, in cui lui sostiene di averla conosciuta e sedotta e che lei invece nega con pervicace ed ostinata determinazione. Chi dei due avrà ragione?
Sullo spunto di un soggetto non originale (il romanzo 'L'invenzione di Morel' dello scrittore argentino Adolfo Bioy Casares) lo sceneggiatore prediletto di Resnais costruisce una originalissima partitura cinematografica che risuona (sin dagli echi ipnotici del monologo iniziale) come una ridondante litania che ci addentra nei recessi insondabili di un austera magione bavarese come all'interno di un interminabile e indefinito processo di conoscenza, lungo le ingannevoli scorciatoie di una memoria mutevole e infingarda che sembra restituirci ad ogni angolo, lungo ogni corridoio, in ogni salone decorato 'a fregi e colonne', il senso di una fantasmatica presenza, minacciosa e oscura, quale lo spettro di una paradossale ed inaccettabile verità.
Proprio la destrutturazione del racconto di Alain Robbe-Grillet segna lo scarto insanabile nel flusso di coscieza sospeso tra paura e desiderio, cristallizza la memoria entro i rigidi confini di uno spazio apparentemente chiuso, austero, sfarzosamente barocco; l'ingannevole scenografia di un labirintico ginepraio (la gabbia di una inafferrabile memoria), la messa in scena tra finzione e verità in cui si materializza un ricordo irrisolto quale contraddizione statica tra il desiderio di protezione dell'uomo e lo slancio in avanti della donna che campeggia enigmatica e sibillina come l'incerta scena di caccia di due amanti in fuga. Più che una facile metafora sul gioco di specchi tra finzione teatrale e rappresentazione del reale (che alla fine del prologo ed all'inizio dell'epilogo sembrano trovare una misteriosa e sibillina consonanza: l'aleggiare sospeso e minaccioso della vendetta fedifraga di un tragico 'menage a trois') è nel tempo del racconto meta-cinematografico che si misura la dimensione della struttura narrativa, quale ardita rappresentazione scenografica del plausibile o del possibile, lungo gli infiniti snodi di un insondabile processo di conoscenza laddove si confondono realtà e desiderio, verità e finzione, ieri e oggi (L'anno scorso? E dove? A Marienbad?).
Il capzioso disallineamento tra dialoghi e scene nell'eterno ritorno di una memoria frammmentata, scissa , disorientata e che pure recupera con una pervicacia estenuante gli echi di una verità ridondante (il bicchiere che cade, il tacco che si rompe, la fuga d'amore).
Divertissement raffinato e sfrontato esperimento cinematografico coglie i personaggi nelle pose semistatiche di una dimensione sospesa e dove brillano, come diafane divinità immanenti, i volti interdetti dei giovani amanti: lo sguardo ribelle di un giovane e aitante Giorgio Albertazzi e la languida e assente condiscendenza di una indifesa Delphine Seyrig. Leone d'oro a Venezia 1961, a dieci anni esatti dall'exploit lagunare del 'Rashomon' di Kurosawa: un'altro, formidabile saggio sulla ingannevole verità della memoria.
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salvo
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domenica 7 dicembre 2014
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una sorta di sciarada per iniziati.
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PRETENZIOSO E PRESUNTUOSO COME LA QUASI TOTALITA' DEI FILM FRANCESI, SPECIE QUELLI DEI CRITICI INTELLETTUALI CHE ANNOIATI DALLA SCRITTURA SI MISERO A FARE FILM.
COME DIRE: SE DOBBIAMO ANDARE A VEDERE E RECENSIRE LA MERDA DI ALTRI, PRODUCIAMOLA NOI!
Il film è freddo e inutilmente intellettualistico.
In più non ha sviluppo pur pretendendo di averne uno.
Dall'inizio alla fine dominano le allusioni e gli attori si muovono sulla scena come marionette.
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PRETENZIOSO E PRESUNTUOSO COME LA QUASI TOTALITA' DEI FILM FRANCESI, SPECIE QUELLI DEI CRITICI INTELLETTUALI CHE ANNOIATI DALLA SCRITTURA SI MISERO A FARE FILM.
COME DIRE: SE DOBBIAMO ANDARE A VEDERE E RECENSIRE LA MERDA DI ALTRI, PRODUCIAMOLA NOI!
Il film è freddo e inutilmente intellettualistico.
In più non ha sviluppo pur pretendendo di averne uno.
Dall'inizio alla fine dominano le allusioni e gli attori si muovono sulla scena come marionette.
Avesse letto qualcosa di Strindberg il nostro eroe?
La lentezza è esasperante, il manierismo insopportabile, la serietà ostentata, le parole al vento, i preziosismi senza senso.
Film sperimentale, come quasi tutti quelli di Resnais - una mezza tragedia per il cinema, che è movimento, almeno di idee - e, sicuramente, dei peggiori per scelte espressive emblematiche.
Un gioco perverso, fatto di inutile erudizione, lontano da qualsivoglia processo culturale.
Una sorta di sciarada per iniziati.
Un codice cifrato per intelliggentoni annoiati e cinefili snobboni.
Non mi sorprende affatto che i cultori di questo film mettano "Mullholland Drive" tra i loro preferiti! Una curiosità: Il soggetto è di Alain Robbe-Grillet altro cervellotico visionario, appartenente alla scuola del "nouveau roman", famoso solo per essere autore di un film che gli somiglia: "Spostamenti progressivi del piacere".
Certo un caposaldo della cinematografia anche quello!
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dario
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giovedì 5 settembre 2013
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ambizioso
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Resnais si ama o si detesta. Questo film è la massima testimonianza della sua superbia involontaria, causa dei due estremi. Non è possibile fare un film assoluto in modo sperimentale, a meno che si decida di non prendersi sul serio: Ionesco, ad esempio (il suo teatro è veramente sublime per straniamento consapevole, per nulla ricercato). Resnais non è Ionesco: è un dilettante allo sbaraglio nella ricerca di certi misteri della natura umana: perchè l'incomunicabilità fra gli esseri umani e sostanzialmente fra l'uomo e il mondo? Tema affascinante, per trattare il quale occorre una sensibilità particolare. Resnais non possiede questa sensibilità, ma ha in abbondanza un velleitarismo raffinato (ma non tanto) con il il quale pretende, con naturalezza, di avere ragione di ciò che sta trattando.
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Resnais si ama o si detesta. Questo film è la massima testimonianza della sua superbia involontaria, causa dei due estremi. Non è possibile fare un film assoluto in modo sperimentale, a meno che si decida di non prendersi sul serio: Ionesco, ad esempio (il suo teatro è veramente sublime per straniamento consapevole, per nulla ricercato). Resnais non è Ionesco: è un dilettante allo sbaraglio nella ricerca di certi misteri della natura umana: perchè l'incomunicabilità fra gli esseri umani e sostanzialmente fra l'uomo e il mondo? Tema affascinante, per trattare il quale occorre una sensibilità particolare. Resnais non possiede questa sensibilità, ma ha in abbondanza un velleitarismo raffinato (ma non tanto) con il il quale pretende, con naturalezza, di avere ragione di ciò che sta trattando. Come sta trattando ciò che sta trattando? Lo rivela bene in questo film, che sta sugli scudi di una critica pigra perchè noioso: Resnais tratta la cosa con freddezza e distacco, elevando la trascuratezza a forma d'arte. Ma senza un progetto codificato, in un modo o nell'altro (non per niente si è qui parlato della lunarità di Ionesco), l'impresa crolla miseramente, affonda inesorabilmente. Il cinema di Resnais è proprio modesto, è a favore di un nulla pretenzioso.Il regista è in qualche modo innocente, ma questo non lo salva dal fallimento, anche perchè sotto sotto egli si crede una sorta di profeta nichilista, ma lo è solo per la giacca e la cravatta. Film senza ritmo, senza capo nè coda, alla fine irritante. Spiace per gli attori, con l'oracolo in bocca e fermi come statue a declamare chissà che. L'incomunicabilità è a monte, già decisa, non è valle. impresa inutile, fondamentalmente presuntuosa, facilmente e felicemente dimenticabile.
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dario
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martedì 16 agosto 2011
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presuntuoso
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Il guaio di questo film è che non ha sviluppo e che pretende di averne uno senza minimamente impegnarsi a realizzare qualcosa di sensato. Dominano le allusioni e gli attori si muovono come i pupi siciliani. Lentezza esasperante, manierismo insopportabile, serietà ostentata, parole al vento, preziosismi senza senso. Film sperimentale, come quasi tutti quelli di Resnais - una mezza tragedia per il cinema, che è movimento, almeno di idee - e dei peggiori per scelte espressive emblematiche senza mostrare alcun emblema. Un gioco perverso, fatto di inutile erudizione, lontano da qualsivoglia processo culturale. Il peggio della scuola dello sguardo mescidata con le fantasie dell'Oulipo.
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Il guaio di questo film è che non ha sviluppo e che pretende di averne uno senza minimamente impegnarsi a realizzare qualcosa di sensato. Dominano le allusioni e gli attori si muovono come i pupi siciliani. Lentezza esasperante, manierismo insopportabile, serietà ostentata, parole al vento, preziosismi senza senso. Film sperimentale, come quasi tutti quelli di Resnais - una mezza tragedia per il cinema, che è movimento, almeno di idee - e dei peggiori per scelte espressive emblematiche senza mostrare alcun emblema. Un gioco perverso, fatto di inutile erudizione, lontano da qualsivoglia processo culturale. Il peggio della scuola dello sguardo mescidata con le fantasie dell'Oulipo. Una sorta di cruciverba per iniziati, per carbonari. Un codice cifrato per intelligentoni annoiati. Purtroppo il nostro Antonioni fece di tutto per entrare nel club (ma almeno i suoi film hanno una grande fotografia). In fondo, una curiosità, ma certo scarsamente suggestiva.
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