figliounico
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domenica 14 aprile 2024
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drammatico cerebrale e noioso
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Maren Ade è la soggettista, la sceneggiatrice e la regista di questo drammatico tedesco senza lacrime e senza pathos che ha per protagonista una donna in carriera, Sandra Huller, alle prese con il suo eccentrico ed invadente padre, Peter Simonischek, con la mania dei travestimenti. Il film è eccessivamente lungo, non commuove, nemmeno diverte, anzi a tratti annoia profondamente. Il finale sfumato mi sembra la cosa migliore sebbene non riesca a riscattare una pellicola destinata all’oblio.
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antonio salvo
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venerdì 30 settembre 2022
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il difficile compito di essere umani
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Un film bizzarro che sprona la ricerca del suo significato. In un certo senso un triller che non ha colpevoli e che non ne vuole. Cancella i peccati per redimerli. Svia il tema principale volutamente effimero, il rapporto inesistente tra padre e figlia, per reinventarlo in mille modi tutti possibili ma anche tentando l' improvvisazione teatrale, l' inventiva, la tenacia del padre sulla piatta, algida figlia, donna di successo che crede unicamente in una fantomatica promozione. Il mondo dove lei cerca l' originalita' la priva di ogni umana emozione o sentimento. Il padre rincalza il suo star bene apparendo in ogni momento della vita della figlia ma scegliendo lui il momento di entrare in scena.
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Un film bizzarro che sprona la ricerca del suo significato. In un certo senso un triller che non ha colpevoli e che non ne vuole. Cancella i peccati per redimerli. Svia il tema principale volutamente effimero, il rapporto inesistente tra padre e figlia, per reinventarlo in mille modi tutti possibili ma anche tentando l' improvvisazione teatrale, l' inventiva, la tenacia del padre sulla piatta, algida figlia, donna di successo che crede unicamente in una fantomatica promozione. Il mondo dove lei cerca l' originalita' la priva di ogni umana emozione o sentimento. Il padre rincalza il suo star bene apparendo in ogni momento della vita della figlia ma scegliendo lui il momento di entrare in scena. Non come padre essendo da sempre inesistente. E' qui l' originalita' del film, il padre diventa uno sconosciuto, con un altro nome, aspetto buffo come un peloso pupazzo muto. Ma suscita emozioni, scioglie l' animo dei personaggi del film, ingessati dalla statica esigenza dell' apparire e del successo. Parla con tutti pur non conoscendoli e nel film mette a fuoco pillole di umanita' e di ordinarieta' fuori dall'etichetta e dal protocollo. Un film che volontariamente ha una falsa trama che induce a pensare. Ecco che ogni scena palesa il suo significato e ci riporta al tema delle relazioni familiari, di lavoro, intime. L' intimita' e' forse il tema principale del film forse perche' e' fondamentalmente melanconico, basato sul tema della fine, a noi rapportarla a cosa, e che infatti termina con il tema della morte quasi fosse il the end da sublimare con la sana ironia: fino a che punto siamo pronti ad inventarci il motivo per vivere.
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lunedì 5 settembre 2022
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la recensione che migliora la vita
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Una cornice preziosa in grado di amplificare ed esaltare la molteplicità espressiva di un film bellissimo
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emilio59
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lunedì 25 aprile 2022
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noiosissimo e inutilmente lungo
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Film noiosissimo e inutilmente lungo. Sinceramente non capisco come possa essere stato acclamato dalla critica...boh?
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picius
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domenica 12 aprile 2020
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il peggio mai visto
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0 stelle. Film pessimo, senza nè capo né coda. Non è di alcun genere. Nè commedia, nè drammatico, nè comico.
Indagherei un po' sulla nomination all'oscar e sulle recensioni della critica.., sono da ufficio inchieste.
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domenica 15 aprile 2018
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un uomo âgée?!
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Scusi, ma perché usare ad ogni costo parole straniere, tanto più quando non lo si sa fare? In francese "âgée" è femminile, per cui leggere "un uomo âgée" è orribile e ridicolo. Scusi eh, ma uno che scrive per mestiere dovrebbe metterci un po' più di cura, che diavolo...
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vincenzo
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sabato 7 aprile 2018
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finalmente un film intrigante
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Finalmente un film intrigante, recitato benissimo, costruito con sapienza drammaturgica!
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cesare
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mercoledì 6 dicembre 2017
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capolavoro da minima moralia
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Un padre e una figlia lontani non solo per chilometri o nazioni, ma perché appartenenti a mondi diversi.
Terreno, umano, scherzoso, fantasioso, comprensivo, duttile, professore di musica (unico stereotipo) il primo; algida, mediata dal profitto, schematica, scontrosa la seconda, ragazza di successo da business school d’obbligo e consulting firm di aspirazione.
“Sei un essere umano?” chiede il padre alla figlia, lui che l’ha allevata, “Sei una bestia!” le dice il collega, lui che la conosce.
Nel mondo della figlia tutto è strumento per altro, persone comprese: “più ne licenzia lui, meno ne licenzio io”.
Per lei un uomo non è altro che l’aggiunta a un pasticcino in una scena di sesso che non ha bisogno del corpo per esserlo e ciò nonostante rivoltante.
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Un padre e una figlia lontani non solo per chilometri o nazioni, ma perché appartenenti a mondi diversi.
Terreno, umano, scherzoso, fantasioso, comprensivo, duttile, professore di musica (unico stereotipo) il primo; algida, mediata dal profitto, schematica, scontrosa la seconda, ragazza di successo da business school d’obbligo e consulting firm di aspirazione.
“Sei un essere umano?” chiede il padre alla figlia, lui che l’ha allevata, “Sei una bestia!” le dice il collega, lui che la conosce.
Nel mondo della figlia tutto è strumento per altro, persone comprese: “più ne licenzia lui, meno ne licenzio io”.
Per lei un uomo non è altro che l’aggiunta a un pasticcino in una scena di sesso che non ha bisogno del corpo per esserlo e ciò nonostante rivoltante. Scientemente rivoltante non perché conturbante o volgare: stomachevole perché toglie la persona a un individuo, riduce un uomo a meno di un corpo, il piacere a noia. Un piacere che gratifica per l’odio dell’altro. Perverso. Chiarificatore quando la figlia tra il suo essere bestia morale e il provare piacere corporale sceglie il primo: irrinunciabile, una non-scelta.
Maren Ade costruisce alla perfezione – le riunioni d’affari sono realistiche così come lo è la disumana umanità varia – e rappresenta abilmente il mondo della figlia, la certezza che eccellere coincida con il superare l’inumanità altrui.
Disumana da trascinare il padre nella bassezza del mondo degli affari pur di essere compresa, una timida ricerca di affetto. Basso non perché “business”, basso per ben altro, perché una vita onesta non è più possibile, perché viviamo in una società inumana. Il padre le offre un’occasione, la accompagna – “accompagna” non a caso – nel cantare una canzone davanti a gente semplice: rimarrà una canzone, diverrà subito una fuga, lei è ormai incapace di sopportare la sincerità, il calore, il darsi, le piccole cose, la disponibilità, la comprensione, la semplicità. Quello che fa di un essere un essere umano.
La figlia è il miglior personaggio di Adorno, è la graziosa portatrice di inumanità.
L’elemento perturbante è il padre (Peter Simonischeck è semplicemente fantastico nell’interpretazione): con i suoi travestimenti, la capacità di mettersi in gioco e lasciarsi trascinare in situazioni tragicomiche pur di redimere la figlia, farle vedere un’altra prospettiva, recuperare l’idea di una possibilità diversa, un diverso agire quotidiano.
È il confronto tra una figlia abituata a “smontare” la realtà e un padre che la costruisce, anche nella fantasia, tra una generazione che ha costruito e un’altra che sfrutta l’esistente indifferente alle conseguenze.
Chi attraverserà la porta della imprevista festa “in nudo”, metafora di “chi sarà disposto a mettersi a nudo”? Chi vorrà essere solo se stesso? Non l’amica, non il partner, non chiunque potrebbe, non chiunque ci si aspetterebbe.
Le due ore e mezza di durata – forse riducibili – non si sentono, la narrazione scorre fluida tra abili escamotage, colpi di scena e andirivieni tra drammatico e comico.
Interpretazione perfetta per i ruoli, trasparente, non artefatta. Regia semplice, nessun piano sequenza, controcampo o altre complicazioni. La macchina da presa osserva, tutto qui, in un romanzo senza antefatti, pensieri, in terza persona dove narratore e spettatore conoscono solo ciò che viene rappresentato.
Da rivedere per comprendere come sono le attuali generazioni, per capire dove ci stanno portando.
Prima fermata Bucarest, seconda Singapore, capolinea chissà.
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sabato 12 agosto 2017
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sconcertante
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Forse i tedeschi dovrebbero continuare a fare ottime auto, anzichè film? Dopo la visione di questo "film" anche un dubbio tanto qualunquista risulta legittimo Quasi tre ore di nulla assoluto Niente di comico, anzi, lo definirei al massimo tragicomico, ma con silenzi prolungati e ansiogeni L'attesa continua - e vana - di uno sviluppo dei personaggi e della storia che restano sempre appena tratteggiati Un non rapporto tra i protagonisti assolutamente inverosimile e di imbarazzante vaquità E' sicuramente originale nel panorama cinematografico, ma l'originalità priva di qualsiasi contenuto non è un valore Probabilmente il peggior film che ho visto negli ultimi anni
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harroldthebarrel
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domenica 9 luglio 2017
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sorprendente
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Chi lo critica forse si aspettava di andare a vedere una commedia per farsi quattro risate. Ma questo film per fortuna non è niente di tutto ciò. Toni Erdmann con la sua parrucca e la sua dentiera è il personaggio grottesco, surreale, che non ci parla solo del rapporto tra padre e figlia, ma che fa fare tutti i conti con una certa realtà disumanizzante, nella quale la forsennata ricerca individuale del proprio interesse, a qualunque costo, fa anche perdere il contatto e la percezione di ciò che davvero ci sta attorno e degli altri, al di lá del ruolo che occupano nella societá. Seguendo il percorso del film, in virtuoso equilibrio tra i momenti umoristici e la melanconia di fondo con il dramma interiore della figlia, ci rendiamo conto che in realtá non è Toni a essere grottesco e insulso.
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Chi lo critica forse si aspettava di andare a vedere una commedia per farsi quattro risate. Ma questo film per fortuna non è niente di tutto ciò. Toni Erdmann con la sua parrucca e la sua dentiera è il personaggio grottesco, surreale, che non ci parla solo del rapporto tra padre e figlia, ma che fa fare tutti i conti con una certa realtà disumanizzante, nella quale la forsennata ricerca individuale del proprio interesse, a qualunque costo, fa anche perdere il contatto e la percezione di ciò che davvero ci sta attorno e degli altri, al di lá del ruolo che occupano nella societá. Seguendo il percorso del film, in virtuoso equilibrio tra i momenti umoristici e la melanconia di fondo con il dramma interiore della figlia, ci rendiamo conto che in realtá non è Toni a essere grottesco e insulso.
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