carloalberto
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mercoledì 3 novembre 2021
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uno sguardo dal finestrino
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Un film dichiaratamente allegorico di Ursula Meier, con Isabelle Huppert e Olivier Gourmet, sull’impossibilità di mantenere armoniosamente in equilibrio i rapporti affettivi in una famiglia moderna, ma non del tutto omologata nei ritmi cittadini, destinata ad implodere a causa delle pressioni invasive della società di massa. Il finale resta ambiguamente in bilico tra l’amarezza e la disillusione della presa d’atto di un fallimento e la speranza utopica in una possibile via di fuga, un’alternativa al disastro compiuto ad opera di un gesto rivoluzionario.
La vecchia casa colonica, con un piccolo spazio all’aperto, è l’idillio collocato ai margini di un mostro dormiente, un’autostrada non finita e mai aperta al traffico, che incombe minaccioso pronto a risvegliarsi.
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Un film dichiaratamente allegorico di Ursula Meier, con Isabelle Huppert e Olivier Gourmet, sull’impossibilità di mantenere armoniosamente in equilibrio i rapporti affettivi in una famiglia moderna, ma non del tutto omologata nei ritmi cittadini, destinata ad implodere a causa delle pressioni invasive della società di massa. Il finale resta ambiguamente in bilico tra l’amarezza e la disillusione della presa d’atto di un fallimento e la speranza utopica in una possibile via di fuga, un’alternativa al disastro compiuto ad opera di un gesto rivoluzionario.
La vecchia casa colonica, con un piccolo spazio all’aperto, è l’idillio collocato ai margini di un mostro dormiente, un’autostrada non finita e mai aperta al traffico, che incombe minaccioso pronto a risvegliarsi.
Dal quadretto bucolico di una vita semplice e di una felicità fatta di piccole cose, la famigliola, dopo l’inaugurazione del serpente d’asfalto, è catapultata in un incubo ad occhi aperti, con le macchine che sfrecciano a pochi metri dal giardino di casa, inquinandone l’aria e gli ortaggi, impedendo perfino il sonno ai suoi occupanti.
La chiusura totale verso l’esterno, la muratura di porte e finestre, sembra l’unica soluzione per sfuggire alla contaminazione della modernità per quel mondo ancora in parte arcaico, ultimo residuo di una civiltà contadina già condannata all’estinzione.
La donna, dapprima pervicacemente attaccata alla casa, intesa come grembo materno che contiene proteggendo dai pericoli esterni, è la prima ad abbattere la parete e a partorire metaforicamente a nuova vita la sua famiglia, che si incammina verso un incerto futuro lungo una strada nei campi che scorre parallela all’autostrada.
L’ultima inquadratura è da un’auto che passa, a significare l’indifferenza dello sguardo, gettato casualmente dal finestrino, di chi è in corsa sull’autostrada, prigioniero inconsapevole di un tragitto già determinato nel punto di arrivo e di partenza, sulle piccole e grandi tragedie che il progresso produce nella vita degli altri. In quello sguardo, che, capovolgendo la prospettiva, potrebbe essere il nostro, non soltanto l’indifferenza ma soprattutto l’ignoranza delle possibilità che si aprono per quella famiglia, che, nell’atto rivoluzionario dell’abbattimento della parete ha ritrovato la propria coesione, cammina verso il nulla nei campi e proprio per questo rimane libera di crearsi un proprio personale percorso verso la felicità.
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gianleo67
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sabato 10 agosto 2013
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effetti parossistici di una grottesca modernità
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Quando sulla traccia viaria che costeggia la loro casa tra i campi della provenza viene finalmente ultimata e inaugurata una trafficata superstrada, un nucleo familiare si trova costretto dapprima a convivere con la paradossale situazione che si viene a creare tra isolamento, difficoltà logistiche e insostenibili rumori di fondo e successivamente con il disperato tentativo di una asfittica reclusione all'interno di una invivibile prigione domestica. Finale liberatorio.
Attraverso lo sguardo implacabile di un assurdo disincanto sull'ordinario domestico che si trasforma nell'inevitabile paradosso di una metafora sulla frammentazione e l'isolamento sociale, negli effetti collaterali di una grottesca modernità dove perfino una fondamentale infrastruttura di trasporto e di mobilità viaria diventa il simbolo di un invalicabile confine fisico e culturale, la franco-elvetica Ursula Meier, puntando ad una lenta esasperazione sociologica più che alla drammatizzazione sociale, cerca di riprodurre la insanabile dicotomia tra natura e cultura nella storia (singolare ed esemplare) di una famiglia ai margini di una miope civiltà della comunicazione.
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Quando sulla traccia viaria che costeggia la loro casa tra i campi della provenza viene finalmente ultimata e inaugurata una trafficata superstrada, un nucleo familiare si trova costretto dapprima a convivere con la paradossale situazione che si viene a creare tra isolamento, difficoltà logistiche e insostenibili rumori di fondo e successivamente con il disperato tentativo di una asfittica reclusione all'interno di una invivibile prigione domestica. Finale liberatorio.
Attraverso lo sguardo implacabile di un assurdo disincanto sull'ordinario domestico che si trasforma nell'inevitabile paradosso di una metafora sulla frammentazione e l'isolamento sociale, negli effetti collaterali di una grottesca modernità dove perfino una fondamentale infrastruttura di trasporto e di mobilità viaria diventa il simbolo di un invalicabile confine fisico e culturale, la franco-elvetica Ursula Meier, puntando ad una lenta esasperazione sociologica più che alla drammatizzazione sociale, cerca di riprodurre la insanabile dicotomia tra natura e cultura nella storia (singolare ed esemplare) di una famiglia ai margini di una miope civiltà della comunicazione.
Partendo dai malcelati presagi di una minaccia incombente, affrontando lo shock di una iniziale convivenza forzata con il mostro 'd'asfalto e di lamiera' e ripiegando verso gli esiti di una alienante segregazione domestica si attraversano gli stadi di un impossibile adattamento umano agli effetti parossistici di una 'barriera ecologica' dove solo lo spregiudicato individualismo dei singoli (la figlia maggiore) consente una inevitabile via di fuga attraverso il flusso veicolare e dove ogni tentativo di adattamento biologico sembra destinato al fallimento (un congelatore nuovo per le derrate alimentari, i tappi per le orecchie, la razionalizzazione scientifica sugli effetti dell'inquinamento, il disperato e ultimo tentativo di difendersi dallo stress psico-fisico di un implacabile rumore di fondo). La strada congiunge e la strada divide nella stridente contrapposizione tra il sogno di una disperata dimensione familiare nell'eremo impossibile di un inferno domestico e la serenità bucolica di prati verdeggianti dove echeggiano i dolci suoni di una natura rasserenante ('noi non possiamo vivere in un prato!'). Indovinato equilibrio tra le istanze di una riflessione non banale sui paradossi della modernità e il rigore di un linguaggio dove gli elementi descrittivi assumono un inevitabile valore semantico (la strada che divide, la parabola puntata verso il nulla, la radio che magnifica i vantaggi della nuova via di collegamento, la casa trasformata nel lugubre mausoleo di una tomba domestica), l'esordio della Meier segna il passo di una straordinaria maturità artistica e della infaticabile vitalità di un cinema (quello francese) che rielabora i canoni del realismo secondo una direttrice allo stesso tempo contingente e universale. Non è un caso infatti che nell'opera prima di questa giovane autrice i protagonisti siano interpretati da due degli attori più rappresentativi del cinema d'oltralpe: il volto bonario e sconsolato di Olivier Gourmet (attore feticcio dei Dardenne) e la maschera dolce e penetrante insieme di una intensa e spiazzante Isabelle Huppert. Presentato nella Settimana Internazionale della Critica del 61º Festival di Cannes non ottiene nessun premio, ed è un vero peccato!
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francesco2
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venerdì 28 giugno 2013
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un'opera prima ancora incompiuta
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"Sister", l'anno scorso, mi è parso una vera rivelazione, anche se non tra i titoli migliori della stagione cinematografica. Ma lì viene meglio analizzato il rapporto ambiguo tra i due protagonisti, anche a costo di rischiare un film più schematico.
Qui si attinge, più o meno consapevolmente, dal Jeunet di "Delicatessen", forse dai Dardenne, persino forse dal Seidl di "Canicola" nei primi piani sulla sorella che fuma sempre. Persino la Huppert (ap)porta qualcosa di "Chabroliano" al suo personaggio. Ma manca quel senso del grottesco che impedisce di annoiarsi un tantino, ed i personaggi femminili, in fondo, rischiano chi più chi meno di apparire macchiette. Resta la tendenza, sin da questa opera prima, a dipingere chi sia "Fuori dal mondo".
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"Sister", l'anno scorso, mi è parso una vera rivelazione, anche se non tra i titoli migliori della stagione cinematografica. Ma lì viene meglio analizzato il rapporto ambiguo tra i due protagonisti, anche a costo di rischiare un film più schematico.
Qui si attinge, più o meno consapevolmente, dal Jeunet di "Delicatessen", forse dai Dardenne, persino forse dal Seidl di "Canicola" nei primi piani sulla sorella che fuma sempre. Persino la Huppert (ap)porta qualcosa di "Chabroliano" al suo personaggio. Ma manca quel senso del grottesco che impedisce di annoiarsi un tantino, ed i personaggi femminili, in fondo, rischiano chi più chi meno di apparire macchiette. Resta la tendenza, sin da questa opera prima, a dipingere chi sia "Fuori dal mondo". Ma, forse, il punto dolente sta proprio qui.
Infatti, mentre "Sister" è una storia di (AUTO?SIC!)emarginazione, qui assistiamo ad un atteggiamento anarcoide che rischia di apparire "Radical-chic". E forse, proprio per questo, questo film non "ingrana" davvero.
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taxidriver
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lunedì 18 luglio 2011
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buon esordio di realismo grottesco della meier
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Ho visto questo film ieri sera su Raitre. Era appena iniziato credo, comunque ho notato subito che il regista, che poi ho scoperto essere una lei, aveva talento. La trama in sè non è originale, e anche i personaggi sono fin troppo stereotipati.
Ciò che mi ha più colpito, nel film, è la mancanza di comunicazione ed empatia tra i membri della famiglia: sembra che siano incapaci di comunicare i propri stati d'animo e il loro vissuto quotidiano tra di loro, così come di capirsi a vicenda, almeno fin quando non scoppiano in pianti disperati o in accessi d'ira incontrollati. Solo allora emerge l'affetto, il legame che li unisce.Tuttavia, questo aspetto psicologico non è da considerarsi un punto debole del film, ma piuttosto potrebbe rappresentare la visione della regista sui rapporti umani (in questo caso circoscritti al nucleo familiare) o anche un espediente per tenere alta la tensione.
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Ho visto questo film ieri sera su Raitre. Era appena iniziato credo, comunque ho notato subito che il regista, che poi ho scoperto essere una lei, aveva talento. La trama in sè non è originale, e anche i personaggi sono fin troppo stereotipati.
Ciò che mi ha più colpito, nel film, è la mancanza di comunicazione ed empatia tra i membri della famiglia: sembra che siano incapaci di comunicare i propri stati d'animo e il loro vissuto quotidiano tra di loro, così come di capirsi a vicenda, almeno fin quando non scoppiano in pianti disperati o in accessi d'ira incontrollati. Solo allora emerge l'affetto, il legame che li unisce.Tuttavia, questo aspetto psicologico non è da considerarsi un punto debole del film, ma piuttosto potrebbe rappresentare la visione della regista sui rapporti umani (in questo caso circoscritti al nucleo familiare) o anche un espediente per tenere alta la tensione.
Tra l'altro, il film ha un che di grottesco, un grottesco che comunque riesce a integrarsi con il reale (e che quindi è un realismo grottesco) e questo è probabilmente il maggior pregio del film. In conclusione, non male per essere un esordio. Il talento c'è, e attendiamo conferme dalla Meier.
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chiarialessandro
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martedì 16 marzo 2010
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un nuovo antonioni? un nuovo bunuel?
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Un film surreale che non è solo un film ma anche (o forse soprattutto) una metafora, una parabola; dedicato non tanto a chi cerca una logica stringente quanto piuttosto delle sensazioni, degli spunti per capire, per capirsi, per parlare, confrontarsi, discutere e approfondire. E di spunti ce ne sono veramente tanti: l'alienazione, la solitudine, la famiglia (in questa circostanza "cementata" nell' affetto tra i suoi cari), la disperazione, l'ecologia, la pace, la solitudine, la tranquillità. Tutto questo ai piedi di un'interpretazione di un'Isabelle dolente, malinconica, comunicativa, appassionata, preoccupata, innamorata. In una parola: pressochè perfetta.
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Un film surreale che non è solo un film ma anche (o forse soprattutto) una metafora, una parabola; dedicato non tanto a chi cerca una logica stringente quanto piuttosto delle sensazioni, degli spunti per capire, per capirsi, per parlare, confrontarsi, discutere e approfondire. E di spunti ce ne sono veramente tanti: l'alienazione, la solitudine, la famiglia (in questa circostanza "cementata" nell' affetto tra i suoi cari), la disperazione, l'ecologia, la pace, la solitudine, la tranquillità. Tutto questo ai piedi di un'interpretazione di un'Isabelle dolente, malinconica, comunicativa, appassionata, preoccupata, innamorata. In una parola: pressochè perfetta. Lasciatevi conquistare dalla filosofia e dalle immagini di Ursula Meier; io penso proprio che non ve ne pentirete.
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luana
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giovedì 24 settembre 2009
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artificioso
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Si costruisce una situazione artificiosa che vuole essere metaforica e disturbante..in puro stile Haneke.All'inizio ci sono lampi realistici..quelli che servono per dare una credibilità alla storia..ma si capisce che si sta camminando vicino al baratro..e come la follia non esplode di colpo ma progredisce per ambigui segnali..ci convinciamo anche noi che si può fare,che si può sopravvivere, quasi vivere alla meno peggio...finchè l'esplosione accade e tutto accellera all'impazzata..con pause illusorie come far correre in bicicletta il bambino stanco nell'austrada.. vuota di notte. Si nega un incubo ma ne apre un'altro, che nel suo silenzio è ancora più assordante. E nel finale, a mio parere dal carattere anch'esso illusorio si esce dal bunker per respirare.
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Si costruisce una situazione artificiosa che vuole essere metaforica e disturbante..in puro stile Haneke.All'inizio ci sono lampi realistici..quelli che servono per dare una credibilità alla storia..ma si capisce che si sta camminando vicino al baratro..e come la follia non esplode di colpo ma progredisce per ambigui segnali..ci convinciamo anche noi che si può fare,che si può sopravvivere, quasi vivere alla meno peggio...finchè l'esplosione accade e tutto accellera all'impazzata..con pause illusorie come far correre in bicicletta il bambino stanco nell'austrada.. vuota di notte. Si nega un incubo ma ne apre un'altro, che nel suo silenzio è ancora più assordante. E nel finale, a mio parere dal carattere anch'esso illusorio si esce dal bunker per respirare..come i prigionieri rincorrono un'ora d'aria e una parvenza di vita. Un film totalmente nichilista.
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lisbeth
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mercoledì 9 settembre 2009
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in bicicletta sull'autostrada
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La voce di Nina Simone con Wild in the Wind scorre sui titoli di coda, mentre resti fermo sulla poltrona e ripercorri le immagini en arrière, e cerchi di capire cosa ti ha avvolto come in una ragnatela di questo film, "la negazione del road-movie" dice la Meier, eppure parla di autostrada, di automobili. C'è una casa dove tutto sembra correre leggero nel vento e finirà con porte e finestre murate.E' un ossimoro,questo film, dove gli estremi impensabilmente si toccano giustificandosi, anzi, integrandosi in uno straniamento totale. Dire che è una metafora è abbastanza ovvio, credo banalizzante, finirebbe in un déja vu centinaia di volte. Lasciamolo da parte il sermoncino sulla (in)civiltà dei consumi, delle macchine che ci divorano, della spazzatura che ci affoga.
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La voce di Nina Simone con Wild in the Wind scorre sui titoli di coda, mentre resti fermo sulla poltrona e ripercorri le immagini en arrière, e cerchi di capire cosa ti ha avvolto come in una ragnatela di questo film, "la negazione del road-movie" dice la Meier, eppure parla di autostrada, di automobili. C'è una casa dove tutto sembra correre leggero nel vento e finirà con porte e finestre murate.E' un ossimoro,questo film, dove gli estremi impensabilmente si toccano giustificandosi, anzi, integrandosi in uno straniamento totale. Dire che è una metafora è abbastanza ovvio, credo banalizzante, finirebbe in un déja vu centinaia di volte. Lasciamolo da parte il sermoncino sulla (in)civiltà dei consumi, delle macchine che ci divorano, della spazzatura che ci affoga. Tutto ok, è così, lo sappiamo, il film vuol dirci altro, vuol dirci che si può sognare anche senza poter volare, vivere su un'autostrada non usata, dimenticata e non finita da dieci anni come se fosse il giardino delle meraviglie, in una casa fuori dal mondo come in un luna park, in una dimensione di leggerezza e di allegria che ti spiazza di continuo, perchè si, sei tu, lo spettatore, ad essere chiuso in gabbia, non loro, padre, madre e tre figli, tutti così diversi e così complementari, così assurdamente "oltre" rispetto ai conflitti, ai martellamenti quotidiani della famiglia-tipo, dei va' a quel paese di normale educazione giornaliera. E' un vivere in un micro-universo appagante, onirico,dove tutto si tiene perchè tutto è così assurdo.come nei sogni, come nella pazzia.Ma poi arriva la
normalizzazione, e quel moncone di autostrada viene asfaltato, le macchine sfrecciano, l'ossido di carbonio e i decibel toccano i livelli di guardia,quella normalità che sembra il bene più grande da desiderare,
ebbene, arriva, perchè un'autostrada non è un posto per correre in bicicletta, tenerci piscinette di gomma o lettini per prendere il sole! La nave dei folli diventa la macchina dei normali, e i normali impazziscono, scappano (la figlia più grande), si menano tra loro (madre padre e figli rimasti), si murano dentro per non sentire il rumore fino quasi a soffocare. Resterà una possibilità, lasciare la casa maledetta e camminare fra le erbe incolte ai lati dell'autostrada, senza una meta, immergendosi in un giallo vangoghiano che è luce, sole, spighe di grano, forse. E la voce di Nina Simone. Forse qualche minuto di troppo, in questo film, e qualche momento sopra le righe, quasi che la Meier temesse che non capissimo.Ma poco male, credo.
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astromelia
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lunedì 31 agosto 2009
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soffocante
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ti aspetti il peggio fin dal principio, travolti dalle auto magari,ma poi il film scivola nel quasi banale frastuono,solo che a vedersi e sopratutto sentire il rumore delle auto,ti rintrona la testa e si finisce quasi d'impazzire alla loro stregua
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liuk©
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sabato 16 maggio 2009
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difficile da giudicare ma comunque scadente
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Questo è il classico titolo che lascia l'amaro in bocca: la prima parte è brillante, originale e divertente, per mezz'ora "Home" sembra essere veramente un piccolo gioiello della cinematografia europea. Poi il delirio, il disastro.. con l'apertura dell'autostrada tutti perdono la testa, regista e sceneggiatore compresi. Le battute diventano improbabili, le scene non hanno il minimo senso e tutto è sovvertito, lasciando sbigottiti e perplessi i poveri spettatori. Peccato veramente, speriamo che nella prossima pellicola questa nuova regista abbia il decoro di rimanere sobria per tutta la registrazione e non solo per 30 minuti!
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houssy
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mercoledì 13 maggio 2009
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home: cupo e bellissimo
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La famiglia è un non luogo, un organismo crudele ed onnivoro capace di distruggere, fagocitare e soffocare tutti coloro che la compongono. La disgregazione e la fuga sono le uniche vie d'uscita ad un amore opprimente, capace di annullare chiunque abbia l'ardire di avvicinarsi. Home è un film sulla famiglia, parte come una commedia nera e lentamente si trasforma in un cupo film dell'orrore. La trama è singolare e per una volta vale la pena ricordarla: l'esistenza di una famiglia qualunque viene sconvolta il giorno in cui si apre al traffico l'autostrada che passa a fianco della loro casa, quella che al principio sembra solo essere una gran seccatura, lentamente trasformerà radicalmente le vite di tutti.
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La famiglia è un non luogo, un organismo crudele ed onnivoro capace di distruggere, fagocitare e soffocare tutti coloro che la compongono. La disgregazione e la fuga sono le uniche vie d'uscita ad un amore opprimente, capace di annullare chiunque abbia l'ardire di avvicinarsi. Home è un film sulla famiglia, parte come una commedia nera e lentamente si trasforma in un cupo film dell'orrore. La trama è singolare e per una volta vale la pena ricordarla: l'esistenza di una famiglia qualunque viene sconvolta il giorno in cui si apre al traffico l'autostrada che passa a fianco della loro casa, quella che al principio sembra solo essere una gran seccatura, lentamente trasformerà radicalmente le vite di tutti. Raramente l'entità familiare è stata oggetto di un'autopsia così dettagliata e crudele, ancor più raramente i suoi membri sono stati vittime e carnefici nello scientifico annientamento di tutti i luoghi comuni legati ad essa. La famiglia dunque, oggetto misterioso ed insondabile, capace di dare, ma allo stesso tempo di togliere, meticolosamente, diligentemente, costantemente impegnata ad impedire la fuga di coloro che la compongono. Lettura disperata e disperante di un presente opprimente e senza speranza, in cui il nucleo familiare perde la sua importanza, la sua forza, la sua inattaccabile solidità e dove gli individui possono sopravvivere solo se separati, soli, perduti in un mare d'erba, sul ciglio di un'autostrada che porta verso l'oblio, verso il nulla, verso un altro non luogo.
LA SCENA CHE VALE IL FILM
Su tutte il finale.
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