pipay
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lunedì 9 febbraio 2009
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vite in gabbia. quale salvezza?
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Film davvero originale, se non addirittura geniale. Ottima la regia e ottima l'interpretazione degli attori, soprattutto quella del bambino. Una famiglia è costretta a subire il disagio causato dall'apertura di una autostrada che era rimasta inutilizzata per quindici anni. L'autostrada passa proprio accanto alla loro abitazione, così la loro vita diventa un inferno. Ma l'autostrada non è altro che la metafora dei disagi, delle ingiustizie e delle imposizioni che ci pervengono dall'alienante e caotica vita moderna e soprattutto dal "Potere", da coloro che pretendono di controllare tutto e di invadere anche la nostra privacy. La difficoltà di adattamento è quasi insuperabile. Così la famiglia diventa un oscuro rifugio di quattro "brutti sporchi e cattivi" in preda all'alienazione e costretti ad una disperata solitudine.
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Film davvero originale, se non addirittura geniale. Ottima la regia e ottima l'interpretazione degli attori, soprattutto quella del bambino. Una famiglia è costretta a subire il disagio causato dall'apertura di una autostrada che era rimasta inutilizzata per quindici anni. L'autostrada passa proprio accanto alla loro abitazione, così la loro vita diventa un inferno. Ma l'autostrada non è altro che la metafora dei disagi, delle ingiustizie e delle imposizioni che ci pervengono dall'alienante e caotica vita moderna e soprattutto dal "Potere", da coloro che pretendono di controllare tutto e di invadere anche la nostra privacy. La difficoltà di adattamento è quasi insuperabile. Così la famiglia diventa un oscuro rifugio di quattro "brutti sporchi e cattivi" in preda all'alienazione e costretti ad una disperata solitudine. Ma alla fine non resta che abbattere muri e barriere e ritrovare quel raggio di luce, quell'aria, se pur contaminata, che ci permette di sopravvivere in un contesto ambientale sociale "inquinato" e aberrante. Film da non perdere. Meriterebbe almeno un Oscar.
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missvirgo
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giovedì 5 febbraio 2009
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luoghi fragili
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Io penso che per capire veramente questo film bisogna aver provato per almeno una volta nella propria vita la sensazione di essere del tutto vulnerabili alle richieste della società in cui si vive. La nevrosi non nasce nella psiche di un individuo singolo ma dalla sua mancata capacità di adattamento a delle regole collettive. La scelta di trovare rifugio nella propria casa è a volte l'unica per chi si sente disorientato e indifeso, anche se la scelta può rivelarsi autodistruttiva. Come quei piccoli animali spauriti che cercano rifugio in luoghi angusti e oscuri, i personaggi si rinchiudono dentro le mura della propria "home" mentre si inabissa nelle profondità del silenzio (il padre immerso dentro la vasca da bagno).
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Io penso che per capire veramente questo film bisogna aver provato per almeno una volta nella propria vita la sensazione di essere del tutto vulnerabili alle richieste della società in cui si vive. La nevrosi non nasce nella psiche di un individuo singolo ma dalla sua mancata capacità di adattamento a delle regole collettive. La scelta di trovare rifugio nella propria casa è a volte l'unica per chi si sente disorientato e indifeso, anche se la scelta può rivelarsi autodistruttiva. Come quei piccoli animali spauriti che cercano rifugio in luoghi angusti e oscuri, i personaggi si rinchiudono dentro le mura della propria "home" mentre si inabissa nelle profondità del silenzio (il padre immerso dentro la vasca da bagno). E sarà proprio la madre, risollevandosi come da un sonno profondo, a decidere coraggiosamente di uscire dalla tana mentre qualcuno, passando in macchina, poserà un ultimo sguardo su di loro..
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lisbeth
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mercoledì 9 settembre 2009
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in bicicletta sull'autostrada
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La voce di Nina Simone con Wild in the Wind scorre sui titoli di coda, mentre resti fermo sulla poltrona e ripercorri le immagini en arrière, e cerchi di capire cosa ti ha avvolto come in una ragnatela di questo film, "la negazione del road-movie" dice la Meier, eppure parla di autostrada, di automobili. C'è una casa dove tutto sembra correre leggero nel vento e finirà con porte e finestre murate.E' un ossimoro,questo film, dove gli estremi impensabilmente si toccano giustificandosi, anzi, integrandosi in uno straniamento totale. Dire che è una metafora è abbastanza ovvio, credo banalizzante, finirebbe in un déja vu centinaia di volte. Lasciamolo da parte il sermoncino sulla (in)civiltà dei consumi, delle macchine che ci divorano, della spazzatura che ci affoga.
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La voce di Nina Simone con Wild in the Wind scorre sui titoli di coda, mentre resti fermo sulla poltrona e ripercorri le immagini en arrière, e cerchi di capire cosa ti ha avvolto come in una ragnatela di questo film, "la negazione del road-movie" dice la Meier, eppure parla di autostrada, di automobili. C'è una casa dove tutto sembra correre leggero nel vento e finirà con porte e finestre murate.E' un ossimoro,questo film, dove gli estremi impensabilmente si toccano giustificandosi, anzi, integrandosi in uno straniamento totale. Dire che è una metafora è abbastanza ovvio, credo banalizzante, finirebbe in un déja vu centinaia di volte. Lasciamolo da parte il sermoncino sulla (in)civiltà dei consumi, delle macchine che ci divorano, della spazzatura che ci affoga. Tutto ok, è così, lo sappiamo, il film vuol dirci altro, vuol dirci che si può sognare anche senza poter volare, vivere su un'autostrada non usata, dimenticata e non finita da dieci anni come se fosse il giardino delle meraviglie, in una casa fuori dal mondo come in un luna park, in una dimensione di leggerezza e di allegria che ti spiazza di continuo, perchè si, sei tu, lo spettatore, ad essere chiuso in gabbia, non loro, padre, madre e tre figli, tutti così diversi e così complementari, così assurdamente "oltre" rispetto ai conflitti, ai martellamenti quotidiani della famiglia-tipo, dei va' a quel paese di normale educazione giornaliera. E' un vivere in un micro-universo appagante, onirico,dove tutto si tiene perchè tutto è così assurdo.come nei sogni, come nella pazzia.Ma poi arriva la
normalizzazione, e quel moncone di autostrada viene asfaltato, le macchine sfrecciano, l'ossido di carbonio e i decibel toccano i livelli di guardia,quella normalità che sembra il bene più grande da desiderare,
ebbene, arriva, perchè un'autostrada non è un posto per correre in bicicletta, tenerci piscinette di gomma o lettini per prendere il sole! La nave dei folli diventa la macchina dei normali, e i normali impazziscono, scappano (la figlia più grande), si menano tra loro (madre padre e figli rimasti), si murano dentro per non sentire il rumore fino quasi a soffocare. Resterà una possibilità, lasciare la casa maledetta e camminare fra le erbe incolte ai lati dell'autostrada, senza una meta, immergendosi in un giallo vangoghiano che è luce, sole, spighe di grano, forse. E la voce di Nina Simone. Forse qualche minuto di troppo, in questo film, e qualche momento sopra le righe, quasi che la Meier temesse che non capissimo.Ma poco male, credo.
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/bizzarrevisioni.iobloggo.com
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martedì 14 aprile 2009
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false partenze: quando il trailer t'inganna....
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Mi ricordo di avere visto il trailer di questo film. Non so bene dove ma sembrava divertente. Ricordo la musica squillante, il ritmo serrato, le immagini grottesche. Ricordo di avere letto in qualche manifesto scritte del tipo: “La commedia dell'anno!”, “IRRESISTIBILE!!!, o roba del genere. Insomma tutta lasciava presagire l'ennesima commedia francese per passare un paio di orette spensierate al cinema, giusto quello che ci voleva. D'altronde la domenica sera è un momento difficile per tutti. Le facce della gente in sala mi rimandavano la stessa impressione. Gente che ama il cinema certo, ma che qualche volta vorrebbe concedersi una sana boiata. Però “Natale a Rio” non è concesso, è cafone. Allora ripieghiamo sul "sottile umorismo francese".
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Mi ricordo di avere visto il trailer di questo film. Non so bene dove ma sembrava divertente. Ricordo la musica squillante, il ritmo serrato, le immagini grottesche. Ricordo di avere letto in qualche manifesto scritte del tipo: “La commedia dell'anno!”, “IRRESISTIBILE!!!, o roba del genere. Insomma tutta lasciava presagire l'ennesima commedia francese per passare un paio di orette spensierate al cinema, giusto quello che ci voleva. D'altronde la domenica sera è un momento difficile per tutti. Le facce della gente in sala mi rimandavano la stessa impressione. Gente che ama il cinema certo, ma che qualche volta vorrebbe concedersi una sana boiata. Però “Natale a Rio” non è concesso, è cafone. Allora ripieghiamo sul "sottile umorismo francese". Peccato che col passare dei minuti il sottile umorismo francese diventasse sempre più labile, difficile da intravedere. Di fragorose risate non se parla. Al massimo qualche leggera smorfia del viso, tipo risata isterica, autosuggestione pura. Dopo 45 minuti non resta altro che accettare la realtà: niente di più lontano dalla commedia, grottesco si, ma tragico.
La storia è quella di una famiglia felice che vive a pieno, nella sua intimità, il rapporto di coppia e quello genitori/figli. Il quadro è idilliaco fino al giorno dell'inaugurazione dell'autostrada che gli passa accanto. Continuamente sottoposta agli sguardi fugaci dei passanti, o alle oppressive attenzioni durante le code di Agosto, la famiglia inizia a sfaldarsi. Ma è soprattutto il rumore a fungere da elemento simbolico, che costringe la famiglia all'isolamento, trasformando la loro casa da un ambiente vitale ad un'immensa tomba muraria.
Ovviamente di divertente in tutto questo non c'è niente. Allora perché quel trailer, perché volermi ingannare così spudoratamente. Alla fine il film sarebbe stato anche carino, la trovata c'era e rendeva bene l'idea. Ma era Domenica sera, un momento difficile per tutti. Un vero colpo basso.
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liuk©
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sabato 16 maggio 2009
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difficile da giudicare ma comunque scadente
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Questo è il classico titolo che lascia l'amaro in bocca: la prima parte è brillante, originale e divertente, per mezz'ora "Home" sembra essere veramente un piccolo gioiello della cinematografia europea. Poi il delirio, il disastro.. con l'apertura dell'autostrada tutti perdono la testa, regista e sceneggiatore compresi. Le battute diventano improbabili, le scene non hanno il minimo senso e tutto è sovvertito, lasciando sbigottiti e perplessi i poveri spettatori. Peccato veramente, speriamo che nella prossima pellicola questa nuova regista abbia il decoro di rimanere sobria per tutta la registrazione e non solo per 30 minuti!
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isabella vanni
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venerdì 13 febbraio 2009
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sotto sotto...è un horror
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Come le piccole/grandi fragilità dei singoli membri di una famiglia possono rapidamente degenerare in paranoie e violenza contro i propri cari quando poste dinanzi a una situazione di estremo disagio.
In fondo è sociologia, ma non ce ne rendiamo conto, perché il film usa il linguaggio e i mezzi del cinema puro: recitazione (ottima), sceneggiatura (efficace), regia (fredda e puntuale); senza dare alcuno spazio ad accorgimenti di stampo documentaristico.
Uno Shining con tanti Nicholson e senza implicazioni paranormali.
Sconsigliato a chi non ama gli horror.
Consigliato a chi li affronta pur di non perdersi un bel film.
[+] ma che bello l'horror!!!
(di alessita)
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houssy
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mercoledì 13 maggio 2009
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home: cupo e bellissimo
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La famiglia è un non luogo, un organismo crudele ed onnivoro capace di distruggere, fagocitare e soffocare tutti coloro che la compongono. La disgregazione e la fuga sono le uniche vie d'uscita ad un amore opprimente, capace di annullare chiunque abbia l'ardire di avvicinarsi. Home è un film sulla famiglia, parte come una commedia nera e lentamente si trasforma in un cupo film dell'orrore. La trama è singolare e per una volta vale la pena ricordarla: l'esistenza di una famiglia qualunque viene sconvolta il giorno in cui si apre al traffico l'autostrada che passa a fianco della loro casa, quella che al principio sembra solo essere una gran seccatura, lentamente trasformerà radicalmente le vite di tutti.
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La famiglia è un non luogo, un organismo crudele ed onnivoro capace di distruggere, fagocitare e soffocare tutti coloro che la compongono. La disgregazione e la fuga sono le uniche vie d'uscita ad un amore opprimente, capace di annullare chiunque abbia l'ardire di avvicinarsi. Home è un film sulla famiglia, parte come una commedia nera e lentamente si trasforma in un cupo film dell'orrore. La trama è singolare e per una volta vale la pena ricordarla: l'esistenza di una famiglia qualunque viene sconvolta il giorno in cui si apre al traffico l'autostrada che passa a fianco della loro casa, quella che al principio sembra solo essere una gran seccatura, lentamente trasformerà radicalmente le vite di tutti. Raramente l'entità familiare è stata oggetto di un'autopsia così dettagliata e crudele, ancor più raramente i suoi membri sono stati vittime e carnefici nello scientifico annientamento di tutti i luoghi comuni legati ad essa. La famiglia dunque, oggetto misterioso ed insondabile, capace di dare, ma allo stesso tempo di togliere, meticolosamente, diligentemente, costantemente impegnata ad impedire la fuga di coloro che la compongono. Lettura disperata e disperante di un presente opprimente e senza speranza, in cui il nucleo familiare perde la sua importanza, la sua forza, la sua inattaccabile solidità e dove gli individui possono sopravvivere solo se separati, soli, perduti in un mare d'erba, sul ciglio di un'autostrada che porta verso l'oblio, verso il nulla, verso un altro non luogo.
LA SCENA CHE VALE IL FILM
Su tutte il finale.
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francesco2
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venerdì 28 giugno 2013
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un'opera prima ancora incompiuta
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"Sister", l'anno scorso, mi è parso una vera rivelazione, anche se non tra i titoli migliori della stagione cinematografica. Ma lì viene meglio analizzato il rapporto ambiguo tra i due protagonisti, anche a costo di rischiare un film più schematico.
Qui si attinge, più o meno consapevolmente, dal Jeunet di "Delicatessen", forse dai Dardenne, persino forse dal Seidl di "Canicola" nei primi piani sulla sorella che fuma sempre. Persino la Huppert (ap)porta qualcosa di "Chabroliano" al suo personaggio. Ma manca quel senso del grottesco che impedisce di annoiarsi un tantino, ed i personaggi femminili, in fondo, rischiano chi più chi meno di apparire macchiette. Resta la tendenza, sin da questa opera prima, a dipingere chi sia "Fuori dal mondo".
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"Sister", l'anno scorso, mi è parso una vera rivelazione, anche se non tra i titoli migliori della stagione cinematografica. Ma lì viene meglio analizzato il rapporto ambiguo tra i due protagonisti, anche a costo di rischiare un film più schematico.
Qui si attinge, più o meno consapevolmente, dal Jeunet di "Delicatessen", forse dai Dardenne, persino forse dal Seidl di "Canicola" nei primi piani sulla sorella che fuma sempre. Persino la Huppert (ap)porta qualcosa di "Chabroliano" al suo personaggio. Ma manca quel senso del grottesco che impedisce di annoiarsi un tantino, ed i personaggi femminili, in fondo, rischiano chi più chi meno di apparire macchiette. Resta la tendenza, sin da questa opera prima, a dipingere chi sia "Fuori dal mondo". Ma, forse, il punto dolente sta proprio qui.
Infatti, mentre "Sister" è una storia di (AUTO?SIC!)emarginazione, qui assistiamo ad un atteggiamento anarcoide che rischia di apparire "Radical-chic". E forse, proprio per questo, questo film non "ingrana" davvero.
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carloalberto
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mercoledì 3 novembre 2021
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uno sguardo dal finestrino
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Un film dichiaratamente allegorico di Ursula Meier, con Isabelle Huppert e Olivier Gourmet, sull’impossibilità di mantenere armoniosamente in equilibrio i rapporti affettivi in una famiglia moderna, ma non del tutto omologata nei ritmi cittadini, destinata ad implodere a causa delle pressioni invasive della società di massa. Il finale resta ambiguamente in bilico tra l’amarezza e la disillusione della presa d’atto di un fallimento e la speranza utopica in una possibile via di fuga, un’alternativa al disastro compiuto ad opera di un gesto rivoluzionario.
La vecchia casa colonica, con un piccolo spazio all’aperto, è l’idillio collocato ai margini di un mostro dormiente, un’autostrada non finita e mai aperta al traffico, che incombe minaccioso pronto a risvegliarsi.
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Un film dichiaratamente allegorico di Ursula Meier, con Isabelle Huppert e Olivier Gourmet, sull’impossibilità di mantenere armoniosamente in equilibrio i rapporti affettivi in una famiglia moderna, ma non del tutto omologata nei ritmi cittadini, destinata ad implodere a causa delle pressioni invasive della società di massa. Il finale resta ambiguamente in bilico tra l’amarezza e la disillusione della presa d’atto di un fallimento e la speranza utopica in una possibile via di fuga, un’alternativa al disastro compiuto ad opera di un gesto rivoluzionario.
La vecchia casa colonica, con un piccolo spazio all’aperto, è l’idillio collocato ai margini di un mostro dormiente, un’autostrada non finita e mai aperta al traffico, che incombe minaccioso pronto a risvegliarsi.
Dal quadretto bucolico di una vita semplice e di una felicità fatta di piccole cose, la famigliola, dopo l’inaugurazione del serpente d’asfalto, è catapultata in un incubo ad occhi aperti, con le macchine che sfrecciano a pochi metri dal giardino di casa, inquinandone l’aria e gli ortaggi, impedendo perfino il sonno ai suoi occupanti.
La chiusura totale verso l’esterno, la muratura di porte e finestre, sembra l’unica soluzione per sfuggire alla contaminazione della modernità per quel mondo ancora in parte arcaico, ultimo residuo di una civiltà contadina già condannata all’estinzione.
La donna, dapprima pervicacemente attaccata alla casa, intesa come grembo materno che contiene proteggendo dai pericoli esterni, è la prima ad abbattere la parete e a partorire metaforicamente a nuova vita la sua famiglia, che si incammina verso un incerto futuro lungo una strada nei campi che scorre parallela all’autostrada.
L’ultima inquadratura è da un’auto che passa, a significare l’indifferenza dello sguardo, gettato casualmente dal finestrino, di chi è in corsa sull’autostrada, prigioniero inconsapevole di un tragitto già determinato nel punto di arrivo e di partenza, sulle piccole e grandi tragedie che il progresso produce nella vita degli altri. In quello sguardo, che, capovolgendo la prospettiva, potrebbe essere il nostro, non soltanto l’indifferenza ma soprattutto l’ignoranza delle possibilità che si aprono per quella famiglia, che, nell’atto rivoluzionario dell’abbattimento della parete ha ritrovato la propria coesione, cammina verso il nulla nei campi e proprio per questo rimane libera di crearsi un proprio personale percorso verso la felicità.
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gianleo67
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sabato 10 agosto 2013
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effetti parossistici di una grottesca modernità
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Quando sulla traccia viaria che costeggia la loro casa tra i campi della provenza viene finalmente ultimata e inaugurata una trafficata superstrada, un nucleo familiare si trova costretto dapprima a convivere con la paradossale situazione che si viene a creare tra isolamento, difficoltà logistiche e insostenibili rumori di fondo e successivamente con il disperato tentativo di una asfittica reclusione all'interno di una invivibile prigione domestica. Finale liberatorio.
Attraverso lo sguardo implacabile di un assurdo disincanto sull'ordinario domestico che si trasforma nell'inevitabile paradosso di una metafora sulla frammentazione e l'isolamento sociale, negli effetti collaterali di una grottesca modernità dove perfino una fondamentale infrastruttura di trasporto e di mobilità viaria diventa il simbolo di un invalicabile confine fisico e culturale, la franco-elvetica Ursula Meier, puntando ad una lenta esasperazione sociologica più che alla drammatizzazione sociale, cerca di riprodurre la insanabile dicotomia tra natura e cultura nella storia (singolare ed esemplare) di una famiglia ai margini di una miope civiltà della comunicazione.
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Quando sulla traccia viaria che costeggia la loro casa tra i campi della provenza viene finalmente ultimata e inaugurata una trafficata superstrada, un nucleo familiare si trova costretto dapprima a convivere con la paradossale situazione che si viene a creare tra isolamento, difficoltà logistiche e insostenibili rumori di fondo e successivamente con il disperato tentativo di una asfittica reclusione all'interno di una invivibile prigione domestica. Finale liberatorio.
Attraverso lo sguardo implacabile di un assurdo disincanto sull'ordinario domestico che si trasforma nell'inevitabile paradosso di una metafora sulla frammentazione e l'isolamento sociale, negli effetti collaterali di una grottesca modernità dove perfino una fondamentale infrastruttura di trasporto e di mobilità viaria diventa il simbolo di un invalicabile confine fisico e culturale, la franco-elvetica Ursula Meier, puntando ad una lenta esasperazione sociologica più che alla drammatizzazione sociale, cerca di riprodurre la insanabile dicotomia tra natura e cultura nella storia (singolare ed esemplare) di una famiglia ai margini di una miope civiltà della comunicazione.
Partendo dai malcelati presagi di una minaccia incombente, affrontando lo shock di una iniziale convivenza forzata con il mostro 'd'asfalto e di lamiera' e ripiegando verso gli esiti di una alienante segregazione domestica si attraversano gli stadi di un impossibile adattamento umano agli effetti parossistici di una 'barriera ecologica' dove solo lo spregiudicato individualismo dei singoli (la figlia maggiore) consente una inevitabile via di fuga attraverso il flusso veicolare e dove ogni tentativo di adattamento biologico sembra destinato al fallimento (un congelatore nuovo per le derrate alimentari, i tappi per le orecchie, la razionalizzazione scientifica sugli effetti dell'inquinamento, il disperato e ultimo tentativo di difendersi dallo stress psico-fisico di un implacabile rumore di fondo). La strada congiunge e la strada divide nella stridente contrapposizione tra il sogno di una disperata dimensione familiare nell'eremo impossibile di un inferno domestico e la serenità bucolica di prati verdeggianti dove echeggiano i dolci suoni di una natura rasserenante ('noi non possiamo vivere in un prato!'). Indovinato equilibrio tra le istanze di una riflessione non banale sui paradossi della modernità e il rigore di un linguaggio dove gli elementi descrittivi assumono un inevitabile valore semantico (la strada che divide, la parabola puntata verso il nulla, la radio che magnifica i vantaggi della nuova via di collegamento, la casa trasformata nel lugubre mausoleo di una tomba domestica), l'esordio della Meier segna il passo di una straordinaria maturità artistica e della infaticabile vitalità di un cinema (quello francese) che rielabora i canoni del realismo secondo una direttrice allo stesso tempo contingente e universale. Non è un caso infatti che nell'opera prima di questa giovane autrice i protagonisti siano interpretati da due degli attori più rappresentativi del cinema d'oltralpe: il volto bonario e sconsolato di Olivier Gourmet (attore feticcio dei Dardenne) e la maschera dolce e penetrante insieme di una intensa e spiazzante Isabelle Huppert. Presentato nella Settimana Internazionale della Critica del 61º Festival di Cannes non ottiene nessun premio, ed è un vero peccato!
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