Il titolo più azzeccato era sicuramente l’originale L’origine del male. Perché di male si parla in questo nerissimo film di Sebastien Marnier, subdolo e inquietante perché in fondo ambientato nel luogo che tutti noi crediamo più protettivo: la famiglia. Ed invece nella traduzione Un vizio di famiglia si perde già quell’appeal che mal non avrebbe guastato in un noir che pirandellianamente intacca i benefici di un’unità di sangue tutt’altro che paciosa e serena, manipolatoria e oscura.
C’è una famiglia che vive isolata in una villa con ettari di parco affacciata sul mare. Una famiglia che ha fatto dal capostipite Serge in poi, la menzogna una ragione di vita per divenire più potente, temibile, ricca.
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Il titolo più azzeccato era sicuramente l’originale L’origine del male. Perché di male si parla in questo nerissimo film di Sebastien Marnier, subdolo e inquietante perché in fondo ambientato nel luogo che tutti noi crediamo più protettivo: la famiglia. Ed invece nella traduzione Un vizio di famiglia si perde già quell’appeal che mal non avrebbe guastato in un noir che pirandellianamente intacca i benefici di un’unità di sangue tutt’altro che paciosa e serena, manipolatoria e oscura.
C’è una famiglia che vive isolata in una villa con ettari di parco affacciata sul mare. Una famiglia che ha fatto dal capostipite Serge in poi, la menzogna una ragione di vita per divenire più potente, temibile, ricca. E a questo fascino del male che la protagonista, Stéphane (Laure Calamy), “venuta da fuori”, tutt’altro che adamantina, si assuefa presentandosi come la “presunta” figlia dell’anziano patriarca nata da una relazione adulterina giovanile. Non che la moglie attuale sia messa meglio, nel suo accumulo seriale di collezioni o cianfrusaglie inutili “per passare il tempo” (e sperperare il patrimonio) e nemmeno la figlia (quella vera, George- perché il padre voleva un figlio maschio), avida rappresentante dell’attività di famiglia dopo anni in Australia. Per non parlare della domestica che si rivende di nascosto le collezioni della “padrona”. Tutte anime nere e quindi dannate pronte a danzare la morte per ghermire come avvoltoi il patrimonio, di quell’anziano uomo, il cui veleno oramai senza antidoto, ha travolto le loro menti e azioni. Ma l’eroina non è appunto Stephane, no. L’originalità di questa dark comedy che poi comedy non è, è rendere la nostra protagonista un coacervo di mistero e perfidia in un malsano e inquietante sviluppo che avvinghia, passata la prima fase interlocutoria, noi spettatori per capire “come diavolo ne uscirà ora”.
Non risparmia nessuno Un vizio di famiglia. Insegue il piacere perverso di un gioco al massacro come fossimo dalle parti di Parasite. Nero e senza speranza come una pellicola coreana, strizza l’occhio a Chabrol e Hitchcock per i suoi riferimenti più evidenti ma nella delizia terribile degli arrampicatori sociali senza scrupoli, talune volte patetici o palesemente manifesti (come la figura della pianta carnivora che mangia la mosca), traccia un ritratto in fondo ironico di una famiglia sui generis, crudele sì, ma in fondo, tremendamente vera.
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