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Sicuramente il linguaggio relazionale è molto cambiato negli ultimi anni, tutto scorre più in fretta, si comunica attraverso smartphone e sofisticati software, anche il cinema si adegua all’uso smodato di questi strumenti, più difficile è farne un uso intelligente, come nel suddetto caso. Decision to leave del regista coreano Park Chan-Wook è un film non facile, richiede attenzione e immedesimazione, e non sempre è sufficente, ogni tanto si rischia di rimanere invischiati nella nebbia di domande senza risposte. La nebbia, elemento centrale del film, un caso da risolvere per il detective Hae-joon apparentemente un incidente, un suicidio, un uomo caduto dalla vetta di una montagna,che ben presto condurrà a sospettare della giovane moglie, Seo-rae, tanto affascinante quanto sfuggente. Tra il detective e la donna, si stabilisce da subito un’attrazione che si sovrappone, distanzia, si ricompone in un’architettura d’immagini eleganti e immateriali, s’insinua l’ossessione , il desiderio, la negazione della realtà. Seo-rae è la donna del mistero, una figura ermetica, indecifrabile, quasi astratta, non come la moglie di lui che lo annusa per indagare se ha fumato, il regista cattura le inquadrature in interni, crea spazi nei quali abitare, la camera compie percorsi vertiginosi, sfiora altezze in diagonale, la musica accompagna la sensualità del non detto, la fotografia con i suoi colori freddi, crea simmetrie e asimmetrie in perfetta e disarticolata armonia.I riferimenti a Hitchoch, Vertigo,, La finestra sul cortile, Il caso Paradine sono evidenti, ma a me è venuto in mente il capolavoro di Wong Kar -Way “ In the mood for love”, proprio per questo amore inespresso, sospeso che culmina in un finale potente che sembra di essere nella tela più famosa di Caspar David Friedrick “ Viandante sul mare di nebbia” , una coltre sconfinata , indistinta, crepuscolare, Il desiderio di una risposta all’eterno interrogativo sull’amore.
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