ghisi
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domenica 1 agosto 2021
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il malessere trascurato
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La famiglia, e i difficili e complicati rapporti fra i suoi membri, sono le tematiche trattate da Marco Bellocchio in tutti i suoi film.
Con “Marx può aspettare” il regista piacentino confeziona un emozionante film-documentario che traccia la storia del suo bellissimo gemello che si è ucciso a 29 anni, il 27 dicembre del 1968.
La madre ipercattolica, rimasta vedova purtroppo troppo presto, ha dovuto crescere sette figli di cui cinque maschi e due femmine (Paolo, Tonino, Piergiorgio, Alberto, Marco e Camillo, Maria Luisa e Letizia). Tra questi Paolo, che aveva un grosso problema psichiatrico, e Letizia, che era nata sordomuta.
Nel montaggio sono inserite alcune sequenze di vecchi film girati da lui stesso e che sottolineano questa sua ossessione: il senso di colpa di non aver capito la profonda sofferenza del fratello, di non averlo compreso e, forse, di non averlo amato sufficientemente.
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La famiglia, e i difficili e complicati rapporti fra i suoi membri, sono le tematiche trattate da Marco Bellocchio in tutti i suoi film.
Con “Marx può aspettare” il regista piacentino confeziona un emozionante film-documentario che traccia la storia del suo bellissimo gemello che si è ucciso a 29 anni, il 27 dicembre del 1968.
La madre ipercattolica, rimasta vedova purtroppo troppo presto, ha dovuto crescere sette figli di cui cinque maschi e due femmine (Paolo, Tonino, Piergiorgio, Alberto, Marco e Camillo, Maria Luisa e Letizia). Tra questi Paolo, che aveva un grosso problema psichiatrico, e Letizia, che era nata sordomuta.
Nel montaggio sono inserite alcune sequenze di vecchi film girati da lui stesso e che sottolineano questa sua ossessione: il senso di colpa di non aver capito la profonda sofferenza del fratello, di non averlo compreso e, forse, di non averlo amato sufficientemente.
Spesso nei film di Bellocchio è presente il tema del suicidio da “Salto nel vuoto” del 1980, “Gli occhi, la bocca” del 1982, a “Regista di matrimoni” del 2006.
In“I pugni in tasca”, Augusto è il figlio maggiore di una famiglia disastrata che include una madre non vedente, una sorella egoista e due fratelli epilettici, mentre in “L’ora di religione - il sorriso di mia madre” del 2002 la madre è stata assassinata dal fratello con turbe psichiche.
Così racconta il regista: «È vero, questo film è il mio modo di far entrare gli altri nella mia storia, a casa mia. Forse per questo mi agita un po’ l’idea di mostrarlo al pubblico. E lo faccio oggi… Il tempo è importante. Il momento lo è. In passato ho avuto anche tensioni forti coi miei fratelli che pensavano di essersi ritrovati troppo nei miei film, quando invece non era così… Altre volte, come nel mio primo film I pugni in tasca, hanno capito in ritardo che parlavo di loro e di me stesso. Qui, adesso, ci sono tutti. Con la massima libertà. I miei fratelli e sorelle... Anche la sorella della fidanzata di Camillo che abbiamo ritrovato all’ultimo momento».
Il film-documentario è un atto d’accusa - verso se stesso e anche verso gli altri fratelli - ma nel contempo è un gesto liberatorio nel dichiararlo apertamente. A tale scopo mette insieme interviste fatte, dal 2016 a oggi, ai fratelli sopravvissuti.
Così Piergiorgio - l’intellettuale della famiglia fondatore di Quaderni Piacentini - racconta di essere tornato da Milano a Piacenza quando seppe della “disgrazia” di Camillo, mai pensando che si potesse essere suicidato. Il fratello Alberto, il sindacalista, ricorda invece il lato ironico e divertente del fratello, raccontando le sue battute e le sue prese in giro. Belle anche le testimonianze delle due sorelle Maria Luisa e Letizia, diverse ma legatissime. Letizia in particolare, nonostante sia credente, si chiede come, nell’aldilà, sarà possibile rincontrare mamma, Camillo e gli altri cari che non ci sono più tra miliardi di persone.
Ospite nel film al di fuori dei parenti stretti è Luigi Cancrini il famoso psichiatra che ha militato nelle file del PCI - e ha fondato il Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale, una delle più importanti scuole di Psicoterapia in Italia, di cui è Presidente.
C’è anche Gianni Schicchi nel film, l’attore piacentino amico di Bellocchio che ne “I pugni in tasca” ha interpretato il ruolo del venditore di cincillà - il percorso di una giovinezza inventata e di un’adolescenza inquieta.
Un'altra bella figura è quella del prete gesuita, scrittore e critico cinematografico di “La Civiltà Cattolica”, padre Virgilio Fantuzzi, che legge nel cinema di Bellocchio una vera e propria confessione: lo schermo è la grata del confessionale e lui è pronto a dargli l’assoluzione perché ne comprende il pentimento.
Dure invece le parole della sorella di Angela, la fidanzata del fratello suicida. Fa notare come nessuno abbia cercato di sapere di più di Camillo interrogando la ragazza che gli ha voluto bene e che lo ha frequentato di più negli ultimi anni. Sostiene, inoltre, che i membri della famiglia Bellocchio hanno ignorato Angela perfino al funerale, proponendole solo in un secondo momento, di tenere la macchina Fiat che era di Camillo (e che lei ha rifiutato).
Il malessere profondo di Camillo probabilmente era dovuto a un confronto perdente con i fratelli: andava male a scuola, spesso era respinto. Da ragazzo sembrava fare una vita da “vitellone” di provincia insieme ad altri ragazzi di Piacenza. È stato l’unico tra i fratelli che ha fatto il militare, ma forse era contento di non dover prendere decisioni per la sua vita e di rimandare le scelte di un paio d’anni.
Come si può competere con un famoso intellettuale come Piergiorgio, o con uno stimato regista vincitore di premi (a Locarno per “I pugni in tasca” e a Venezia per “La Cina è vicina”) come Marco? Il bel Camillo, che aveva sempre uno sguardo malinconico anche se sorrideva, aveva finito per fare il professore di educazione fisica in una scuola, dopo aver studiato per geometra senza un particolare interesse. I fratelli pensavano si fosse “sistemato”.
Marco, che in quanto gemello avrebbe dovuto capirlo di più, proprio in quegli anni ’60 gli parlò di impegno politico e sociale al quale Camillo rispose: «Marx può aspettare», frase epica che è diventata il titolo.
Il film è stato presentato, fuori concorso, al Festival di Cannes quest’anno dove Marco Bellocchio ha ricevuto la Palma d’oro onoraria.
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francesca meneghetti
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domenica 29 agosto 2021
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marx poteva aspettare
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Camillo, gemello di Marco, nato il 9 novembre 1939, ma tre ore dopo, incontra il fratello, già affermato nel cinema, in una data imprecisata del 1968. Camillo, dolce e insicuro, pluri-bocciato, chiede aiuto a Marco. E’ spaventato dal futuro: Marco lo invita a sciogliere i suoi problemi nel calderone della rivoluzione, che metterà tutto a posto. Camillo, gentile ma fermo, risponde che Marx può aspettare. Sarà il loro ultimo incontro. Il 27 dicembre (qualche mese dopo) Camillo si impicca. La tragedia si aggiunge alle altre della famiglia: un figlio schizofrenico, che urla (e che viene messo a dormire proprio con Camillo ancora bambino), una figlia sordomuta, un padre morto precocemente di tumore.
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Camillo, gemello di Marco, nato il 9 novembre 1939, ma tre ore dopo, incontra il fratello, già affermato nel cinema, in una data imprecisata del 1968. Camillo, dolce e insicuro, pluri-bocciato, chiede aiuto a Marco. E’ spaventato dal futuro: Marco lo invita a sciogliere i suoi problemi nel calderone della rivoluzione, che metterà tutto a posto. Camillo, gentile ma fermo, risponde che Marx può aspettare. Sarà il loro ultimo incontro. Il 27 dicembre (qualche mese dopo) Camillo si impicca. La tragedia si aggiunge alle altre della famiglia: un figlio schizofrenico, che urla (e che viene messo a dormire proprio con Camillo ancora bambino), una figlia sordomuta, un padre morto precocemente di tumore. E poi una cesura netta tra le donne (madre e due figlie): le prime religiosissime, di una fede medievale che si basa sulla paura delle fiamme infernali, i maschi atei e miscredenti, da salvare dalla perdizione eterna (come nel mondo ritratto da Luigi Meneghello in Libera nos a Malo). Questo suicidio, che riecheggia quello di Tenco, lascia un segno profondo su tutti: anche sui maschi, uomini affermati, come Piergiorgio, fondatore dei Quaderni Piacentini, Alberto, sindacalista, e lo stesso Marco, regista. Tutti protesi, egoisticamente, a seguire i loro obiettivi e i loro successi. E a rimuovere le colpe. Il 16 dicembre 2016 Marco Bellocchio organizza una rimpatriata familiare a Piacenza. Non ha le idee chiare, ma intanto registra e interroga i fratelli su Camillo, il cui spirito aleggia sulla riunione, senza incombere, ma persistendo con discrezione. Ne nasce un film, che si anima del bellissimo montaggio di Francesca Calvelli, che all’inizio punteggia il racconto con filmati storici (bellissimo lo sguardo attonito dei piccoli gemelli Camillo e Marco di fronte alla dichiarazione di guerra di Mussolini del 10 giugno 1940); poi con spezzoni dei film di Bellocchio: I pugni in tasca, Salto nel vuoto, Gli occhi, la bocca, L’ora di religione, di cui solo (o soprattutto) grazie a questo “Marx può aspettare” si può intuire il senso, e il collegamento. E’ una confessione coraggiosa, condivisa anche dagli altri membri della famiglia: l'ammissione, più implicita che esplicita, di disattenzioni, disistima, inadempienze, anche meschine, e rimozioni, che hanno privato Camillo di amore e di attenzione. E’ la confessione, al pari di altri film del regista, sostanzialmente equivalente nella funzione, di un gigantesco senso di colpa variamente distribuito, ma esteso. Un film autobiografico e personale, senz’altro, ma anche di portata ben più generale: ne uccide la famiglia più della spada… Se Bellocchio è, in questa operazione, una sorta di “inquisitore gentile”, come ha detto Marco Ercolani, il pubblico è chiamato a raccogliere questa confessione catartica, come afferma con saggezza il gesuita che viene intervistato. Anche se non ne esce a cuor contento. Il film documentario è stato presentato come evento speciale a Cannes 2021, con musiche di Ezio Bosso. Un bicchiere di rosso corroborante è raccomandato dopo la visione.
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mauridal
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lunedì 19 luglio 2021
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il fardello di marco
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IL FARDELLO di Marco ,
commento mauridal al film : Marx può aspettare di Marco Bellocchio.
Quando una persona , colta ,intellettuale fa il mestiere di regista di cinema , a differenza di tutti gli altri , ha un privilegio , poter raccontare ad un vasto pubblico, la storia privata della sua famiglia, con mille risvolti ,particolari e tante sfumature .
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IL FARDELLO di Marco ,
commento mauridal al film : Marx può aspettare di Marco Bellocchio.
Quando una persona , colta ,intellettuale fa il mestiere di regista di cinema , a differenza di tutti gli altri , ha un privilegio , poter raccontare ad un vasto pubblico, la storia privata della sua famiglia, con mille risvolti ,particolari e tante sfumature .In generale tutti gli artisti, scrittori , pittori , potrebbero farlo, ma il cinema si presta meglio a coinvolgere, a interessare emotivamente il pubblico, che sceglie di guardare un film. Marco Bellocchio regista ormai noto e celebrato per la sua lunga e matura carriera, ha voluto in tarda maturità realizzare un film documento, un piccolo,film se vogliamo, ma dall’enorme intensità sia della storia raccontata, ma anche delle immagini, che parlano da sole, anche senza la voce del regista che commenta e racconta , insieme ai protagonisti del film. Un film particolare come la storia di questa famiglia, come anche tutti personaggi , come particolare e singolare è la personalità del regista. Intanto il film racconta la storia della famiglia Bellocchio ,con particolare riguardo al fratello gemello del regista , Camillo , morto da giovane per un suicidio negli anni ’80 di cui tutti si rimproverano e al contempo si difendono. La carrellata di volti e sguardi che le immagini mostrano in una realtà odierna ci fanno vedere persone ormai anziane, altri fratelli, le sorelle, tutti gli amici che li hanno conosciuti, che in definitiva si auto assolvono da qualsiasi responsabilità o colpa per il fatto accaduto ma che li ha profondamente segnati e forse cambiati . Insomma persone ormai indifese che davanti alla camera da presa si raccontano con tutta l’angoscia e la incredulità provata in passato per quel suicidio imprevisto. Dunque il più cosciente dell’accaduto al fratello è proprio il regista Marco, che ha portato per tanti anni il peso di un fardello , di una colpa inconfessata, per non aver capito niente del fratello, al pari degli altri. La differenza è che Marco Bellocchio è riuscito attraverso il cinema a realizzare una sorta di catarsi, e qui la psicoanalisi sarebbe più precisa nel percorso di liberazione, compiuto dal regista, alla luce dei film realizzati e delle storie raccontate ,soprattutto dalla forza delle immagini che i suoi film dimostrano, ovvero una forza contro la realtà, contro le convenzioni, immagini- contro, appunto a quella presunta armonia e ordine che la famiglia e la società dovrebbero avere. Dunque anche in questo suo ultimo film , il regista Marco Bellocchio conferma tutta la sua contrarietà ai valori di quella tanto vituperata borghesia , di cui fa parte a pieno titolo. Dunque un contestatore irrisolto, ma forse di più , un artista in conflitto con sé stesso che cerca oggi negli sguardi che si interrogano dei suoi giovani figli , una giustificazione e una soluzione. L’Ironia vuole che invece proprio un prete cinefilo ,suo amico lo assolve nel finale del film, in virtù dei film realizzati fino ad oggi e quindi salvando non l’anima, ma il cinema ,come sua unica ragione di vita , e mai assoluzione fu così ironicamente vera. (Mauridal)
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athos
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giovedì 29 luglio 2021
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una famiglia, un mistero
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Da un'idea interessante, un pranzo organizzato dall'anziana famiglia Bellocchio prima di morire, riemerge forte il ricordo di Camillo, gemello del grande regista, morto suicida nel 1968 all'età di 29 anni. Ne è uscito un film bellissimo, dove il fantasma di Camillo appare rarefatto nei ricordi degli atteggiamenti di quel tempo. Emerge il ricordo e lo stupore davanti a un fatto che ha il suo alone di mistero. Magistrali le parole di Letizia, donna incantevole che ha regalato alla pellicola momenti di grande liricità.
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luciano sibio
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mercoledì 1 settembre 2021
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il 68 è finiito
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Marx può aspettere va al di là della esibizione di sè stesso nel più profondo,che non può mai slegarsi dalla esibizione del contesto famigliare. Nella famiglia di Bellocchio campeggia la storia del fratello gemello di Marco morto suicida e mai compreso colpevolmente nel suo dramma interiore da nessuno del nulceo famigliare.
Nucleo in cui noi tutti siamo cresciuti e diventati come ora siamo.Questo film però ci invita, tramite il suo autore anche a una riffessione più generale.
Questo film ci invita infatti a capire che nella nostra vita quello che più conta è il quotidiano con il suo carico di difficoltà e lacerazioni e non delle costruzioni fillosofico generali sul mondo e su astratte essenze socioiogiche.
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Marx può aspettere va al di là della esibizione di sè stesso nel più profondo,che non può mai slegarsi dalla esibizione del contesto famigliare. Nella famiglia di Bellocchio campeggia la storia del fratello gemello di Marco morto suicida e mai compreso colpevolmente nel suo dramma interiore da nessuno del nulceo famigliare.
Nucleo in cui noi tutti siamo cresciuti e diventati come ora siamo.Questo film però ci invita, tramite il suo autore anche a una riffessione più generale.
Questo film ci invita infatti a capire che nella nostra vita quello che più conta è il quotidiano con il suo carico di difficoltà e lacerazioni e non delle costruzioni fillosofico generali sul mondo e su astratte essenze socioiogiche. Quotidiano che spesso mal si concilia anche con improponibili credenze religiose.
Illuminante e chiarificatore è il discorso finale sulla religione e sull'al dilà che ne dà Letizia,la sorella sordomuta del regista a cui interesa poco di Dio, del paradiso,dell'inferno ma quello che conta è ritrovare nell'aldilà le persone care che non ci sono più.
Con questo film si può veramente dre che il 68 è finiito e con esso tutto il carico di esagerazioni e fatue costruzioni mentali e anche la risposta cattolico religiosa contestuale al 68 stesso eretta allora dal c.d. sistema.
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massimo cortese
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domenica 11 agosto 2024
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indagine collettiva su un lutto devastante
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Protagonista assoluto è il lutto, causato dalla morte improvvisa per suicidio del proprio fratello.
A distanza di cinquanta anni di distanza da quella tragedia, un regista famoso decide di approfondire le ragioni che portarono il congiunto a quella decisione definitiva, ricorrendo all’espediente cinematografico della riunione di famiglia.
Ne esce fuori un quadro alquanto toccante della vicenda umana che ha colpito il proprio nucleo familiare, con lo sfondo della società italiana di quegli anni.
Affrontare il tema del lutto non è un’impresa facile e dare una spiegazione al suicidio, un evento misterioso destinato a condizionare, oltre all’esistenza del suo autore, anche quella di tante altre persone presenti e future, è estremamente complicato.
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Protagonista assoluto è il lutto, causato dalla morte improvvisa per suicidio del proprio fratello.
A distanza di cinquanta anni di distanza da quella tragedia, un regista famoso decide di approfondire le ragioni che portarono il congiunto a quella decisione definitiva, ricorrendo all’espediente cinematografico della riunione di famiglia.
Ne esce fuori un quadro alquanto toccante della vicenda umana che ha colpito il proprio nucleo familiare, con lo sfondo della società italiana di quegli anni.
Affrontare il tema del lutto non è un’impresa facile e dare una spiegazione al suicidio, un evento misterioso destinato a condizionare, oltre all’esistenza del suo autore, anche quella di tante altre persone presenti e future, è estremamente complicato.
Come un bel libro può rivelarsi terapeutico per la salute psichica dello scrittore, allo stesso modo il suddetto documentario rappresenta una risposta appropriata alla ricerca collettiva di una normalità desiderata e mai trovata. Il lutto da suicidio infatti è diverso da tutti gli altri. Chi rimane lo vede come un atto di allontanamento volontario, una presa di distanza dai familiari. Le persone sono tormentate non solo da sensi di colpa e responsabilità, ma anche da un sentimento di rabbia.
Il fatto che nella pellicola il regista, più che un uomo di cinema, sia una persona coinvolta, non impedisce che la narrazione dell’indagine-documentario sul suicidio del fratello gemello si riveli preziosa ed utile per cercare di analizzare una situazione tragica, comunque meritevole di non essere dimenticata. Spesso ci si scontra con l’idea che non ricordare o non parlare di ciò che è accaduto porti, con il tempo, a dimenticare; si arriva a credere che tenere la sofferenza per sé possa contribuire a diminuire il dolore degli altri o quanto meno non incrementi quello già presente.Con questo film il regista ha voluto condividere il dolore utilizzando la grande opportunità di dare spazio al potere terapeutico del racconto. Se la normalità, nel caso di un suicidio, non potrà mai essere trovata, il fatto di averla cercata col formidabile esercizio della memoria collettiva, quale è appunto la riunione della propria famiglia, corrisponde ad un omaggio, ad una gratitudine per il protagonista assente, che per chi resta ha il valore di una fotografia e di un esame di coscienza che aiutano a considerare lo scomparso con una luce diversa, più completa rispetto al ricordo individuale e alla sofferenza personale.
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