Prendete un quadro di Picasso, dividetelo in tanti piccoli pezzi, rimescolateli e poi cercate di ricomporre la figura originale come in un puzzle. Magari, per rendere l'operazione ancora più complessa, togliete qualche frammento. Nella migliore delle ipotesi, verrà fuori un insieme un po' diverso, all'interno di una composizione che ha già alterato i rapporti spaziali tra persone ed elementi del quadro. Il film "The Father" del regista Zeller assomiglia precisamente a un puzzle ricostruito da un narratore inaffidabile, una "realtà", un insieme di percezioni viste con gli occhi di una persona che, a causa di una demenza senile, tende ad aggrovigliare, rimescolare e sovrapporre i contesti, le persone, i ricordi, gli eventi.
Il protagonista del film- Anthony, un ex ingegnere ottantenne interpretato da uno straordinario Hopkins- vive in una casa elegante in un quartiere residenziale di Londra, ha rapporti conflittuali con le collaboratrici che lo assistono e viene visitato regolarmente dalla figlia - Anne, impersonata da un'eccellente Olivia Colman-. Ha alcune manie compulsive, come quella di nascondere l'orologio in luoghi di cui si dimentica e qualche vissuto persecutorio nei confronti delle badanti, accusate di voler sottrargli oggetti di valore. La fissazione sull'orologio è significativa, in realtà la percezione del tempo da parte di Anthony si sta sgretolando, tende a sovrapporre il "prima" e il "dopo", il qui e il là, mescola gli eventi come fossero un mazzo di carte, rimodella la realtà sulla base dei suoi desideri e timori. Una figlia morta in un incidente continua a vivere nella mente dell'anziano, confonde il proprio appartamento con quello di Anne, rivendica un'autonomia di pensiero e di decisione che viene azzerata dalla sua condizione.
Ma non è solo il tempo a sgretolarsi, anche lo stato emotivo di Anthony subisce brusche variazioni e oscillazioni ampie su un range che spazia dall'arroganza, all'aggressività persecutoria, dall'affabilità all'invettiva, dalla fragilità al pianto. E' come se le dimensioni essenziali del vivere- tempo, interazioni, modulazioni affettive- fossero a un tratto diventate un alfabeto sconosciuto, un mare percorso da correnti rapide che trascinano via e che obbligano ad afferrarsi a ripetizioni ("In Francia non parlano neanche l'Inglese"), a silttamenti, a condensazioni, a rimozioni.
Chiunque abbia convissuto con un famigliare colpito da demenza, conosce benissimo il calvario che comporta per chi ne è affetto e per chi gli sta vicino. Dalle prime omissioni, dalle prime dimenticanze, all'erosione progressiva dello spazio delle funzioni vitali, fino al non riconoscimento dei famigliari e alla mancanza totale di autosufficienza.
"The father" ci propone la prima parte di questo percorso a partire dall'esperienza del protagonista. Alcuni tasselli rimangono non collocati e alcune domande senza risposta. Tuttavia, sono proprio queste imperfezioni, queste linee di frattura che rendono il film apprezzabile e prezioso, quasi fosse un esempio di kintsugi, l'arte giapponese che usa l'oro o l'argento liquido per saldare oggetti di ceramica che si sono rotti. Immagine che vale anche per lo spirito umano, quando corre il rischio di essere disintegrato dall'usura e dal passo del tempo.
[+] lascia un commento a writer58 »
[ - ] lascia un commento a writer58 »
|