mauridal
|
domenica 13 settembre 2020
|
di padre in figlio
|
|
|
|
Un film scritto e diretto da due fratelli, Gianluca e Massimiliano De Serio, esperienza che ha illustri precedenti e direi una lunga storia cinematografica .
[+]
Un film scritto e diretto da due fratelli, Gianluca e Massimiliano De Serio, esperienza che ha illustri precedenti e direi una lunga storia cinematografica .A partire dai fratelli Taviani, passando per i fratelli Coen, ancora ,i Vanzina, per i Manetti Bros, più di recente per i fratelli D Innocenzo. Questo film è’ una una conferma dunque di come due singole identità accomunate dalla passione per il cinema, possano trovare una coincidente visione di una realtà da raccontare. Nell’essere fratelli vi è quindi un valore in più , quando si tratta di recuperare racconti o fatti familiari vissuti o ascoltati da racconti di padri, nonni e altri. E’ il caso del film dei fratelli De Serio ,Spaccapietre che prende spunto dal racconto della fine tragica della nonna dei due registi , dedicando o col film a ricordarne la figura ,raccontando appunto la terribile e miserabile vita dei braccianti stagionali . quelli che lavorano nei campi dei latifondisti in Italia, in Puglia . Braccianti italiani o per lo più immigrati di colore , senza alcun diritto ,anzi braccianti , arruolati da caporali al nero, e destinati ad uno sfruttamento che in condizioni di lavoro e vita pessime, al limite della sopravvivenza, possono causare , morte e tragedie sociali. E’. Il tema del film , dove il racconto si sviluppa attraverso alcuni personaggi , Giuseppe padre di Antò, ragazzino , che dopo la morte della mamma Angela appunto bracciante nei campi, è rimasto a vivere con il padre Giuseppe a cui è molto legato, e reciprocamente anche ricambiato da un grande affetto , nel ricordo della mamma . Un Padre come Giuseppe già afflitto da menomazione ad un occhio che lo costringe ad abbandonare il suo lavoro nella cava di pietre , per adattarsi a lavorare anche lui nei campi come bracciante al fine di sopravvivere con il figlio da crescere e mantenere. Un racconto amaro che il film svolge , ricordando il neorealismo migliore un cinema di impegno e di narrazione con immagini drammatiche con evidenti violenze disumane, ma al contempo , immagini delicate nel rapporto padre figlio o anche nei ricordo di Antò della mamma Angela che Giuseppe promette di al figlio di ritrovare un giorno. Un racconto che scorre con poche sorprese , il latifondo, i caporali il padrone che controlla e tutti gli operai braccianti che sfruttati lavorano in pessime condizioni. Anche Giuseppe e il figlio Antò sono tra questi . La vita dopo il lavoro è altrettanto difficile Giuseppe e il figlio persa la casa vivono nelle baracche con gli altri in condizioni di estrema difficoltà, Le figure dei padroni e dei caporali sono trattate con spietato realismo ,ma nulla cambia nel ‘equilibrio della vita tra schiavi e padroni , e il lavoro continua implacabile ogni giorno. A poco vale per Giuseppe e il figlio del la presenza d un personaggio femminile , anche lei bracciante , che era amica di Angela e conoscendo il figlio e Giuseppe si limitano a ricordarne la fine per stenti e malattia . Qualcosa si insinua nel racconto , la figura del padrone diventa sempre più odiosa fino a presentare scene di sfruttamento anche sessuale delle donne braccianti. Dunque Giuseppe da uomo mite e affettuoso padre , cova sentimenti di ribellione , la narrazione continua però nella tranquilla normalità , e quando Giuseppe una sera in baracca regala ad Antò la mazzuola del nonno spaccapietre , appunto oggetto di lavoro duro , ma anche strumento di possibile uso violento, si apre una svolta nel racconto che lo spettatore non si prefigura , perché il vero Giuseppe si scatena nel finale Pulp del film , e i registi fanno un evidente omaggio cinefilo allo stile Tarantino , Pulp e dintorni , quando durante una festa in casa del padrone il piccolo Antò passa la mazzuola al padre affinché una scatenata reazione contro tutte le ingiustizie e i soprusi e gli sfruttamenti si concentrano sulla testa dl vecchio latifondista e dei suoi caporali a difesa. Un finale dunque dirompente e sconvolgente rispetto alla narrazione lineare del film, ma che gli autori evidentemente sentivano necessaria , per chiudere il film con la piena definizione del personaggio Giuseppe , ottimamente interpretato da Salvatore Esposito, ma anche dal giovane Samuele Carrino come Antò figlio che nelle immagini di chiusura del film corre via con l’immagine onirica della mamma Angela finalmente ritrovata. ( mauridal)
[-]
|
|
[+] lascia un commento a mauridal »
[ - ] lascia un commento a mauridal »
|
|
d'accordo? |
|
eugenio
|
venerdì 23 aprile 2021
|
capolarato e sfruttamento
|
|
|
|
C’è un solco lavorato da un fiume che scava sempre più, erodendo i sottili margini dell’alveo e prorompendo a tutta forza sullo schermo di noi spettatori, nelle cronache italiche sempre più intrise di miseria, sfruttamento e capolarato.
E non è un caso che, luoghi comuni permettendo, questa “piaga” affligga sempre più le regioni meridionali, dove sotto il caldo sole estivo, braccianti di varie nazionalità, prive di sussidi e regolarità, siano sfruttati per un tozzo di pane senza remore, vivendo relegati tra baracche, in una condizione che nulla ha da invidiare ai lager nazisti. Non solo extracomunitari, le cronache hanno citato esempi di molti italiani con relativa prole sfruttati come bestie da soma per raccogliere i pomodori o le arance nella piana di Gioia Tauro, spesso per pochi euro al giorno.
[+]
C’è un solco lavorato da un fiume che scava sempre più, erodendo i sottili margini dell’alveo e prorompendo a tutta forza sullo schermo di noi spettatori, nelle cronache italiche sempre più intrise di miseria, sfruttamento e capolarato.
E non è un caso che, luoghi comuni permettendo, questa “piaga” affligga sempre più le regioni meridionali, dove sotto il caldo sole estivo, braccianti di varie nazionalità, prive di sussidi e regolarità, siano sfruttati per un tozzo di pane senza remore, vivendo relegati tra baracche, in una condizione che nulla ha da invidiare ai lager nazisti. Non solo extracomunitari, le cronache hanno citato esempi di molti italiani con relativa prole sfruttati come bestie da soma per raccogliere i pomodori o le arance nella piana di Gioia Tauro, spesso per pochi euro al giorno.
In questo contesto che il fiume dall’istanza prettamente neorealista dei fratelli De Serio, torinesi documentaristi, scava nelle tradizioni di altrettanti celebri “fratelli”, i Taviani per citare un esempio aulico, in un viaggio archetipico nella Puglia attuale che, quasi epurata da ogni forma di civilizzazione, come fossimo in un non meglio località pre-novecentesca, risulta priva di certezze e immutabile ora come centinaia di anni fa.
Scorre sempre il fiume dell’illegalità, del sopruso, della violenza, pronto a ghermire anime vuote, disperate, disposte a tutto per guadagnar pochi euro. Giuseppe (Salvatore Esposito) e Angela ne sono un esempio. Lei bracciante nei campi prima ancora che il sole sorga, lui lavoratore in una cava. Il frutto del loro amore è Antò, sveglio ragazzino cresciuto forse troppo in fretta. E presto la tragedia succede: Giuseppe, colpito da una scheggia all’occhio, è impossibilitato a continuare il lavoro e Angela deve sopperire alla mancanza, buttandosi anima e corpo come bracciante stagionale. In quei campi prima dell’alba, la donna crollerà di fatica, morendo d’infarto e Giuseppe, oramai solo, dovrà capire come badare al figlioletto in circostanze di sofferenza e fatica, là tra quelle sterminate distese di terra, proni sulla nuda e fertile madre in un addolorante addio.
Tutto questo è Spaccapietre, lucida testimonianza di un rapporto padre-figlio quasi simbiotico, dalla valenza infernale, in cui le due anime, quella di un corpulento e gigante padre e di un fragile figlio, per non cadere, si supportano a vicenda; Antò nella speranza idilliaca di credere al miracolo del ritorno dell’amata madre, un giorno dal Regno dei morti; Giuseppe, dal canto suo, nel vano tentativo di non crollare intrappolato in un lavoro inumano su cui la speranza di sopravvivenza sembra quasi una chimera.
I due fratelli De Serio utilizzano un linguaggio e una presa diretta tradizionale che fa uso di frequenti primi piani, volti a osservare con attenzione il rapporto tra le due anime, riscrivendo con cura l’apologo infernale (per certi versi il film ha un vago retrogusto de “La vita è bella” di Benigni) di una ricerca di lavoro che appare qui tutt’altro che un diritto costituzionale. E per farlo non risparmiano nulla: primi piani intensi, trattamenti meschini e criminali dei caporali, pagamenti, poche decine di euro al termine di una lunga giornata, chiaramente in nero; baracche di legno marcio con allacci elettrici abusivi a tradire un senso d’identità che sfuma nella promiscuità e nell’esasperazione.
Come il volto del grande Salvatore Esposito, fiocina di lampi e di dolore, pronto a brillare come una fiamma in un disperante quanto disperato ardore di libertà per il figliolo. E chissà che la mamma non li aiuti da lassù nella loro disperante corsa.
Amaro ma inevitabile. Essenziale ma crudo, un robusto dramma verista necessario per non dimenticare.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a eugenio »
[ - ] lascia un commento a eugenio »
|
|
d'accordo? |
|
|