Midsommar - Il villaggio dei dannati

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La paura alla luce del giorno

di Roberto Nepoti La Repubblica

L'horror è diventato adulto. O, forse, è solo tornato a essere tale. Nato come genere "serio", con registi quali Murnau e Dreyer, negli ultimi decenni il film di paura era diventato un intrattenimento per adolescenti sempliciotti. Invece nelle ultime stagioni, grazie a nuovi talenti come Jordan Peele (Scappa-Get Out , Us) e Ari Aster, sta riacquistando il suo valore semantico e simbolico. Dani e Christian sono una coppia in crisi. Ma quando una tragedia famigliare colpisce la ragazza, per alleviarne il lutto Christian la porta in viaggio con sé e con un gruppo di amici: meta un villaggio isolato della Svezia, Harga, dove una piccola comunità celebra un antico festival estivo. I giovani americani, studenti di antropologia, ricevono il benvenuto mediante una pozione allucinogena che serve a disinibire. Ben presto, però, le cose prendono un aspetto inquietante e Dani capisce di essere finita in un incubo, mentre prova un panico crescente che lo spettatore condivide con lei. Ari Aster, anche sceneggiatore del film, si è inventato un mondo a parte: un villaggio in piena campagna abitato da una setta pagana al di fuori di tutte le realtà urbane e sociali note ai giovani viaggiatori e che comunica un senso di malessere anche a chi guarda. Però ciò che gli sta più a cuore è ridefinire i codici del cinema dell'orrore ribaltandone il rapporto, fondativo, tra luce e tenebre. Se il genere, infatti, è il dominio del buio, in cui allignano mostri e fantasmi, qui la paura sorge - all'opposto -dalla luce intensa e perenne del circolo polare, tingendo di riflessi sinistri il sole e la natura lussureggiante. Il suo primo lungometraggio, Hereditary - Le radici del male, aveva fatto parlare di Aster come di un futuro, nuovo maestro del genere alcuni, invece, lo avevano accusato di eccessivo culto della forma. Cosa di cui il regista non si è fatto un problema. Midsommar si prende tutto il tempo per installare personaggi e situazioni (anche se in montaggio Aster ha dovuto sacrificare 80 minuti, la durata è insolita per un horror) poi adotta un'estetica che non lascia nulla al caso. Inquadrature ampie ed elaborate, dalla costruzione e dall' equilibrio perfetti (è evidente che i suoi maestri sono Stanley Kubrick e Terrence Malick), celebrano il matrimonio tra cinema d' autore e cinema di genere. In omaggio al quale il cineasta si concede qualche scena "gore" davvero perturbante, che soddisferà anche i patiti del brivido.
Da La Repubblica, 25 luglio 2019


di Roberto Nepoti, 25 luglio 2019

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