thomas
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lunedì 17 febbraio 2020
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alla ricerca della sinistra perduta
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Ma com'è possibile che, di fronte ad una crisi economica che in Europa dura dal 2008, innescata dalla voracità della finanza senza regole, aggravata dal fatto che i ricchi stanno diventando enormemente più ricchi ai danni di tutti, la gente non crede più nella sinistra?
Com'è possibile che in questo periodo di crisi economica, i partiti di sinistra, che hanno quale loro principale aspirazione quella di garantire la lotta alle disuguaglianze economiche e che hanno nel loro programma la distribuzione della ricchezza a favore del ceto medio e dalla povera gente, arretrino elettoralmente in Europa, anzichè andare al potere ovunque?
La risposta è semplice: perchè questi partiti di sinistra stanno giocando da oramai troppi anni ad un gioco, quello della globalizzazione, che non può che vederli perdenti, dal punto di vista dei risultati.
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Ma com'è possibile che, di fronte ad una crisi economica che in Europa dura dal 2008, innescata dalla voracità della finanza senza regole, aggravata dal fatto che i ricchi stanno diventando enormemente più ricchi ai danni di tutti, la gente non crede più nella sinistra?
Com'è possibile che in questo periodo di crisi economica, i partiti di sinistra, che hanno quale loro principale aspirazione quella di garantire la lotta alle disuguaglianze economiche e che hanno nel loro programma la distribuzione della ricchezza a favore del ceto medio e dalla povera gente, arretrino elettoralmente in Europa, anzichè andare al potere ovunque?
La risposta è semplice: perchè questi partiti di sinistra stanno giocando da oramai troppi anni ad un gioco, quello della globalizzazione, che non può che vederli perdenti, dal punto di vista dei risultati.
"Alice e il sindaco" è una delle riflessioni più profonde, sincere, serene e concrete sull'incapacità della sinistra di essere se stessa in uno scenario creato apposta per neutralizzarla e questa riflessione è il volto pulito di Alice, una donna che ha studiato, è sensibile, non è alla ricerca di onori e successo e se ne frega di un ufficio più grande e bello: a lei basta una stanza pulita in cui poter lavorare in pace.
In questo delizioso film francese Alice chiarisce che, a prescindere dalle belle parole, un partito di sinistra non può tutelare concretamente i lavoratori francesi se crede nella globalizzazione senza regole e consente ad un imprenditore francese di delocalizzare l'attività in Vietnam perchè la manodopera dei lavoratori vietnamiti costa meno di quella francese.
E Alice ci dice che, a prescindere dalle belle parole, un partito di sinistra non può tutelare i ceti medi produttivi francesi se crede nella finanza globale senza regole, grazie alla cui ingiusta anarchia si guadagna enormemente di più facendo il broker piuttosto che l'ingegnere, il medico, l'avvocato o il commericalista: i migliori cervelli giovani, infatti, finiscono tutti di là, dove non si produce nulla ma si specula su tutto e tutti.
Alice, poi, nella sua splendida semplicità ci ricorda che l'antidoto alla globalizzazione senza regole è un sentimento molto antico e nello stesso tempo molto moderno: la modestia. La modestia ti fa comprendere meglio la realtà che ti circonda senza lasciarti abbagliare dagli specchietti per le allodole; la modestia ti fa scegliere un progresso concreto raggiungibile con un percorso ordinato; la modestia ti fa finalmente intendere che vivere in una globalizzazione senza regole è come percorrere con la propria automobile strade completamente prive di semafori e segnaletica: chi potrebbe negare che una tale situazione sarebbe follia giacchè gli autoveicoli più grandi finirebbero per fare i propri comodi ai danni dei più piccoli?
La sinistra, appunto, quella che dovrebbe tutelare i più piccoli .....
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ghisi grütter
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sabato 8 febbraio 2020
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una lione sontuosa
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Nel film “Alice e il sindaco” è rappresentata la crisi della sinistra francese attraverso un confronto e uno scambio generazionale. Siamo a Lione e Alice (interpretata da una brava Anaïs Demoustier) è una giovane trentenne laureata in lettere che ha studiato a Oxford, dove si manteneva dando lezioni di filosofia. Viene selezionata per un ruolo che appare sovradimensionato rispetto alle sue capacità: fare da consigliera al Sindaco. O meglio una procacciatrice di “idee”. L’attuale sindaco socialista Paul Thereneau (interpretato dal sempre bravissimo Fabrice Luchini), un ex pubblicitario convertitosi e dedicatosi completamente alla politica, una volta era pieno di idee - «Avevo venticinque, quaranta, cinquanta idee ogni giorno» le confessa -, ma con il tempo e con la routine si è spento.
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Nel film “Alice e il sindaco” è rappresentata la crisi della sinistra francese attraverso un confronto e uno scambio generazionale. Siamo a Lione e Alice (interpretata da una brava Anaïs Demoustier) è una giovane trentenne laureata in lettere che ha studiato a Oxford, dove si manteneva dando lezioni di filosofia. Viene selezionata per un ruolo che appare sovradimensionato rispetto alle sue capacità: fare da consigliera al Sindaco. O meglio una procacciatrice di “idee”. L’attuale sindaco socialista Paul Thereneau (interpretato dal sempre bravissimo Fabrice Luchini), un ex pubblicitario convertitosi e dedicatosi completamente alla politica, una volta era pieno di idee - «Avevo venticinque, quaranta, cinquanta idee ogni giorno» le confessa -, ma con il tempo e con la routine si è spento. Dopo trent’anni di attività politica è stanco e affaticato e ha quindi bisogno di “sangue giovane”, cioè di essere stimolato e di avere un interlocutore valido per rigenerarsi. Lasciato dalla moglie e senza figli, trova in Alice un’esponente della nuova generazione priva delle tradizionali ideologie ma piena di vitalità e di buon senso. Alice deve appuntare note quotidiane da mandare al sindaco ogni mattina per motivarlo e stimolarlo.
Tra loro si instaura un inatteso rapporto d’amicizia, per certi versi di padre e figlia, nel senso di differenti mentalità a confronto, dall’atra di reciproco scambio in cui la più giovane, talvolta, si presta all’ascolto dei problemi dell’adulto.
Alice si trova come una bambina nelle scarpe con i tacchi della mamma, in un ruolo più grande di lei a cui non era certo preparata. Ma con la tipica incoscienza giovanile, che fa dire ciò che si pensa senza opportunismi e compromessi, riesce a stimolare di nuovo Paul Thereneau che ritroverà la voglia di lottare e riprenderà anche a leggere, considerato negli ultimi anni un lusso per la frenetica attività politica e istituzionale.
Costruito come dei “dialoghi filosofici”, l’azione avviene solo attraverso scambi di battute. I dialoghi sono un po' faticosi da seguire (specie per chi l’ha visto in originale) in quanto pieni di citazioni d’autori come Rousseau, Orwell e Melville. Inoltre, non è mai del tutto chiaro cosa esattamente lei scriva per stimolare il Sindaco.
Sul finale, in un unico piano-sequenza dove scrivono il discorso per l’Eliseo a quattro mani, sembrerebbe che Paul sia approdato a una posizione un po' manichea (giovanile?) in cui tutte le colpe sono delle banche e dei banchieri.
Lo strano rapporto tra l’anziano politico e la giovane filosofa è l’incrocio di due solitudini: quella di lui perché crede nella politica come missione - così: «La politica è come la musica o la pittura: tutta la vita, sempre o niente» -, mentre quella di lei è per non avere le idee precise su cosa vuole realmente dalla vita né nel privato né nel pubblico, come peraltro moltissimi giovani ai giorni d’oggi.
Come rilevano molti critici, in questo film è palese il debito d’ispirazione di Nicolas Pariser con Eric Rohmer: confeziona un cinema di parola come una precisa dimensione intellettuale. Basti citare “L'Arbre, le maire et la médiathèque” del 1993 dove il maestro - contrario all’idea della costruzione di una mediateca che dovrà abbattere un albero - era interpretato proprio da Fabrice Luchini.
Ma a mio avviso, l’unica grande e vera protagonista di “Alice e il sindaco” è Lione, una ricca città borghese che ne esce vincitrice e di cui si vedono gli edifici lungo il Rodano e si apprezzano sia Notre-Dame de Fourvière sullo sfondo, sia il Renzo Piano Building Workshop della Cité Internationale.
Presentato al Festival di Cannes 2019 nella Quinzaine des Realisateurs, il film ha ottenuto 1 candidatura a Cesar, 3 candidature a Lumiere Awards.
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kosir
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giovedì 30 luglio 2020
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ultimo tentativo
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Per cercare di rivitalizzare l'azione politica di un valido ma prosciugato sindaco, la macchina municipale decide di affidarsi ai consigli di una giovane laureata in Lettere. L'approccio filosofico sembra produrre risultati positivi ed inaspettati. Il sindaco, rinvigorito dal confronto, mostra forte iniziativa e nuove idee. Ma sarà solo un illusione, interessi politici consolidati non consentirano l'auspicato cambiamento. Pur non amando l'argomento trattato, il cinema francese mostra, ancora una volta, capacità pregevoli, ignote al nostro cinema. Film ben fatto, ben recitato e interessante.
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fabiofeli
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domenica 9 febbraio 2020
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"preferirei di no"
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Alice (Anaïs Demoustier) ha insegnato filosofia a Oxford, ma non è una filosofa anche se viene assunta come tale dal Comune di Lione per “fornire idee” al sindaco socialista, Paul (Fabrice Luchini), svuotato di energie ed obbiettivi. Un compito ingrato, perché poco chiaro. Alice, deliziosa 30enne, butta là che il politico ha l’obbligo di essere modesto per avvicinarsi alle masse di elettori e deve abbandonare un progetto caldeggiato da Patrick (Thomas Chabrol, figlio d’arte del regista della Nouvelle Vague Claude e di Stephane Audran), imperniato su una Lione megalopoli collegata ad altre megalopoli per inseguire un ipotetico progresso.
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Alice (Anaïs Demoustier) ha insegnato filosofia a Oxford, ma non è una filosofa anche se viene assunta come tale dal Comune di Lione per “fornire idee” al sindaco socialista, Paul (Fabrice Luchini), svuotato di energie ed obbiettivi. Un compito ingrato, perché poco chiaro. Alice, deliziosa 30enne, butta là che il politico ha l’obbligo di essere modesto per avvicinarsi alle masse di elettori e deve abbandonare un progetto caldeggiato da Patrick (Thomas Chabrol, figlio d’arte del regista della Nouvelle Vague Claude e di Stephane Audran), imperniato su una Lione megalopoli collegata ad altre megalopoli per inseguire un ipotetico progresso. Paul, esperto politico, ma meno colto di Alice, assegna alla ragazza un ufficio ed incarichi più importanti, scatenando le invidie dei colleghi dello staff. Ma lì si decidono tattiche e, peggio ancora, strategie politiche in 10-15 minuti. Pura follia. Paul potrebbe diventare il candidato socialista all’Eliseo decidendo anche il futuro di Alice, nel bene e nel male …
Parisier, regista e sceneggiatore, sembra avere le idee chiare sui problemi che affliggono i maturi stati industrializzati in questo film presentato alla “Quinzaine” del festival di Cannes 2019: sovranismi e populismi, le destre, sono residui-spazzatura della politica che portano in vicoli ciechi di ribellismo sterile senza soluzione – e su questo non ci piove -. Ma anche la sinistra ha perso il filo del suo discorso: progresso, sì, ma verso dove? Stiamo consumando il pianeta, è sicuro: ma come invertire la tendenza virtuosamente senza penalizzare ulteriormente i paria del mondo? Come evitare che i nostri figli e nipoti, dotati e studiosi, siano demotivati come Alice da master che li rendono più acculturati ed avveduti, ma non li fanno approdare ad un “ubi consistam”, vale a dire un lavoro senza ipoteche negative sul loro futuro, dato che desiderano una famiglia, uno o più figli, una casa … Paul è un 60enne onesto e ancora appassionato pur se titubante; ma alla fine diventa audace e nella sua mozione al congresso socialista usa la parola proibita, rivoluzione, perché i censori di lui e dei padri sono figli e nipoti che vogliono risposte chiare: sono economisti, insegnanti, ingegneri, manager ma pur sempre “banchieri” pronti a bruciare con il bilancino costi/risparmi i sogni progressisti dei politici che hanno perso la bussola. Ed anche i giovani hanno perso la bussola, anche se continuiamo a sperare di no, affinché non si perda mai la nostra discendenza e il mondo intero. Luciano Gallino deve aver spiegato loro che il pianeta sta male: il capitale finanziario è il doppio del valore delle merci prodotte ed è, quindi, fittizio. Può bastare la soluzione “Occupy Wall Street” (e tutte le borse) per evitare il collasso? O bisogna pagare lo scotto a guerre sempre più guerreggiate per riattivare le energie dopo la caduta di produttività? Parisier mira alto con i dilemmi. Magari sbaglia qualcosa nei tempi del film, un po’ lenti, ed abbonda anche in citazioni di Rousseau e Orwell. Però centra l’ultima: quella dello Scrivano Bartleby di Melville, quando dice “Preferirei di no”. Ottima recitazione della Demoustier e di uno smagliante Luchini, tornato ai livelli del magistrato de La Corte, attore senza incertezze o concessioni a una più facile comicità come in Ma Loute o ne Il caso Henry Prick. Da consigliare.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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felicity
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martedì 4 maggio 2021
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la politica come pensiero in movimento
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Alice e il sindaco è una piccola lucida – straziante eppure leggera, drammatica eppure propositiva - analisi di quest’epoca; un’epoca in cui “i giovani” intellettuali non riescono a guardare al futuro perché non sanno più chi sono, cosa amano e perché si sono impegnati tanto mentre “gli anziani”, che nei posti di potere continuano a sederci, guardano al domani senza più capire veramente neppure le esigenze dell’oggi.
Giovani contro vecchi, padri contro figli, generazioni che non dialogano e non si capiscono ognuno arroccato dentro e dietro le proprie frustrazioni e le proprie consuetudini acquisite.
Non per Pariser però che ha la capacità di trasformare la sterilità della lamentela nella vitalità della proposizione.
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Alice e il sindaco è una piccola lucida – straziante eppure leggera, drammatica eppure propositiva - analisi di quest’epoca; un’epoca in cui “i giovani” intellettuali non riescono a guardare al futuro perché non sanno più chi sono, cosa amano e perché si sono impegnati tanto mentre “gli anziani”, che nei posti di potere continuano a sederci, guardano al domani senza più capire veramente neppure le esigenze dell’oggi.
Giovani contro vecchi, padri contro figli, generazioni che non dialogano e non si capiscono ognuno arroccato dentro e dietro le proprie frustrazioni e le proprie consuetudini acquisite.
Non per Pariser però che ha la capacità di trasformare la sterilità della lamentela nella vitalità della proposizione. Il sindaco sa perfettamente chi è, qual è il suo ruolo, la sua vita, la sua posizione, il suo lavoro e dunque la sua identità. Eppure è perso, così perso da essere disposto ad ascoltare. Alice, al contrario, non ha convinzioni né punti di riferimento se non la sua capacità di ragionare e di mettere a frutto le sue letture; eppure può aiutarlo a ritrovarsi proprio perché le viene data la possibilità di essere ascoltata. La sua indefinitezza infatti vuol dire anche malleabilità, flessibilità, capacità di adattamento, resilienza ed è quello che serve. Se ascoltata.
Guardando un po’ a Rohmer e molto al reale che lo circonda, citando senza spocchia filosofi, scrittori e grandi intellettuali, Pariser gira un film politico per davvero che costruisce una via senza negare le storture del sistema ma provando a riportare la politica alla sua essenza: la capacità di confronto, di ascolto, di pensiero.
Alice e il sindaco infatti - facendo ripetutamente appello alla necessità della modestia - non sono in conflitto né personale né generazionale ma, piuttosto, cercano un dialogo per costruire qualcosa. Qualcosa di cosi normale da diventare impossibile per i più. Lo mostra perfettamente il bellissimo piano sequenza che li vede spalla a spalla scrivere (inutilmente) il discorso del sindaco deciso a proporsi per la corsa all’Eliseo: lei suggerisce, lui accoglie, lei corregge, lui puntualizza. D’altra parte “la politica è pensiero in movimento”, dice Pariser, ed è capacità di ascolto, aggiungiamo. E forse basterebbe ritornare all’essenza di queste affermazioni per tornare anche a credere che ci sia una via per una normalità costruttiva.
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