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lunedì 4 giugno 2018
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luce abbagliante ma anche qualche ombra
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Conservo sensazioni contrastanti come lascito della visione del film, al pari dei precedenti incontri con il mondo cinematografico di Abdellatif Kechiche.
Da un lato ne ammiro l’estrema vitalità dell’immagine, l’uso fantastico (abbagliante, potremmo dire) della luce, la scrittura molto libera e destrutturata soprattutto nei dialoghi (un vero e proprio turbinio verbale), il tutto a favore di una rappresentazione non-mediata della giovinezza, restituita con un impressionismo finanche crudo nel suo irripetibile dosaggio di esuberanza, euforia e soave inconcludenza. Dall’altro lato non riesco a non registrare una certa - ormai riconoscibile - insistenza, ostentazione, una specie di prepotenza visiva e parolaia che sembra voler più alimentare se’ stessa che non veicolare un particolare messaggio.
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Conservo sensazioni contrastanti come lascito della visione del film, al pari dei precedenti incontri con il mondo cinematografico di Abdellatif Kechiche.
Da un lato ne ammiro l’estrema vitalità dell’immagine, l’uso fantastico (abbagliante, potremmo dire) della luce, la scrittura molto libera e destrutturata soprattutto nei dialoghi (un vero e proprio turbinio verbale), il tutto a favore di una rappresentazione non-mediata della giovinezza, restituita con un impressionismo finanche crudo nel suo irripetibile dosaggio di esuberanza, euforia e soave inconcludenza. Dall’altro lato non riesco a non registrare una certa - ormai riconoscibile - insistenza, ostentazione, una specie di prepotenza visiva e parolaia che sembra voler più alimentare se’ stessa che non veicolare un particolare messaggio.
Il contesto narrativo è essenziale e di impostazione chiara: alcune ragazze francesi, estremamente vitali e disinibite come evidentemente si presuppone sia nella cultura occidentale, trascorrono giornate estive al mare attorniate da conquistatori (esclusivamente) franco-tunisini assai vari per età, appeal e temperamento. Non so se le cose stanno (o meglio stavano, quasi 25 anni fa) esattamente così nella realtà, certo è che la raffigurazione delle dinamiche sociali e relazionali è abbastanza semplificata e, complice la limitata introspezione psicologica delle giovani protagoniste che sembrano non avere direzione nè personalità (ad eccezione, in parte, della procace pastorella Ophélie), tende a far affiorare nella dimensione umana rappresentata un carattere marcatamente ormonale.
Niente di male, intendiamoci, ma in fondo la traccia più delicata, quella riflessa nello sguardo sensibile del giovane Amin, l’elemento della compagnia che sembra più incline a osservare che non a vivere, a fotografare che non a possedere, rimanendo così un po’ al di fuori della mischia, si rivela anche la più interessante, il più naturale e in fondo verosimile riflesso di un’incertezza emotiva di sapore rohmeriano. Il lato più tumultuoso del film, quello che con intenzionale spavalderia rappresenta l’età acerba nella sua voglia di vivere ogni momento al massimo delle sue potenzialità, è però anche quello in cui traspaiono maggiormente una certa ridondanza, qualche eccesso e alcune sottolineature che finiscono per appesantirne il tono e offuscarne il fulgore. L’interminabile scena in discoteca (mai nessuno in disparte che si annoia?), le ripetute schermaglie tra ragazzi in acqua, la galanteria spaccona dei maschi e quell’ostentata facilità di entrare in immediato contatto - come se da giovani tutto fosse sempre facile - e le ormai tipiche sequenze di Kechiche traboccanti di cibo, balli e di una perenne allegria in fin dei conti abbastanza artificiale, possono lasciare l’impressione di una tracotanza stilistica che è sì fortemente distintiva ma che può anche lasciare un po' storditi e interdetti. Da vedere, in ogni caso, anche per seguire l’evoluzione della poetica di un autore comunque di primo piano.
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[+] esperienza sensoriale sulle meraviglie della vita
(di tom87)
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robert eroica
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giovedì 7 settembre 2017
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canto uno....speriamo l ultimo
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#Venezia74. MEKTOUB, MY LOVE: CANTO UNO. L'ambizione di Kechiche e' altissima : filmare l'intangibile della guovinezza. Non il sentimento, la bellezza, l'amore. Vorrebbe mostrare la cosa piu' intangibile: il desiderio. Corpi desideranti, corpi che si agitano, che hanno il bisogno di sperimentare la loro fisicita'. E per un' ora il film riesce, con una sequenza di ballo al ristorante altamente seduttiva. Ma poi, attorno alla scatenata Ophelie, si accorpano altre due ore di chiacchiericci, strusci, cibo, musica a palla. Persino la nascita di un agnellino (?!), celebrata come una sinfonia della Vita. E il punto di vista ginecologico denota un compiacimento maschilista che Kechiche non riesce a tenere a freno.
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#Venezia74. MEKTOUB, MY LOVE: CANTO UNO. L'ambizione di Kechiche e' altissima : filmare l'intangibile della guovinezza. Non il sentimento, la bellezza, l'amore. Vorrebbe mostrare la cosa piu' intangibile: il desiderio. Corpi desideranti, corpi che si agitano, che hanno il bisogno di sperimentare la loro fisicita'. E per un' ora il film riesce, con una sequenza di ballo al ristorante altamente seduttiva. Ma poi, attorno alla scatenata Ophelie, si accorpano altre due ore di chiacchiericci, strusci, cibo, musica a palla. Persino la nascita di un agnellino (?!), celebrata come una sinfonia della Vita. E il punto di vista ginecologico denota un compiacimento maschilista che Kechiche non riesce a tenere a freno. Sara' il primo tassello di una ipotetica serie, ma questo e' un film sbagliato, un fallimento voluto a tutti i costi, rovinoso. Voto:4
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francesco2
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domenica 27 maggio 2018
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quel "cinema di corpi"
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All’inizio, forse, appare un film di ispirazione rohmeriana, con dialoghi e situazioni che riportano alla mente -secondo chi scrive- il peggio del regista francese, che in “Un ragazzo, tre ragazze”..... si perdeva nei dialoghi pseudo-intellettualistici. In seguito, tuttavia, alcune sequenze apparentemente anodine ci illuminano riguardo i travagli delle giovanissime protagoniste, a differenza di commedie “intellettuali”(stiche) d’ oltralpe tipo “ L’appartamento spagnolo”. Ma soprattutto, come ha scritto giustamente Marzia Gandolfi, questo èun cinema di corpi. Lo era già “La vita di Adele”, amore lesbico di liberazione non solo ed esclusivamente sessuale e/o culturale.
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All’inizio, forse, appare un film di ispirazione rohmeriana, con dialoghi e situazioni che riportano alla mente -secondo chi scrive- il peggio del regista francese, che in “Un ragazzo, tre ragazze”..... si perdeva nei dialoghi pseudo-intellettualistici. In seguito, tuttavia, alcune sequenze apparentemente anodine ci illuminano riguardo i travagli delle giovanissime protagoniste, a differenza di commedie “intellettuali”(stiche) d’ oltralpe tipo “ L’appartamento spagnolo”. Ma soprattutto, come ha scritto giustamente Marzia Gandolfi, questo èun cinema di corpi. Lo era già “La vita di Adele”, amore lesbico di liberazione non solo ed esclusivamente sessuale e/o culturale. Qui, Kechiche costruisce un ritratto di giovane , che forse –molto, molto banalmente-funge da suo “Alter-ego”: è apparentemente in disparte nel contemplare una realtà di ballo-fumo-baci eterosessuali – a proposito, ma per la società del ‘94 non c’è un troppa “tolleranza” nel film?- : nella realtà, forse, nutre l’auspicio di diventarne “arbitro”. Ed il regista, a sua volta, rinuncia alla mera rappresentazione documentaristica, fornendo al giovane protagonista –come anche a noi -uno specchio di quella età della vita. .Già, a LUI ed a NOI. Allora, forse, si potrebbe ipotizzare addirittura un doppio meccanismo di identificazione, uno specchio onnipresente che finisce per abbracciare tutti sotto la sua apparente “suavità”, RIFLETTEndo ed , al contempo, SPINGENDO A RIFLETTERE. La maturazione del ragazzo passa anche attraverso tappe come l’animale che partorisce nella fattoria, ma il film, alla lunga, mi pare risulti un tantino lento e dilatato; mi spiace ripetermi, ma penso che a Venezia l’ opera di Del Toro –poi premiato –e “Tre pannelli” avessero abbastanza di più.
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cardclau
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lunedì 28 maggio 2018
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tutto da rifare
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Il regista Abdellatif Kechiche comincia il film mostrandoci in bell'Amin che sta andando in bicicletta col sottofondo di un aria del grande Wolfgang Amadeus Morzart. Lo spettatore comincia a ben sperare. Per ricredersi precipitosamente alla prolissa scena di sesso, troppo lunga, solo carnale, tra Toni e Ophelié, che a parte i mugugni e le inquadrature in primo piano, che risparmiano sole "le vergogne", non dice granché. O meglio crea la netta impressione che il regista non sappia dire altro, della relazione misteriosa, indispensabile, estremamente creativa e vitale, tra il mascio e la femmina. Tra l'altro Ophelié è promessa in sposa a Camargue (in servizio sulla portaerei Charles De Gaulle), ma intato si diverte spensierata (direi assolutamente senza pensiero) con Toni, che speriamo sia comunque ben dotato, anche se completamente privo del senso di sacralità della relazione maschio-femmina, pur di breve durata.
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Il regista Abdellatif Kechiche comincia il film mostrandoci in bell'Amin che sta andando in bicicletta col sottofondo di un aria del grande Wolfgang Amadeus Morzart. Lo spettatore comincia a ben sperare. Per ricredersi precipitosamente alla prolissa scena di sesso, troppo lunga, solo carnale, tra Toni e Ophelié, che a parte i mugugni e le inquadrature in primo piano, che risparmiano sole "le vergogne", non dice granché. O meglio crea la netta impressione che il regista non sappia dire altro, della relazione misteriosa, indispensabile, estremamente creativa e vitale, tra il mascio e la femmina. Tra l'altro Ophelié è promessa in sposa a Camargue (in servizio sulla portaerei Charles De Gaulle), ma intato si diverte spensierata (direi assolutamente senza pensiero) con Toni, che speriamo sia comunque ben dotato, anche se completamente privo del senso di sacralità della relazione maschio-femmina, pur di breve durata. Come la scena del ballo, prolissa e insistente, ma allora è certa l'impressione che il regista non sia in grado di esprimere niente che valga la pena. Vorrebbe salvarsi usando qualche pezzo delle sonate per violino solo di Johann Sebastian Bach, come sottofondo musicale. Ma non basta questo per darsi uno spessore che non c'è. Vediamo i diversi elementi del film. Il bell'Amin dovrebbe essere un lady's boy, che oltre a divertirle, ascolta le donne, le sa consigliare, indirizzare, ma invece è un personaggio decisamente insipido, decisamente melenso, che non è capace di fare alcunché se non qualcosa indirizzato e suggerito dalla madre, sembra che osservi cosa succede per scrivere le sue sceneggiature da film, ma scopriamo che quella che ha scritto è obrobriosa, su una relazione fantascientifica tra un robot maschio e un robot femmina. I maschi tunisino-francesi non hanno nessun ricordo della loro cultura, o qualsiasi anelito morale o progettualità; della nuova cultura hanno assorbito solo l'anarchia, l'edonismo godereccio, attento solo alle natiche delle belle ragazze. Le femmine tunisino-francesi non sono da meno, in una confusione clamorosa, dell'emancipazione femminile hanno guadagnato solo cose che stanno alla superficie, appartenenti alla fragile apparenza, nulla delle solide ma ben più difficili profondità, e sono preda ad un cicaleccio insistente che assume caratteristiche persecutorie nella concreta impressione che manca perennemente la fondamentale connessione tra cervello e la parola pronunciata. Insomma un film di una noia mortifera.
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peergynt
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giovedì 7 settembre 2017
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l'occhio del cinema sul corpo della donna
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Il regista franco-tunisino Abdellatif Kechiche si rivela sempre di più come un Rohmer di nuova generazione. Innamorato (e si vede) del corpo femminile, sul quale fa scorrere per quasi tutte le 3 ore del film la sua macchina da presa, ama molto anche i suoi personaggi, che disegna a tutto tondo grazie ad un dialogo incessante che ne costituisce, a tutti gli effetti, il loro 3-D. Perché è proprio con dialoghi molto aderenti alla quotidianità e scene che indugiano sulle azioni più comuni della vita (quali il mangiare, l'amare, il lavorare) che Kechiche ci presenta i personaggi, ce li fa conoscere e ce li fa amare.
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Il regista franco-tunisino Abdellatif Kechiche si rivela sempre di più come un Rohmer di nuova generazione. Innamorato (e si vede) del corpo femminile, sul quale fa scorrere per quasi tutte le 3 ore del film la sua macchina da presa, ama molto anche i suoi personaggi, che disegna a tutto tondo grazie ad un dialogo incessante che ne costituisce, a tutti gli effetti, il loro 3-D. Perché è proprio con dialoghi molto aderenti alla quotidianità e scene che indugiano sulle azioni più comuni della vita (quali il mangiare, l'amare, il lavorare) che Kechiche ci presenta i personaggi, ce li fa conoscere e ce li fa amare. Così era successo nei suoi film precedenti (basti pensare ad Adèle di "La vita di Adele", 2013 oppure a Rym di "Couscous", 2007), così succede anche in questo "Mektoub", dove un doppio del regista, il giovane fotografo e sceneggiatore Amin, osserva con un certo distacco non privo di quieto coinvolgimento le peripezie amorose della carnale e provocante Ophélie (Ophélie Bau), della bionda e gioiosa Céline (Lou Luttiau), dell'ingenua e infantile Charlotte (Alexia Chardard). Ma soprattutto, e ancora una volta, i film di Kechiche sono un inno alla donna, alla sua grande forza erotica, un vero e proprio canto lirico alle sue muse ispiratrici, non privi di una loro poesia, pur alle volte sommersa dal caos di un'umanità sempre in movimento.
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flyanto
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giovedì 14 giugno 2018
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la giovinezza attraverso gli occhi di kechiche
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Dal grande successo e vittoria come miglior film al Festival di Cannes nel 2013, ecco che ritorna il regista Abtellatif Kechiche con la sua nuova opera cinematografica intitolata “Mektoub, My Love – Canto 1” . Ancora una volta il regista tunisino ritrae l’adolescenza o, più precisamente, il mondo dei giovani francesi con le loro aspirazioni ed amori. In questa sua ultima pellicola viene così raccontato di un ragazzo di origini tunisine che, da Parigi, dove ha interrotto gli studi di Medicina e svolge l’attività di cameriere presso un ristorante, aspirando nel contempo ad entrare nel mondo del cinema scrivendo sceneggiature di films, ritorna nella natia Sète sulla Costa Azzurra, presso la propria famiglia e, più precisamente, da sua madre e dal numeroso parentado composto da zii/e , cugini/e ed amici di infanzia.
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Dal grande successo e vittoria come miglior film al Festival di Cannes nel 2013, ecco che ritorna il regista Abtellatif Kechiche con la sua nuova opera cinematografica intitolata “Mektoub, My Love – Canto 1” . Ancora una volta il regista tunisino ritrae l’adolescenza o, più precisamente, il mondo dei giovani francesi con le loro aspirazioni ed amori. In questa sua ultima pellicola viene così raccontato di un ragazzo di origini tunisine che, da Parigi, dove ha interrotto gli studi di Medicina e svolge l’attività di cameriere presso un ristorante, aspirando nel contempo ad entrare nel mondo del cinema scrivendo sceneggiature di films, ritorna nella natia Sète sulla Costa Azzurra, presso la propria famiglia e, più precisamente, da sua madre e dal numeroso parentado composto da zii/e , cugini/e ed amici di infanzia. Tra questi vi è l’amica di sempre, una ragazza molto bella, con cui il protagonista è sempre andato molto d’accordo ed ha una grande complicità. Nel corso delle settimane trascorse in vacanza a Séte, il giovane farà anche la conoscenza di due belle ragazze francesi e conseguentemente vivrà molteplici avventure osservando anche le svariate ‘girandole’ amorose dei suoi amici. Questa estate piena si sorprese ed esperienze contribuirà alla sua crescita personale come uomo.
Anche in questa sua ultima opera cinematografica Abdellatif Kechiche si conferma il regista di sempre e, cioè, minuzioso nel presentare le proprie storie riguardanti la gioventù francese che gli piace e continua ad osservare nei suoi sviluppi con attenzione e precisione. La sua minuzia e la sua quasi maniacale propensione al dettaglio fanno sì che le sue pellicole siano, tempisticamente parlando, parecchio lunghe (raramente inferiori a 180 minuti) e caratterizzate da dialoghi e riprese all’insegna, appunto, di una dovizia di particolari e sfumature. È il suo modo di fare cinema dove il realismo e la quotidianità sono imperanti ma questi elementi e caratteristiche, purtroppo, non sempre incontrano il plauso di una parte del pubblico che, a causa anche di certe scene esplicite nella loro rappresentazione, non lo apprezza appieno, addirittura, lo critica. Invece, le sue pellicole sono intrise di una sensibilità poco comune che, unita ad n senso estetico molto sviluppato (la gioventù che riprende infatti è sempre costituita da bei/belle ragazzi/e), le rendono sublimi ed anche poetiche e delicate.
Essendovi nel titolo l’annotazione ‘Canto Uno’ si presuppone che il regista, forse, ne farà seguire un secondo, ma nulla è stato ancora appurato con certezza. In ogni caso, essendo stato tratto liberamente da un romanzo di Antoine Bégaudeau (l’insegnante protagonista del film “la Classe” del regista Laurent Cantet) “Mektoub, My Love” fa sorgere il dubbio nello spettatore che la storia del protagonista richiami e rappresenti un poco degli elementi autobiografici. In ogni caso, non ci resta eventualmente che aspettare.
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