Conservo sensazioni contrastanti come lascito della visione del film, al pari dei precedenti incontri con il mondo cinematografico di Abdellatif Kechiche.
Da un lato ne ammiro l’estrema vitalità dell’immagine, l’uso fantastico (abbagliante, potremmo dire) della luce, la scrittura molto libera e destrutturata soprattutto nei dialoghi (un vero e proprio turbinio verbale), il tutto a favore di una rappresentazione non-mediata della giovinezza, restituita con un impressionismo finanche crudo nel suo irripetibile dosaggio di esuberanza, euforia e soave inconcludenza. Dall’altro lato non riesco a non registrare una certa - ormai riconoscibile - insistenza, ostentazione, una specie di prepotenza visiva e parolaia che sembra voler più alimentare se’ stessa che non veicolare un particolare messaggio.
Il contesto narrativo è essenziale e di impostazione chiara: alcune ragazze francesi, estremamente vitali e disinibite come evidentemente si presuppone sia nella cultura occidentale, trascorrono giornate estive al mare attorniate da conquistatori (esclusivamente) franco-tunisini assai vari per età, appeal e temperamento. Non so se le cose stanno (o meglio stavano, quasi 25 anni fa) esattamente così nella realtà, certo è che la raffigurazione delle dinamiche sociali e relazionali è abbastanza semplificata e, complice la limitata introspezione psicologica delle giovani protagoniste che sembrano non avere direzione nè personalità (ad eccezione, in parte, della procace pastorella Ophélie), tende a far affiorare nella dimensione umana rappresentata un carattere marcatamente ormonale.
Niente di male, intendiamoci, ma in fondo la traccia più delicata, quella riflessa nello sguardo sensibile del giovane Amin, l’elemento della compagnia che sembra più incline a osservare che non a vivere, a fotografare che non a possedere, rimanendo così un po’ al di fuori della mischia, si rivela anche la più interessante, il più naturale e in fondo verosimile riflesso di un’incertezza emotiva di sapore rohmeriano. Il lato più tumultuoso del film, quello che con intenzionale spavalderia rappresenta l’età acerba nella sua voglia di vivere ogni momento al massimo delle sue potenzialità, è però anche quello in cui traspaiono maggiormente una certa ridondanza, qualche eccesso e alcune sottolineature che finiscono per appesantirne il tono e offuscarne il fulgore. L’interminabile scena in discoteca (mai nessuno in disparte che si annoia?), le ripetute schermaglie tra ragazzi in acqua, la galanteria spaccona dei maschi e quell’ostentata facilità di entrare in immediato contatto - come se da giovani tutto fosse sempre facile - e le ormai tipiche sequenze di Kechiche traboccanti di cibo, balli e di una perenne allegria in fin dei conti abbastanza artificiale, possono lasciare l’impressione di una tracotanza stilistica che è sì fortemente distintiva ma che può anche lasciare un po' storditi e interdetti. Da vedere, in ogni caso, anche per seguire l’evoluzione della poetica di un autore comunque di primo piano.
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tom87
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domenica 17 giugno 2018
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esperienza sensoriale sulle meraviglie della vita
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'Mektoub, My Love: Canto Uno' è, come le ultime pellicole del regista (vedi 'La vita di Adele'), un'opera che narra la formazione di giovani alle prese con la vita, se stessi e l'altro, il loro bisogno di esprimersi, di vivere (e scoprire) a fondo l'esistenza. 'I pedinamenti della macchina da presa, alla pari delle osservazioni del protagonista, provano a replicare il tempo della vita e delle azioni, mai interrotte ma sempre seguite; fino al limite di cancellare il loro potenziale narrativo' e il nostro coinvolgimento emozionale. Il film si abbandona a sequenze dilatate fino alla saturazione, ad un flusso inarrestabile di situazioni e impressioni, corpi e stati d'animo. Tutto è messo in scena con intensa naturalezza, e tutto è simulazione del reale.
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'Mektoub, My Love: Canto Uno' è, come le ultime pellicole del regista (vedi 'La vita di Adele'), un'opera che narra la formazione di giovani alle prese con la vita, se stessi e l'altro, il loro bisogno di esprimersi, di vivere (e scoprire) a fondo l'esistenza. 'I pedinamenti della macchina da presa, alla pari delle osservazioni del protagonista, provano a replicare il tempo della vita e delle azioni, mai interrotte ma sempre seguite; fino al limite di cancellare il loro potenziale narrativo' e il nostro coinvolgimento emozionale. Il film si abbandona a sequenze dilatate fino alla saturazione, ad un flusso inarrestabile di situazioni e impressioni, corpi e stati d'animo. Tutto è messo in scena con intensa naturalezza, e tutto è simulazione del reale. E ancora una volta Kechiche svolge una storia di piaceri carnali e sensuali, sentimenti e passioni. Per offrirci un cinema percettivo e seducente, che mostra e ingabbia, e che rischia però di rimanere soprattutto di epidermica superficie.
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