ashtray_bliss
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lunedì 10 aprile 2017
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curare la malattia, curare il benessere.
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Gore Verbinski è un ottimo regista, collaudato, visionario, in grado di maneggiare e destreggiarsi abilmente nell'horror, nel thriller e nel fantasy. Un regista nel quale si ha fiducia e che solitamente riesce a rendere molto bene sullo schermo. Ma sfortunatamente, la Cura del Benessere sembra più come un'opera incompiuta, un soggetto interessante colmo di idee e spunti, effetti visivi, tecniche narrative meticolosamente scelte che sfocia tuttavia in un risultato confusionario e confondente, lasciando aperti tutti quegli interrogativi posti precedentemente agli spettatori: Si tratta di una psicosi o della realtà? Il protagonista è vittima dei suoi incubi oppure quello che vede e percepisce accade realmente? Purtroppo il regista, vincolato da una sceneggiatura sbrigativa e incompleta specialmente nella parte finale evita di chiarire i dubbi e spazzare via gli interrogativi posti, peggiorando di fatto la valutazione finale della pellicola.
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Gore Verbinski è un ottimo regista, collaudato, visionario, in grado di maneggiare e destreggiarsi abilmente nell'horror, nel thriller e nel fantasy. Un regista nel quale si ha fiducia e che solitamente riesce a rendere molto bene sullo schermo. Ma sfortunatamente, la Cura del Benessere sembra più come un'opera incompiuta, un soggetto interessante colmo di idee e spunti, effetti visivi, tecniche narrative meticolosamente scelte che sfocia tuttavia in un risultato confusionario e confondente, lasciando aperti tutti quegli interrogativi posti precedentemente agli spettatori: Si tratta di una psicosi o della realtà? Il protagonista è vittima dei suoi incubi oppure quello che vede e percepisce accade realmente? Purtroppo il regista, vincolato da una sceneggiatura sbrigativa e incompleta specialmente nella parte finale evita di chiarire i dubbi e spazzare via gli interrogativi posti, peggiorando di fatto la valutazione finale della pellicola.
Eppure l'incipit era più che interessante: quello di una clinica spa, immersa nella natura incontaminata della svizzera che serve da valvola di decompressione per magnati e altri benestanti di terz'età che cercano una cura al benessere. Ovvero un antidoto efficace all'eccessivo logorio e stress dato dalla vita moderna, che rende le persone schiave della materialità e del lavoro, distaccandole dalle vere bellezze della vita. La clinica invece offre loro cure alternative, immergendo i suoi ospiti nella natura e facendoli rinascere spiritualmente. Il protagonista del film dunque, si ritroverà in questo paradiso terrestre ma con l'intenzione di riportare a NY un pezzo grosso dell'azienda nella quale lavora per sbrigare alcune pratiche. Non appena raggiunge il posto però inizierà a capire che non tutto è idilliaco come sembra, e i clienti una volta entrati non possono più andarsene. Egli stesso diventerà vittima di un incidente che gli impedirà di tornare indietro e poco a poco, durante la sua permanenza nella sinistra clinica, scoprirà gli oscuri segreti del passato alla quale la clinica e i suoi dipendenti sembrano visceralmente legati.
La potenza visiva messa in atto rimane indiscussa. Le sequenze sono suggestive e potenti, alternando lo stile gotico a quello del thriller psicologico. Gli effetti visivi e la fotografia sono certamente d'impatto e il luogo dove si svolge l'azione, come succede quasi sempre in questi casi, risulta inquietante e sinistro. La suspense e il mistero sono presenti in corpose dosi, avvolgendo tutta la storia e incrementando la curiosità degli spettatori mentre la recitazione si mantiene su livelli discretamente alti. Dane DeHaan è convincente nel ruolo dell'arrivista che si riduce a vittima nella spettrale clinica, Mia Goth a mio avviso risulta tremendamente antipatica ma riesce comunque a convincere nel ruolo di una minorenne mentalmente disturbata, e Jason Isaacs spicca su tutti con il suo diabolico e tirannico personaggio.
Tuttavia, il tallone d'achille del film in questione è indiscutibilmente il finale che abbandona gli elementi di thriller psicologico a tinte soprannaturali per virare nel fantasy e addirittura nel ridicolo, perdipiù senza spiegare nulla al pubblico di come vadano interpretati i fatti narrati. Senza spoilerare, oso dire che il finale con l'atto di rivelazione, ovvero il colpo di scena atteso da tutti, mi ha ricordato quello del villain Marvel, Teschio Rosso e credo che involontariamente questa parte abbia fatto perdere tutta la credibilità e la tensione precedentemente costruita. La sequenza conclusiva pone ulteriori dubbi e domande e la sensazione finale che ho avvertito è quella di incompiutezza.
Una grande idea, un'ottima idea che se lavorata meglio dal punto di vista della sceneggiatura, avrebbe potuto essere un prodotto memorabile e non mediocre, nelle mani di un regista sapiente come Gore Verbinski. Tuttavia il risultato finale è quello di un'opera sconclusionata e confusionaria. Un melting pot di idee originali mal gestite con un finale decisamente fiacco e a tratti grottesco che non si confà al prodotto precedentemente introdotto ma anzi lo penalizza e lo svilisce. Peccato per Gore ma questa è davvero un'occasione persa. Valutazione finale 2/ 5.
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(di astromelia)
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dandy
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giovedì 16 luglio 2020
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a mali estremi...
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Un altro ammirevole lavoro di un regista che a dispetto della carriera "classica" a Hollywood,di tanto in tanto sa offrire prodotti personali di ben altro spessore.Un thriller horrorifico con virate nel gotico che non rinuncia ai soliti clichè(svolgimento con enigma da scoprire,ambiguità esibita dei cattivi e il finale non completamente tragico,ma a suo modo delicato,lievemente poetico) a tratti non è sempre chiaro,ma comunque molto aldisopra degli standard horror attuali.La durata è gestita impeccabilmente,lo spettatore viene costantemente catturato dallo svolgersi degli eventi,e privandolo fino all'ultimo di ogni certezza,il film mantiene la suspence a livelli sempre alti.
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Un altro ammirevole lavoro di un regista che a dispetto della carriera "classica" a Hollywood,di tanto in tanto sa offrire prodotti personali di ben altro spessore.Un thriller horrorifico con virate nel gotico che non rinuncia ai soliti clichè(svolgimento con enigma da scoprire,ambiguità esibita dei cattivi e il finale non completamente tragico,ma a suo modo delicato,lievemente poetico) a tratti non è sempre chiaro,ma comunque molto aldisopra degli standard horror attuali.La durata è gestita impeccabilmente,lo spettatore viene costantemente catturato dallo svolgersi degli eventi,e privandolo fino all'ultimo di ogni certezza,il film mantiene la suspence a livelli sempre alti.I tocchi visionari e le citazioni(da Lovecraft a "L'abominevole Dottor Phibes e "Stati di allucinazione")non sono pretestuosi.E il tono costantemente cupo garantisce inquietudine.Azzeccata anche la scelta del cast di nomi non propriamente "alti",a cominciare dal protagonista.Non mancano momenti schock:la sequenza nella vasca di deprivazione e soprattutto l'atroce "cura definitiva" a base di anguille sono indimenticabili.Non male anche le altre sequenze a base dei viscidi animali guizzanti...Un pò debole la svolta horror nella fine.Uno ei migliori horror recenti di sempre,non indegno del periodo d'oro di 30-40 anni fa.Ingiustamente snobbato,da vedere almeno una volta.
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mercoledì 29 marzo 2017
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non come speravo
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Ero interessato alla trama del film: un giovane ambizioso impiegato deve raggiungere uno dei vertici della sua azienda che trascorre un periodo di vacanza in una lussuosa spa Svizzera. Intravedevo un film incentrato sul significato del lavoro e della vera felicità, magari un evoluzione del protagonista verso la comprensione del significato della vita.. (non avevo letto a quale categoria appartenesse, ero di corsa) Be mi sbagliavo, il film é un thriller fatto e finito, che si basa su una trama cliché di poco interesse.. Il tutto sembra scarso di logica, a metà fra il reale e l'immaginario. Purtroppo rimangono molte domande senza risposta alla fine del film. Ad esempio il titolo: la cura dal benessere.
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Ero interessato alla trama del film: un giovane ambizioso impiegato deve raggiungere uno dei vertici della sua azienda che trascorre un periodo di vacanza in una lussuosa spa Svizzera. Intravedevo un film incentrato sul significato del lavoro e della vera felicità, magari un evoluzione del protagonista verso la comprensione del significato della vita.. (non avevo letto a quale categoria appartenesse, ero di corsa) Be mi sbagliavo, il film é un thriller fatto e finito, che si basa su una trama cliché di poco interesse.. Il tutto sembra scarso di logica, a metà fra il reale e l'immaginario. Purtroppo rimangono molte domande senza risposta alla fine del film. Ad esempio il titolo: la cura dal benessere. Occhio che spoilero: i pazienti vengono man mano uccisi dai dottori e sembrano felici della permanenza a causa del trattamento che subiscono. Quindi? Non mi sembra che abbia senso il titolo. Poi la fine: anche il protagonista ridacchia soddisfatto. Ma che senso ha? Ci sono delle persone che sembrano essere morte sott'acqua che poi riprendono a vivere come se niente fosse, perché? Insomma, a me non piace quando un film apre mille porte per alzare la suspense e poi non le chiude. Mi sembra un trucco per non impegnarsi a usare una trama coerente e lasciare che ogniuno si dia le sue spiegazioni. Se parliamo di sceneggiatura e riprese é un altra storia, il regista ci sa trasmettere molto. Forse sarà stata colpa del cinema dov'ero, ma l'audio non mi è piaciuto, troppo forte e troppo decise le colonne sonore. Per concludere: vince se si cerca un thriller poco ingegnoso e pieno di cliché
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alessiomazzucchi
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giovedì 13 settembre 2018
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la cura oggi ricercata più della sua origine
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béllo o brutto sono parole troppo corre per riassumere tante sfumature emozionali ritrovate in un film, come n una canzone...La Cura del benessere si può capire o vivere, per mio parere ed esperienza un film come una canzone appunto può trasmettere emozioni molto differenti tra le persone...Io ho vissuto una opera degna di attenzione, non per la storia in sè ma per tante sfumature artistiche che mi hanno catapultato in ambienti reali, dove mi sentivo attratto da sensazioni autentiche, perché così le recepivo, non sto a riprendere scene singole ma vedo l’opera el suo insieme coinvolgente, per mè, che apprezzo la storia senza pensare ai singoli capitoli.
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béllo o brutto sono parole troppo corre per riassumere tante sfumature emozionali ritrovate in un film, come n una canzone...La Cura del benessere si può capire o vivere, per mio parere ed esperienza un film come una canzone appunto può trasmettere emozioni molto differenti tra le persone...Io ho vissuto una opera degna di attenzione, non per la storia in sè ma per tante sfumature artistiche che mi hanno catapultato in ambienti reali, dove mi sentivo attratto da sensazioni autentiche, perché così le recepivo, non sto a riprendere scene singole ma vedo l’opera el suo insieme coinvolgente, per mè, che apprezzo la storia senza pensare ai singoli capitoli...
L’arte di un regista va interpretata non etichettata, se pre a mio parere, questo film va visto ma soprattutto vissuto nella sua essenza, fatta di una singolare grigia umida spettrale e fortemente viva immersione in un universo creato da un regista per spettatori affamati di scoprire se hanno anche odore le immagini ... E questo spazio ricreato mi ha lasciato mille profumi ....
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fabal
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sabato 25 marzo 2017
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qui, più che mai, vince l'atmosfera
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L’amministratore delegato di un’importante azienda finanziaria soggiorna in Svizzera presso una clinica del benessere: un giovane dipendente è incaricato di riportarlo a New York perché firmi un documento di fusione. Il viaggio del giovane Lockhart si rivela, però, problematico sin dall’inizio. Nella clinica, situata in un bellissimo castello a picco sui monti, regna un’inquietante serenità, tra anziani in accappatoio e sorrisi telecomandati. Nessuno sembra intenzionato a favorire l’incontro con il dirigente, così il ragazzo abbandona la struttura deciso a riprovarci l’indomani, ma l’auto su cui viaggia sbanda e Lockhart perde i sensi.
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L’amministratore delegato di un’importante azienda finanziaria soggiorna in Svizzera presso una clinica del benessere: un giovane dipendente è incaricato di riportarlo a New York perché firmi un documento di fusione. Il viaggio del giovane Lockhart si rivela, però, problematico sin dall’inizio. Nella clinica, situata in un bellissimo castello a picco sui monti, regna un’inquietante serenità, tra anziani in accappatoio e sorrisi telecomandati. Nessuno sembra intenzionato a favorire l’incontro con il dirigente, così il ragazzo abbandona la struttura deciso a riprovarci l’indomani, ma l’auto su cui viaggia sbanda e Lockhart perde i sensi. Si risveglia nella clinica con una gamba rotta, con il primario a fianco che gli suggerisce di fermarsi alcuni giorni e provare i loro speciali trattamenti. Le scoperte sulla vera natura della clinica angosceranno, e non poco, il protagonista.
C’è di tutto e di più nel nuovo A Cure for Wellness, dalla fiaba alla parabola allucinata. Già l’introduzione della clinica, nei primi minuti, lascia trasparire un’evidente citazione di fondo a Shutter Island di cui Verbinski sembra voler vendicare il discutibile finale, che pur costituendo, a suo tempo, un colpo di scena, suonava come una ritirata strategica di Scorsese dal rischio del paranormale. Ancora c’è un misterioso istituto che di fatto è la rilettura del classico manicomio al neon, c’è l’uomo in missione che somiglia moltissimo a Di Caprio (il comunque bravino Dane DeHaan) e la deriva paranoide tra realtà e finzione che si respira già dalle prime battute. Eppure il film non è banale.
Tutto quello che nel film di Scorsese era sporco, infetto, qui è invece confezionato da una regia candida e suggestiva, che si compiace delle immagini offerte dalla straordinaria location del castello di Hohenzollern. Il tutto con un indugio ricercato sui giochi di luce, sui riflessi che partoriscono un andamento lento anche da parte della sceneggiatura. Pur sotto la copertura di una regia capace, lo spettro di stereotipi è quello canonico, ma La cura del benessere riesce a fare in modo che il tutto sia superiore alla somma delle parti.
Una sensazione di angoscia inedita, a tinte gotiche, è il “non so che” che rende nettamente superiore questo lavoro ai tanti horror immediati, e ormai di maniera, a cui siamo abituati, che giocano sulla ripresa singola e sul salto dalla poltrona.
Qui, più che mai, vince l’atmosfera.
Questo almeno per quanto riguarda la prima parte, che è prettamente esplorativa, e in cui lo spettatore osserva corridoi luminosi, altri bui, inquietanti macchinari d’ispirazione fantascientifica. Ma quella fantascienza da primo Novecento, che lavora per folli pratiche di eugenetica, mischiata a un tratto di occultismo gotico che non potrà non stimolare la sensibilità di un lettore di Lovecraft, ricordando alcuni racconti come L’esumazione e I topi nel muro.
La fotografia di Bojan Bazelli è notevole, aiutata certamente dalla location, ma con le giuste tinte horror del primo adattamento di The Ring, diretto proprio da Gore Verbinski.
Nella seconda parte, anziché dirottare sull’abusato equivoco della schizofrenia finale (si pensi non solo a Shutter Island ma anche al deludente finale di The machinist), Verbinski si fa in quattro per legittimare, con uno sforzo di logica importante, tutto l’impianto visivo che ha allestito con tanto impegno, evitando di ridurla a una banale (quella sì) allucinazione del protagonista.
Vedremo, insomma, che è tutto vero, anche a costo di scendere nello strabattuto terreno del gothic thriller, dove ci sono buoni e cattivi, mortali e immortali maledetti, umano e sovrannaturale.
Il calderone non inganni, perché il film continua comunque a scorrere, non lezioso, fino alla fine, dove non c’è un vero colpo di scena ma il compimento di un climax di scoperte macabre che Verbinski esaspera finché può, tirando la corda fino a spezzarla. Con alcune cadute di stile e l'improvviso panico di aver frainteso tutta la pellicola: ma queste sensazioni durano, fortunamente, pochi momenti, perché il film riesce sempre a riequilibrarsi con le proprie forze.
Anche se non inventa, La cura del benessere sa sorprendere. Miscelando cose già viste in modo astuto, soprattutto quando la crudeltà gratuita di alcune scene si rifugia nell’alibi della citazione: c’è anche Il maratoneta tra i vari spunti, e non solo perché i gestori della clinica sembrano scienziati nazisti e i pazienti le loro cavie, ma perché il trapano sugli incisivi del protagonista terrorizzato fa ancora più male dell’originale.
L’andamento, però, non precipita mai nello splatter, perché ogni sequenza “sporca” viene immediatamente corretta da una pulita, in modo che il film risulti equilibrato: si passa così da una camera segreta con corpi deformi al rilassante prato del castello, da una caverna sotterranea a un elegante ballo di corte, incredibilmente allusivo.
Entrare nell’atmosfera de La cura del benessere è facile, uscirne molto meno. E dal cinema, dunque, non si esce malati d'entusiasmo ma certamente storditi. E forse in positivo.
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ralphscott
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lunedì 3 aprile 2017
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assolutamente da vedere per la sua unicità. raro.
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Quattro stelle per il coraggio di proporre qualcosa di unico,sebbene pieno di tributi (fantasma dell'opera e zombi,tra gli altri),per le splendide e poetiche immagini,per la fantasia debordante. Una intensa favola horror,o un incubo soave,che rapisce con atmosfere oniriche. Tante sequenze indimenticabili,come il ballo degli ospiti della colonia e,di li a poco,l'aggressione che questi riservano al protagonista. Per non parlare della terapia nel silos. Opera che per eccesso di idee (e di minutaggio),per una sceneggiatura deragliante sul finale,per il kitsch dell'epilogo stesso non si può (forse) dire memorabile,ma che riconcilia col Cinema,se per cinema intendiamo soprattutto sogno e stupore.
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Quattro stelle per il coraggio di proporre qualcosa di unico,sebbene pieno di tributi (fantasma dell'opera e zombi,tra gli altri),per le splendide e poetiche immagini,per la fantasia debordante. Una intensa favola horror,o un incubo soave,che rapisce con atmosfere oniriche. Tante sequenze indimenticabili,come il ballo degli ospiti della colonia e,di li a poco,l'aggressione che questi riservano al protagonista. Per non parlare della terapia nel silos. Opera che per eccesso di idee (e di minutaggio),per una sceneggiatura deragliante sul finale,per il kitsch dell'epilogo stesso non si può (forse) dire memorabile,ma che riconcilia col Cinema,se per cinema intendiamo soprattutto sogno e stupore. Protagonisti nella parte e azzeccatissimi. Regia eclettica e personalissima.
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eugenio
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lunedì 10 aprile 2017
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disturbante viaggio nei meandri della ragione
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Inquietante è dir poco.
L’ultimo lavoro da B movie di Gore Verbisnki (intelligente cineasta autore tra l’altro del thriller-horror The ring, della fortunata trilogia di Jack Sparrow, del dinamico cartoon Rango che mescolava ogni genere e dell’ultimo deludente Lone Ranger) ha il ricordo di un film alla Shutter Island condito con tanta paranoia, ipocondria e una spruzzata di horror/spatter per stomaci forti che mal non guasta.
Verbinski ci fa volare dai grattacieli di New York alla Svizzera, al candido paesaggio delle Alpi,che però nascondono insidie non indifferenti. In uno spazio limitato come già in The ring, si consuma un dramma claustrofobico senza vie di fuga che porterà il protagonista de La cura del benessere, l’ambizioso e imbroglione broker di Wall Street Lockart, a scontrarsi con le sue fobie più nascoste, tra porte che si chiudono improvvisamente, vie di fuga sbarrate, corpi umani in teche di vetro nei sotterranei e tante, tantissime visioni inquietanti tra corridoi della paura che tanto ricordano Carpenter.
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Inquietante è dir poco.
L’ultimo lavoro da B movie di Gore Verbisnki (intelligente cineasta autore tra l’altro del thriller-horror The ring, della fortunata trilogia di Jack Sparrow, del dinamico cartoon Rango che mescolava ogni genere e dell’ultimo deludente Lone Ranger) ha il ricordo di un film alla Shutter Island condito con tanta paranoia, ipocondria e una spruzzata di horror/spatter per stomaci forti che mal non guasta.
Verbinski ci fa volare dai grattacieli di New York alla Svizzera, al candido paesaggio delle Alpi,che però nascondono insidie non indifferenti. In uno spazio limitato come già in The ring, si consuma un dramma claustrofobico senza vie di fuga che porterà il protagonista de La cura del benessere, l’ambizioso e imbroglione broker di Wall Street Lockart, a scontrarsi con le sue fobie più nascoste, tra porte che si chiudono improvvisamente, vie di fuga sbarrate, corpi umani in teche di vetro nei sotterranei e tante, tantissime visioni inquietanti tra corridoi della paura che tanto ricordano Carpenter.
Lo scopo del “povero” Lockart, inviato in quel romito luogo dalla “onorata” società in cui presta servizio, è quello di riportare a New York l’amministratore delegato che improvvisamente, ha deciso, contrariamente a tutto e tutti, di non lasciar più quel “centro di benessere”.
E da questa cura appunto che Lockart prima semplice “uomo di passaggio” e ben presto, a causa di un incidente (con un cervo finito sulla macchina che doveva riportarlo in albergo), “paziente” forzato, deve cercar di fuggire, combattendo in quella clinica “degli orrori” con la misteriosa figura del dottor Volmer (Jason Isaacs) che propugna ai “suoi forzati ospiti” trattamenti “miracolosi”, in gradi di guarirli dalle loro paturnie e malattie.
Sarà solo l’inizio di un orrore che mostrerà il suo volto, oscuramente, nei 146 minuti in cui la tensione non mollerà neanche per pochi istanti il colpo. Visioni inquietanti, maschere di uomini che non sono quello che appaiono, flashback oscuri sul passato, segnati dalla musica ricorrente di Benjamin Wallfish che fa entrare progressivamente lo spettatore dentro una stanza senza uscita, ne mura vivo la sua anima in un passato che si fa cinema raccolto nella macchina da presa di Verbinski.
Colori oscuri, freddi, quasi presagio di un aldilà disturbano la visione di questo thriller, facendo nascere una tensione oscillante tra momenti di tranquillità apparente con particolari e dettagli non secondari (il rimando al riflesso, alla natura duplice umana appare sin da subito nella bella immagine del treno che si immette nella galleria come se fosse un viaggio, quello che fa Lockhart dentro sé stesso al fine di recuperare lacerti di umanità sparsi da un lavoro stressante che lo logora giorno dopo giorno..) in cui niente è ciò che sembra.
Raccolto dietro una compostezza formale nei flashback e nelle apparenti e fugaci visioni di una realtà alternativa come la giovane ragazza nuda (elemento chiave) dentro una vasca colma di anguille, La cura dal benessere è alla fine lo scontro tra la razionalità e la follia, tra i limiti della scienza che cerca di superare le frontiere dell’ignoto senza istanze prometeiche e quelle di una legge di finanza molto più prosaicamente avvinta alle cure del Dio Denaro.
E’ un rapporto disperato di opposizione al potere della “cura” (culminante nella scena della mensa dove i pazienti sembrano ribellarsi al dottore e invece si dirigono tutti contro Lockhart) che bascula tra un presente distorto fatto di momenti di straniante dolcezza (la scena da ballo della giovane Hannah) e un futuro in cui sembra esserci solo la notte più nera, un abisso dove solo la catarsi di un incendio salvifico finale sembra chiudere definitivamente i conti.
Almeno solo in apparenza.
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cristian
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giovedì 30 marzo 2017
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beva signor lockhart.
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Gore Verbinski (The Mexican - Amore senza la sicura; The Ring; Pirati dei Caraibi - La maledizione della prima luna/ La maledizione del forziere fantasma/ Ai confini del mondo) con La cura dal benessere confeziona un buon thriller dal ritmo blando ma teso. Il film è per lunghi tratti convincente e deciso mentre in altri punti sembra vacillare, specialmente quando ci si avvicina alla conclusione. La sceneggiatura, affidata a Justin Hayte (Revolutionary Road; The Lone Ranger), appare inizialmente solida e invita a riflettere, ma col passare dei minuti si adegua agli standard canonici. I momenti topici e di tensione sono gestiti abbastanza bene fino a quando il tutto diventa un po’ confuso.
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Gore Verbinski (The Mexican - Amore senza la sicura; The Ring; Pirati dei Caraibi - La maledizione della prima luna/ La maledizione del forziere fantasma/ Ai confini del mondo) con La cura dal benessere confeziona un buon thriller dal ritmo blando ma teso. Il film è per lunghi tratti convincente e deciso mentre in altri punti sembra vacillare, specialmente quando ci si avvicina alla conclusione. La sceneggiatura, affidata a Justin Hayte (Revolutionary Road; The Lone Ranger), appare inizialmente solida e invita a riflettere, ma col passare dei minuti si adegua agli standard canonici. I momenti topici e di tensione sono gestiti abbastanza bene fino a quando il tutto diventa un po’ confuso. Buona la fotografia di Bojan Bazelli (The Ring; Mr. & Mrs. Smith; L’apprendista stregone; Rock of Ages). Musiche di Benjamin Wallfisch (Prison Escape; Lights Out - Terrore nel buio; Il diritto di contare). A parte qualche momento in cui appare scialba, la prestazione di Dane DeHaan stupisce per l’immedesimazione nel personaggio e convince per la credibilità. Altrettanto bravi Jason Isaacs e Mia Goth.
Lockhart (Dane DeHaan), venditore presso una compagnia finanziaria americana, viene inviato dai suoi capi in Svizzera per riportare a New York l’amministratore delegato Roland Pembroke (Harry Groener), il quale, ospitato in una spa tra le montagne, ha fatto sapere di non voler tornare. Una volta arrivato nella rinomata spa per benestanti intenzionati a staccare la spina dalla frenetica vita quotidiana, Lockhart si renderà conto che dietro alle belle apparenze di un luogo pacifico si nasconde qualcosa di tetro, da cui sembra impossibile scappare.
Difficile parlare approfonditamente del nuovo film di Gore Verbinski, La cura dal benessere, senza rischiare di cadere nello spoiler. Vediamo, parlando per grandi linee, cosa spunta fuori. Il film, innanzitutto, non può essere definito un horror. Le atmosfere sono certamente tenebrose e dark ma a prevalere sono un intreccio e un senso di mistero che si confanno di più ad un thriller. Verbinski ci accompagna per oltre due ore in un viaggio verso l’ignoto spaventoso nascosto dietro uno strato sottile di bellezza apparente che vuole colpire la vista per confondere e confortare ma che ha, in realtà, soltanto lo scopo di rendere facile preda di un gioco oscuro. Significative sono le riflessioni iniziali sul vivere moderno, fatto di materialità, stress e competizione spietata che soddisfano le mere ambizioni ma non portano alla felicità, raggiungibile per vie altre. La spa svizzera in cui il signor Pembroke va a rifugiarsi si pone come luogo di cura da tutti questi mali; è un falso Eden terrestre, incontaminato (come l’acqua che sgorga pura dalle sue montagne), lontano dalla modernità, dal viscido egoismo, dalla frenesia quotidiana, che fa dell’essenzialità l’unica cosa di cui un essere umano ha veramente bisogno per ritrovare il proprio io primordiale. Il film parte indubbiamente bene e va avanti sostenuto da una più che buona regia e da una altrettanto gradevole sceneggiatura. Tutto scorre con una lentezza godibile e adatta al genere e ai suoi scopi. Indizi e misteri vengono sparsi qua e là e ben gestiti dal regista. Tutti i personaggi residenti nella spa, nonché la spa stessa e l’acqua utilizzata praticamente in ogni terapia sui pazienti, hanno qualcosa di inquietante e temibile nell’aspetto ma non è facile scoprire cosa c’è dietro a meno di non lasciarsi coinvolgere in prima persona, come fa Lockhart. Il nostro protagonista viene così a contatto diretto con i meccanismi che danno motore all’intero sistema e soprattutto con il capo della baracca, il dottor Heinreich Volmer (Jason Isaacs) e la misteriosa Hannah (Mia Goth). Come già detto in precedenza, il film convince e tiene alta l’attenzione ma non fino alla fine. Da un certo momento in avanti lo svelamento dell’enigma principale tarda ad arrivare, o meglio, si ha proprio l’impressione che venga rimandato scena dopo scena per riprendere d’improvviso questioni precedentemente lasciate in sospeso, in un continuo avanti e indietro estenuante che porta ad una durata eccessiva per un film del genere (2 ore e 20). Inoltre, più volte il film sembra voler virare/scadere (a seconda dei punti di vista) nel soprannaturale (in stile Shyamalan). Il prosieguo di questo pensiero sarebbe super spoiler! Che Dio mi fulmini, non lo farò! Nonostante la pellicola barcolli dopo un inizio invece più che deciso, il finale è da ritenersi accettabile, evitando lo schianto sugli scogli del ridicolo. Molto bene l’ispirato DeHaan nei panni di Lockhart, anzi, a dir la verità, mai visto così convincente e immerso nella parte, soprattutto quando il suo fisico e la sua mente iniziano a vacillare e a indebolirsi, complici anche un pallore naturale del viso che lo avvicina ad un cadavere e un espressione tutt’altro che vivace. Se nell’ambientazione e nell’atmosfera generale La cura dal benessere ricorda Shutter Island, la cantilena che accompagna la giovane Hannah rimanda invece a Profondo Rosso. Gore Verbinski si conferma un buon regista capace di esprimersi, anche se non fino in fondo, in maniera naturale e libera da schemi troppo rigidi, riuscendo ad accontentare una buona fetta di pubblico senza perdere del tutto l’originalità.
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gianleo67
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domenica 4 febbraio 2018
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acqua oligominerale e teleostei rettiliformi
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Incaricato di ricondurre a New York l'amministratore delegato di una società di Wall Street nell'imminenza di una importante fusione, il giovane e arrivista Lockhart si reca nel remoto ed isolato centro termale svizzero dove questi si è rifugiato, ma si rende ben presto conto che quello che sembrava un esclusivo sanatorio per clienti facoltosi, nasconde in realtà un orribile segreto legato alla macabra leggenda del castello che lo ospita ed al suo enigmatico proprietario. Le commistioni derivative di un thriller fanta-geriatrico sulle Alpi Svizzere: dalla riflessione sulle controindicazioni del potere all'hybris di una ricerca dell'immortalità che genera mostri. Sulle orme di 'Profumo', le contorsioni de 'I Fiumi di Porpora' e l'archetipo gotico dello scienziato pazzo arroccato sul maniero.
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Incaricato di ricondurre a New York l'amministratore delegato di una società di Wall Street nell'imminenza di una importante fusione, il giovane e arrivista Lockhart si reca nel remoto ed isolato centro termale svizzero dove questi si è rifugiato, ma si rende ben presto conto che quello che sembrava un esclusivo sanatorio per clienti facoltosi, nasconde in realtà un orribile segreto legato alla macabra leggenda del castello che lo ospita ed al suo enigmatico proprietario. Le commistioni derivative di un thriller fanta-geriatrico sulle Alpi Svizzere: dalla riflessione sulle controindicazioni del potere all'hybris di una ricerca dell'immortalità che genera mostri. Sulle orme di 'Profumo', le contorsioni de 'I Fiumi di Porpora' e l'archetipo gotico dello scienziato pazzo arroccato sul maniero. Il baraccone dagli scenari mozzafiato e dalle scenografie barocche rappresenta la lussuosa cornice per un quadro a tinte fosche narrativamente prolisso e pieno zeppo di scopiazzature: come trasferire la catena di montaggio di corpi a buon mercato di Michael Chricton (Coma) in un maniero asburgico (Gli orrori del castello di Norimberga) per facoltosi rincoglioniti che disdegnano climi più caldi e sottoporli all'inconsapevole salasso canadese di David Cronenberg (Shivers), inebetendoli a furia di regressioni sensoriali nelle flotation tanks di Ken Russel (Alterated States) e sottopenendoli alle discutibili cure odontoiatriche di Brian Yuzna (The Dentist). Insomma fantasia zero e vaneggimenti a iosa per un film che si affida al volto infantile di un Dane DeHaan che perde i denti da latte (nel senso che il dente che perde, l'infermiera lo mette nel latte, sic!) ed alla maschera di cera di un Jason Isaacs che non sa tenere la patta chiusa in presenza di consanguinee e si diletta con rudimentali sperimentazioni genetiche su teleostei rettiliformi manco fosse la copia cattiva di Michael Fassbender in Alien Covenant. Confezione patinata, ritmo piatto e soluzioni telefonate per un polpettone indigesto dalla durata spropositata. Bella la Goth, ma è troppo insipida: come la classica particella di sodio smarrita in un mare di acqua oligominerale.
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eleonorapanzeri
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sabato 24 marzo 2018
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la danza dell'anguilla
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Un giovane e rampante broker finanziario viene incaricato dal consiglio dell'azienda per cui lavora di riportare in sede uno dei soci fondatori sparito ormai da diverso tempo tra i monti svizzeri in un'esclusiva SPA. L'incarico sembra semplice quanto impellente visto che a causa dell'assenza del sig. Pembroke l'azienda rischia un rovinoso fallimento. Il giovane Lockhart, da poco reduce da un lutto in famiglia che gli porta via il solo parente che gli resta, rimane subito inquietato e impaziente di lasciare la misteriosa clinica in cui Pembroke è ricoverato. Il film si apre in maniera sublime, perfetta e inquietante la colonna sonora, le location e persino il cast sono ben studiati e presentati.
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Un giovane e rampante broker finanziario viene incaricato dal consiglio dell'azienda per cui lavora di riportare in sede uno dei soci fondatori sparito ormai da diverso tempo tra i monti svizzeri in un'esclusiva SPA. L'incarico sembra semplice quanto impellente visto che a causa dell'assenza del sig. Pembroke l'azienda rischia un rovinoso fallimento. Il giovane Lockhart, da poco reduce da un lutto in famiglia che gli porta via il solo parente che gli resta, rimane subito inquietato e impaziente di lasciare la misteriosa clinica in cui Pembroke è ricoverato. Il film si apre in maniera sublime, perfetta e inquietante la colonna sonora, le location e persino il cast sono ben studiati e presentati. Impeccabile il giovane Dane DeHaan, che riesce a incarnare la decadenza dei millennials americani, anche solo con la sua fisionomia spettrale ed emaciata, un giovane vecchio "cinico vampiro" in perfetta armonia con la popolazione ormai anziana e sgraziata della clinica. Interessante anche l'interpretazione di Mia Goth della misteriosa bimba/ragazza, affetta da un grave ritardo psichico. Ottimo anche Jason Isaacs nel ruolo del temuto e carismatico direttore della clinica. Affascinante la leggenda che avvolge la clinica stessa, come un'anguilla infida e minacciosa. A dispetto di tutto questo, il film ricco di promesse e di reali momenti di suspense, angoscia paura e terrore, si dirige verso un epilogo sconclusionato, al di là del lontanamente plausibile senza spiegare assolutamente nulla. Una pellicola che aveva tutti gli elementi per essere memorabile che crolla mestamente su sé stessa come un fragile castello di carte.
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