Che Dio ci perdoni |
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Un film di Rodrigo Sorogoyen.
Con Antonio de la Torre, Roberto Álamo, Javier Pereira, Luis Zahera.
continua»
Titolo originale Que Dios Nos Perdone.
Thriller,
durata 127 min.
- Spagna 2016.
- Movies Inspired
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noir realistico con velleità sociologichedi carloalbertoFeedback: 51365 | altri commenti e recensioni di carloalberto |
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venerdì 17 luglio 2020 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Rodrigo Sorogoyen, nella tradizione del nuovo cinema noir spagnolo, riprende uno schema narrativo già messo in scena due anni prima, nel 2014, da Alberto Rodríguez con “La isla mínima”, offrendoci uno spaccato della società civile iberica, questa volta contemporanea, come sfondo per un poliziesco classico con risvolti drammatici. In questo caso i temi si fondono con qualche difficoltà, poiché a prevalere sulla coralità degli avvenimenti storici, la visita di papa Ratzinger a Madrid nel 2011 con le conseguenti violente contestazioni di piazza, e sulla suspense del thriller, per Sorogoyen sono gli aspetti psicologici dei personaggi, che, con qualche forzatura, che non poco stona nel finale, orientano l’attenzione sulle vicende intime dei due investigatori, interpretati da Roberto Alamo e Antonio de la Torre, quest’ultimo già apprezzato protagonista nel “La vendetta di un uomo tranquillo” di Raúl Arévalo. L’insieme è piacevole ed il film risulta nel complesso godibile; tuttavia, non sfugge all’analisi degli elementi che costituiscono questo puzzle a tre tessere, società spagnola in crisi, dramma umano e giallo classico, un utilizzo ingenuo o smaliziato, a seconda dei punti di vista, dei più vieti clichè per rappresentare, di volta in volta, lo sbirro violento, dall’aspetto volgare ma dal cuore d’oro, il poliziotto anomalo, perché troppo corretto e pignolo per il suo ambiente di lavoro, caratterizzato macchiettisticamente da una forte balbuzie, ed infine il profilo psicologico del serial Killer, già infinite volte visto e rivisto nei film di questo genere. Le scene della vita privata dei due eroi risultano altrettanto stereotipate ed infarcite di luoghi comuni, con la famigliola piccolo borghese fintamente felice, col cane e la figlia maggiore ribelle, e la solitudine dell’altro, che ha la casa arredata come un ufficio ed ascolta fado portoghesi. I quadretti sono tratteggiati in modo superficiale, risultano poco più di un abbozzo e finiscono tra le velleità sociologiche dell’autore insieme alle rare inquadrature della piazza in rivolta. Detto questo, l’opera rimane apprezzabile e sotto certi aspetti invidiabile per una cinematografia giovane che con successo si cimenta nel noir realistico, genere da noi, ahimè, praticato soprattutto nelle imbalsamate serie televisive dei giovani e vecchi montalbano o dei vari ispettori coliandro, manara e perfino preti investigatori, che ricalcano stancamente, con poca convinzione e senza oramai i grandi interpreti di un tempo le orme di classici indimenticabili quali furono gli sceneggiati del Tenente Sheridan, del Commissario Maigret e di Nero Wolfe.
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