evak.
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giovedì 26 ottobre 2017
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un atto d'arte
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"Manifesto" s'impone come un lungometraggio audace e ben riuscito. Un' opera d'arte. Fuori da schemi, canoni e predefinizioni (proprie purtroppo di molti lungometraggi) non risparmia lo spettatore in fatto di originalità e innovazione. In alcuni momenti smarrisce per la velocità, per le parole incisive, per quel vortice di annientamento dell'arte stessa.
Scorrono sullo schermo diversi personaggi che parlano con parole di altri. Ogni personaggio un manifesto, un movimento artistico/culturale. Dallo stridentismo al dadaismo, dal dogma 95 al concettualismo. Tutti calati in una realtà che di per sè è già surreale. Monologhi che assurgono a soliloqui.
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"Manifesto" s'impone come un lungometraggio audace e ben riuscito. Un' opera d'arte. Fuori da schemi, canoni e predefinizioni (proprie purtroppo di molti lungometraggi) non risparmia lo spettatore in fatto di originalità e innovazione. In alcuni momenti smarrisce per la velocità, per le parole incisive, per quel vortice di annientamento dell'arte stessa.
Scorrono sullo schermo diversi personaggi che parlano con parole di altri. Ogni personaggio un manifesto, un movimento artistico/culturale. Dallo stridentismo al dadaismo, dal dogma 95 al concettualismo. Tutti calati in una realtà che di per sè è già surreale. Monologhi che assurgono a soliloqui.
Contraddittorio e dissacrante nei contenuti, contemporaneo nella visione d'insieme, il film è l'opera più geniale, autentica e fedele alla realtà degli ultimi anni. Creata e diretta con eccellenti capacità cinematografiche da Julian Rosefeldt indebolisce e schernisce i surrogati dell'arte contemporanea.
Suggestiva l'ambientazione, d'impatto la fotografia.
Disorienta come lungometraggio, un disorientamento coevo e mai così realistico. Una ricostruzione puntuale del mondo attuale, che attinge e cita grandi artisti disperdendone i grandi contenuti, spesso contraddittori. L'arte che si svuota diventa così uno degli oggetti di questo film.
13 manifesti, una sola attrice.
Cate Blanchett superba interprete di ogni personaggio, nobilissima attrice.
Queste opere dovrebbero rimanere nelle sale più a lungo.
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vanessa zarastro
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lunedì 30 ottobre 2017
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un assolo di bravura
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Manifesto è un film (o documentario?) ambizioso, molto impegnativo e per intenditori. Ieri a Roma lo proiettavano solo in un’unica saletta di 60 posti (stretti) allo spettacolo pomeridiano. Schiacciata in seconda fila senza lo spazio per le gambe e con la testa rivolta all’insù non mi sono potuta gustare lo spettacolo come avrebbe meritato. Il film consiste in una serie di brani (in inglese ovviamente) letti da quella straordinaria attrice che è Cate Blanchett e che, in ogni prova, supera se stessa. A mio avviso lei è una delle attrici più brave in assoluto, insieme a Meryl Streep e Julie Dench. La Blanchett in Manifesto interpreta tredici persone diverse tutte con la sua capacità di trasformismo che aveva già dimostrato interpretando Bob Dylan in Io non sono qui di Todd Haynes del 2007.
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Manifesto è un film (o documentario?) ambizioso, molto impegnativo e per intenditori. Ieri a Roma lo proiettavano solo in un’unica saletta di 60 posti (stretti) allo spettacolo pomeridiano. Schiacciata in seconda fila senza lo spazio per le gambe e con la testa rivolta all’insù non mi sono potuta gustare lo spettacolo come avrebbe meritato. Il film consiste in una serie di brani (in inglese ovviamente) letti da quella straordinaria attrice che è Cate Blanchett e che, in ogni prova, supera se stessa. A mio avviso lei è una delle attrici più brave in assoluto, insieme a Meryl Streep e Julie Dench. La Blanchett in Manifesto interpreta tredici persone diverse tutte con la sua capacità di trasformismo che aveva già dimostrato interpretando Bob Dylan in Io non sono qui di Todd Haynes del 2007.
A parte l’iniziale episodio in cui l’homeless recita il “Manifesto del Partito comunista” di K. Marx e F. Engels del 1848, nel film l’attrice legge brani di vari movimenti artistici come il Situazionismo, il Futurismo, il Vorticismo, l’Astrattismo, l’Espressionismo e dal “Manifesto dell’architettura futurista” di Antonio Sant’Elia. Mi è piaciuta molto l’orazione funebre all’Arte, dove sono stati montati insieme pezzi dadaisti di Tristan Tzara, Louis Aragon, Francis Picabia e altri. Degna di nota è anche la stressante madre di famiglia che prima di mangiare il tacchino (che nel frattempo sarà diventato freddo…) con i figli e il marito, recita in preghiera il Manifesto Pop di Claes Oldenburg “I am for an Art…” del 1961. Nel film troviamo anche il Minimalismo, l’arte Performativa dove Cate Blanchett gioca il ruolo della severa coreografa, lo Spazialismo e l’Arte concettuale. C’è anche posto per le regole dettate in “Dogma 95” da Lars von Trier e Thomas Vinterberg. Non li ho citati tutti, ma francamente ci vuole una buona dose di conoscenza artistica del XX secolo per riuscire a riconoscerli.
Ciò che ho apprezzato molto del film sono state le ambientazioni, il clima della città del nord (il film è stato girato tutto attorno a Berlino), le fabbriche abbandonate, le case/gallerie minimaliste su paesaggi nordici invernali che sembrano uscite da una rivista patinata di Arredamento. E ancora stabilimenti artistici futuribili, insomma ogni location è stata scelta con cura e attenzione. Ottima la fotografia di Christophe Krauss.
Manifesto era stato pensato inizialmente come videoinstallazione multi-schermo all’Australian Centre for the Moving Image, poi è stata esposta a Berlino, infine a Sidney presso la Gallery of New South Wales. Rimontato in lungometraggio dallo stesso regista-artista è stato presentato al “Sundance Film Festival” del 2017.
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