Adieu Au Langage - Addio al linguaggio |
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Un film di Jean-Luc Godard.
Con Kamel Abdeli, Héloise Godet, Zoé Bruneau, Richard Chevallier.
continua»
Titolo originale Adieu Au Langage.
Drammatico,
durata 70 min.
- Svizzera 2014.
- Bim Distribuzione
uscita giovedì 20 novembre 2014.
MYMONETRO
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Bambini no, un cane sì
di FabioFeliFeedback: 25659 | altri commenti e recensioni di FabioFeli |
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giovedì 27 novembre 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il pensiero iniziale dello spettatore è: ”Bene, Jean-Luc, anche stavolta l’hai combinata grossa. Come al solito ci hai cacciato in un labirinto con molte false uscite.” Il film è diviso da scritte in sezioni, e queste sono divise in capitoli, secondo il consueto stile del cineasta francese. Ne sortisce una conferenza dove si parla a ruota libera di Natura, Metafora, Linguaggio. Le riflessioni si alternano con citazioni filosofiche, matematiche, cinematografiche, letterarie, politiche, artistiche - Solgenitsin, Ellul, Monet, Dirac, Mary Shelley, Van Vogt, Nicolas De Stael, Mao, Jack London, Fritz Lang, solo per citare alcuni autori – intrecciandosi e sostenendosi le une alle altre. Si narra di una coppia e del loro rapporto, della vita e della comunicazione. Il modo è barocco ed eclettico. Godard non esita a usare nella sezione Natura una fotografia a volte sciatta, “brutta”, sovraesposta, accanto a immagini calligrafiche con inquadrature espressioniste e impressioniste; inserisce persino il tridimensionale, che nella versione in due dimensioni appare come un quadro cubista di Picasso. Nel rapporto uomo-donna si descrive un amore che si consuma: “Ci vorrebbero dei bambini” dice l’uomo. “Bambini, no. Un cane, sì” ribatte la donna, anche se nei suoi incubi di bambina appariva proprio un cane. L’amore tra loro sta finendo, mentre non finisce mai l’amore di un cane per l’uomo, infinito come la funzione di Dirac al punto zero. Ed un cane incontra la coppia, vive con loro, girovaga apparentemente senza senso come il pensiero umano, il nostro pensiero del quale non prevediamo e non comprendiamo le traiettorie e le associazioni di idee, a meno che non ce le spieghi qualcun altro. La natura degli animali, dell’uomo, del paesaggio vengono trasformate in metafore dal linguaggio e la comunicazione si complica al punto che avremmo bisogno di un interprete per capire cosa noi stessi diciamo. Ad esempio gli Apache usavano una metafora per descrivere il mondo: la foresta. Questo è il filo rosso che ci permette di interpretare la sequenza di immagini apparentemente scollegate tra loro, spesso disgiunte dal sonoro e dal significato delle parole stesse. Ma d’altro canto come potrebbe descrivere qualcuno un giorno della sua vita o i suoi 83 anni? Quali parole, quali immagini sceglierebbe per salutare tutti, fare testamento, e portarle al cospetto di Dio (Adieu, Ah Dieu, Ah Dieux …)? Quel “Dio che non è riuscito, non ha saputo o voluto crearci umili e ci ha creato umiliati.”? Eh sì, Jean-Luc, ancora una volta l’hai fatta grossa: hai comunicato solo con una parte degli spettatori, come ai tempi di Pierrot le fou, La Chinoise, Je vous salue Marie, mentre l’altra parte resta fortemente scettica, perplessa e irritata. Hai 83 anni: non ti vergogni neanche un po’?
Valutazione ***1/2
FabioFeli
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