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Il 3D che disturba: Adieu au Langage

Il cinema in movimento di Roy Menarini.
di Roy Menarini

In foto una scena del film.
Héloise Godet (43 anni) 27 agosto 1980, Montreuil (Francia) - Vergine. Interpreta Josette nel film di Jean-Luc Godard Adieu Au Langage - Addio al linguaggio.

lunedì 24 novembre 2014 - Approfondimenti

Inutile negare che il 3D, tanto la prima volta che prese piede quanto nella sua versione digitale recente, venga visto per lo più come una tecnica ludica e vagamente goliardica. Non a caso viene identificata col cinema hollywoodiano più spettacolare e - nella versione domestica - riservato a eventi sportivi e musicali, il non plus ultra del gioco, del tempo libero e dello svago.
La novità tecnologica, ovviamente, ha solleticato anche gli autori, soprattutto gli esponenti del "nuovo cinema" anni Sessanta: Wenders con Pina 3D, Herzog con Cave of Forgotten Dreams e ora Godard con Adieu au langage - Addio al linguaggio hanno tutti voluto saggiare le potenzialità del mezzo. Wenders, nel suo film migliore di questa fase tutt'altro che entusiasmante della sua carriera, ha provato a ragionare sulla distanza tra spettatore e corpo che danza, svolgendo un lavoro visivo di grande intelligenza; Herzog, titanico ed erede del romanticismo tedesco, ha ipotizzato una relazione tra i più antichi dipinti murari dell'antichità e il cinema contemporaneo; Godard, nel suo più recente capolavoro, ha proposto una summa della sua poetica, mescolando filosofia della storia e riflessione sul destino dell'immagine.
In Adieu au langage - Addio al linguaggio c'è di più: l'immagine tridimensionale infastidisce. Tormenta. Nausea. Scuote. Ci mette spalle al muro, annaspanti, alla ricerca di un centro di gravità visiva (e l'esperienza del 3D con sottotitoli italiani, per chi l'ha provata, è ancora più sconcertante). In alcuni casi, quando due immagini vengono sovrapposte in maniera persino più distorta e respingente, ci si accorge che è possibile seguire simultaneamente due sequenze in spazi diversi, a seconda dell'occhio con cui scegliamo di guardare. Con l'occhio destro chiuso, vediamo una cosa; con l'occhio sinistro chiuso ne vediamo un'altra.
Al di là di questo pur geniale stratagemma, che cosa dire dell'atteggiamento di Godard? Si tratta solamente di un modo per sottrarre le certezze dello spettatore imborghesito? È avanguardia fuori tempo massimo? È snobismo nei confronti della tecnica e dell'industria? Tutt'altro, è l'ultima evoluzione del concetto di cinema e di estetica godardiana, quel "one plus one" che non fa mai Due, e dove la pretesa del soggetto (e delle società) di essere Uno viene mostrata come fatalmente irraggiungibile.
Da sempre, in Godard, le immagini vengono giustapposte e non formano mai un senso armonico. Nemico sia del montaggio intellettuale sia del discorso hollywoodiano contemporaneo, Godard trova nel 3D un dispositivo di semplificazione del mondo, una sorta di "fascismo dell'immagine" che dona l'illusione della fusione tra le parti. Ma per Godard, parafrasando un suo vecchio slogan, "il 3D è questione di morale" e la morale è che se vogliamo il 3D ci meritiamo questo scacco (o smacco) della visione, dove tutto si frantuma, le coppie si separano, le storie si spezzano, il senso sfugge, e l'unico sguardo rinnovato sul mondo è quello di un cane, Roxy. Il cane di Godard. Il suo, e il nostro, migliore amico.

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