catcarlo
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lunedì 23 settembre 2013
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the grandmaster
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Estetizzante? Eh sì, è estetizzante già a partire dagli splendidi titoli di testa tutti giocati su colori che continuamente si mischiano e si perdono. Poi ci sono gli insistiti primi piani degli attori, un’accurata ricostruzioni di interni - sia in una Cina d’anteguerra che pare fuori dal tempo, sia nella più urbana Hong Kong degli anni Cinquanta – e il chiaroscuro fortemente contrastato in cui risaltano i visi e gli oggetti spezzato solo dal biancore della neve della terra del nord. Per non parlare poi dei combattimenti, in cui la violenza è stilizzata in fascinose coreografie che li fanno davvero assomigliare a balletti (già l’idea del coreografo apposito è intrigante come poche) o, infine, della pioggia che batte impietosa nei momenti di confronto più duro e qualche parentela con ‘C’era una volta in America’ ce l’ha – e difatti ecco spuntare il ‘Tema di Deborah’ nella scena dell’addio in una buia strada secondaria.
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Estetizzante? Eh sì, è estetizzante già a partire dagli splendidi titoli di testa tutti giocati su colori che continuamente si mischiano e si perdono. Poi ci sono gli insistiti primi piani degli attori, un’accurata ricostruzioni di interni - sia in una Cina d’anteguerra che pare fuori dal tempo, sia nella più urbana Hong Kong degli anni Cinquanta – e il chiaroscuro fortemente contrastato in cui risaltano i visi e gli oggetti spezzato solo dal biancore della neve della terra del nord. Per non parlare poi dei combattimenti, in cui la violenza è stilizzata in fascinose coreografie che li fanno davvero assomigliare a balletti (già l’idea del coreografo apposito è intrigante come poche) o, infine, della pioggia che batte impietosa nei momenti di confronto più duro e qualche parentela con ‘C’era una volta in America’ ce l’ha – e difatti ecco spuntare il ‘Tema di Deborah’ nella scena dell’addio in una buia strada secondaria. La vendetta di Gong Er si consuma invece sotto la neve in una stazione felliniana e si potrebbe andare avanti ancora, ma – diciamocelo con franchezza – chi se ne frega? Perché l’elenco di cui sopra – che pure potrebbe continuare – è fonte di un vero piacere per gli occhi ma anche per il cervello e il modo migliore per goderne è lasciarsi andare al flusso delle immagini, come ascoltando una sinfonia è inutile star lì a contar le note: è vero che se la scrittura avesse la stessa qualità, lo stesso rigore della parte visiva staremmo a parlare di un capolavoro e non solo di un ottimo film, ma la pellicola regala comunque splendidi momenti. La biografia di Ip Man – maestro di kung-fu il cui allievo migliore e più famoso è Bruce Lee – è stata più volte trattata dal cinema di Cina e dintorni: Wong Kar-Wai, che è stato uno dei primi a pensarci, arriva da buon ultimo a causa, si racconta, di una maniacale cura al montaggio che ha portato via almeno un anno. La sua scelta – suoi anche il soggetto e, seppur in collaborazione, la sceneggiatura – è di raccontare per quadri prendendo pochi momenti significativi e legandoli con didascalie (in cinese anche nella versione italiana e lette da una voce fuoricampo): la scelta del maestro del nord Gong Yutian di fare di Ip Man il suo discepolo al sud, il rapporto dello stesso Ip con la di lui figlia Gong Er, la guerra che sconvolge la vita del protagonista, la sua lenta rinascita da profugo a Hong Kong dove ritrova Gong Er che, dopo aver vendicato il padre, sembra non avere più scopo nella vita. Una narrazione in cui non tutto funziona, con personaggi che appaiono e poi spariscono, ingenerando qualche disorientamento (ho confuso per un bel po’ Ma San con il Rasoio e, comunque, non ho ancora ben chiaro il ruolo di quest’ultimo nell’economia generale della storia), ma comunque un difetto che, dato tutto il resto, si perdona facilmente. Altrettanto succede con un finale un po’ tirato per le lunghe, anche se giustificato ‘teoricamente’, visto che i protagonisti mettono in pratica l’ultimo degli insegnamenti di Gong Yutian, la capacità di guardarsi indietro. Del resto, l’arte marziale vista come una filosofia di vita è un assioma che ben conosciamo, ma, attenzione, se questo è un film sul kung-fu, teorico e pratico, non meno importante è la storia d’amore tra Ip Man e Gong Er. Un rapporto stilizzato anch’esso e puramente platonico, fatto di sguardi e dialoghi asciugati con cura (a volte si ha un po’ l’impressione che tutti quanti parlino per frasi fatte): all’inizio, lui è fedele alla bella moglie e alla famiglia, mentre quando i due si ritrovano lei non ha più niente da dare. Un sentimento impossibile che comunica l’infinita varietà di sfumature e possibilità che possono intercorrere tra un uomo e una donna, una situazione ben diversa da quella presente nel kung-fu dove – come afferma di Ip Man – ‘esistono solo due parole: orizzontale e verticale. Commetti un errore: orizzontale. Sei l'ultimo che resta in piedi e vinci’.
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[+] concordo con te: un film visivamente affascinante
(di antonio montefalcone)
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fulvio chiaretti
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giovedì 7 agosto 2014
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film dalla straordinaria bellezza visiva
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Utilizzando come sfondo la Cina anni '30, Wong Kar-wai racconta la drammatica storia di Ip Man, leggendario maestro di Bruce Lee, e quella della signorina Gong Er e del loro amore rimasto platonico. Il kung fu e le sue infinite scuole giocano un ruolo di primo piano ovviamente, i combattimenti sono piuttosto interessanti, particolarmente bella é la resa dei conti alla stazione ferroviaria tra Gong Er e l'assassino di suo padre. Il cast é di prim'ordine: Tony Leung, Chang Chen ed anche Cung Le, ma ad oscurare tutti c'é Zhang Ziyi che si dimostra ancora una volta tra le migliori interpreti del cinema cinese. La regia é ottima: visionaria e poetica al tempo stesso, fornisce immagini bellissime, da apprezzare sono anche quei fermo-immagine che diventano fotografie.
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Utilizzando come sfondo la Cina anni '30, Wong Kar-wai racconta la drammatica storia di Ip Man, leggendario maestro di Bruce Lee, e quella della signorina Gong Er e del loro amore rimasto platonico. Il kung fu e le sue infinite scuole giocano un ruolo di primo piano ovviamente, i combattimenti sono piuttosto interessanti, particolarmente bella é la resa dei conti alla stazione ferroviaria tra Gong Er e l'assassino di suo padre. Il cast é di prim'ordine: Tony Leung, Chang Chen ed anche Cung Le, ma ad oscurare tutti c'é Zhang Ziyi che si dimostra ancora una volta tra le migliori interpreti del cinema cinese. La regia é ottima: visionaria e poetica al tempo stesso, fornisce immagini bellissime, da apprezzare sono anche quei fermo-immagine che diventano fotografie. Il film abbastanza scorrevole é migliore nella seconda parte, l'unico difetto é rappresentato dalle luci dai toni bassi e da quel continuo utilizzare frasi forzamente "sagge" dei personaggi. Non é soltanto un film sulle arti marziali.
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storyteller
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domenica 22 settembre 2013
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biografia romanzata che convince
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Wong Kar-wai riesce nell'impresa di fondere pellicola di arti marziali e melò, proponendoci una rappresentazione non banale della Cina a cavallo del Novecento.
Va detto che il racconto privilegia l'eleganza delle inquadrature e la ricerca stilistica a discapito della ricostruzione storica, che purtroppo (o per fortuna) rimane in secondo piano. Un cast di attori eccellenti e diretti in stato di grazia completa il quadro di quello che forse è un lavoro manierista, ma che non ha paura di portare avanti la propria visione fino in fondo, come nelle inquadrature pirotecniche e aerodinamiche che seguono la danza di pugni e calci dei vari combattenti.
Unica nota dolente, il finale: qualche lungaggine di troppo intacca l'atmosfera, e si sente la mancanza di uno scontro che consacri il genio marziale del protagonista in maniera analoga alla scena che apre l'opera.
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Wong Kar-wai riesce nell'impresa di fondere pellicola di arti marziali e melò, proponendoci una rappresentazione non banale della Cina a cavallo del Novecento.
Va detto che il racconto privilegia l'eleganza delle inquadrature e la ricerca stilistica a discapito della ricostruzione storica, che purtroppo (o per fortuna) rimane in secondo piano. Un cast di attori eccellenti e diretti in stato di grazia completa il quadro di quello che forse è un lavoro manierista, ma che non ha paura di portare avanti la propria visione fino in fondo, come nelle inquadrature pirotecniche e aerodinamiche che seguono la danza di pugni e calci dei vari combattenti.
Unica nota dolente, il finale: qualche lungaggine di troppo intacca l'atmosfera, e si sente la mancanza di uno scontro che consacri il genio marziale del protagonista in maniera analoga alla scena che apre l'opera.
Nel complesso, un buon film.
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flyanto
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lunedì 23 settembre 2013
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l'arte del kung-fu mirabilmente raccontata da wong
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Film in cui si narra la storia romanzata di Ip Man, il grandissimo maestro di arti marziali che allenò l'attore e campione Bruce Lee. La vicenda parte dall'abbandono e dalla conseguente morte di Gong Baosen l' anziano e molto famoso maestro di arti marziali della Cina del Nord il quale, ormai prossimo alla morte, deve scegliere, tra i vari candidati, il suo valido successore al fine di continuare a diffondere i propri preziosi insegnamenti. La scelta cade appunto su Ip Man, interpretato da Tony Leung, che si dimostra il più abile e preparato di tutti riuscendo a battere l'anziano insegnante in un combattimento ma non poi la bellissima sua figlia, dedita anch'ella alle arti marziali ed eccelsa in questa disciplina a lei però proibita, in quanto donna.
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Film in cui si narra la storia romanzata di Ip Man, il grandissimo maestro di arti marziali che allenò l'attore e campione Bruce Lee. La vicenda parte dall'abbandono e dalla conseguente morte di Gong Baosen l' anziano e molto famoso maestro di arti marziali della Cina del Nord il quale, ormai prossimo alla morte, deve scegliere, tra i vari candidati, il suo valido successore al fine di continuare a diffondere i propri preziosi insegnamenti. La scelta cade appunto su Ip Man, interpretato da Tony Leung, che si dimostra il più abile e preparato di tutti riuscendo a battere l'anziano insegnante in un combattimento ma non poi la bellissima sua figlia, dedita anch'ella alle arti marziali ed eccelsa in questa disciplina a lei però proibita, in quanto donna. Per tutta la loro esistenza, nel corso delle varie vicende storiche e politiche della Cina che vanno dagli anni '30 ai '50 i due riusciranno ad incontrarsi solo alla fine, condividendo la passione per le arti marziali ed un reciproco sentimento d'amore espresso però solo in forma platonica, fino alla morte di lei ed all' apertura finale della scuola di kung-fu, dove approderà, tra i molti, proprio Bruce Lee. Wong Kar-Wai racconta e realizza quest' affascinante storia seguendo il proprio personale ed inconfondibile stile fatto di stupende immagini patinate, scenari fantastici e bravi e bei attori, ormai divenuti presenza costante in tutte le sue opere, che sempre condividono passioni impossibili e mai espresse o, per lo meno, mai realizzate. L'andamento della narrazione è lento e calibrato ma ben adatto alla tematica raccontata perchè in ogni scena vige un equilibrio perfetto tra dialoghi, immagini ed azioni. In questo film il regista di Hong-Kong presenta una storia a noi occidentali, forse, poco conosciuta ma molto affascinante e dunque interessante. Quanto mai da ammirare sono poi le scene dei vari combattimenti dove, più che la violenza ed i duri colpi, imperano invece i movimenti strutturati come quasi dei passi di una danza. Gli attori sono stati scelti da Kar-Wai con altrettanta cura e dovizia e pertanto non possono che risultare adatti ai loro ruoli. Spicca preponderantemente la bellezza di Ziyi Zhang, già ampiamente ammirata ne "La Foresta dei Pugnali Volanti" e ne "La Tigre ed il Dragone" precedenti. Insomma, un film molto particolare indirizzato soprattutto agli appassionati esclusivamente del modo elegante ed "impalpabile" di fare cinema di Wong Kar-Wai ed a coloro anche che sono più o meno interessati al mondo ed alla storia delle arti marziali.
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alexander 1986
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giovedì 27 marzo 2014
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il kung fu e l'amore manieristico di wong kar-wai
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Foshan, Cina Sud. L'anziano maestro di arti marziali Gong Baosen fuggito dal Nord a seguito dell'invasione giapponese, annuncia il ritiro e sfida le scuole meridionali acché trovino il candidato giusto per la successione. La scelta del Sud cade su Yip Man (Tony Leung), ritenuto quasi unanimemente il migliore. La figlia di Baosen, Gong Er (Zhang Ziyi) non ci sta e proverà a mantenere il primato della sua scuola. Fra i due contendenti nasce un sentimento profondo, ma che non può essere coltivato in ragione di vari impedimenti. La loro storia si incastona nel contesto della Cina dei tempi bui dell'imperialismo nipponico.
La figura di Yip Man, profeta dello stile di kung fu detto wing chun, sta destando negli ultimi anni un interesse sempre maggiore.
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Foshan, Cina Sud. L'anziano maestro di arti marziali Gong Baosen fuggito dal Nord a seguito dell'invasione giapponese, annuncia il ritiro e sfida le scuole meridionali acché trovino il candidato giusto per la successione. La scelta del Sud cade su Yip Man (Tony Leung), ritenuto quasi unanimemente il migliore. La figlia di Baosen, Gong Er (Zhang Ziyi) non ci sta e proverà a mantenere il primato della sua scuola. Fra i due contendenti nasce un sentimento profondo, ma che non può essere coltivato in ragione di vari impedimenti. La loro storia si incastona nel contesto della Cina dei tempi bui dell'imperialismo nipponico.
La figura di Yip Man, profeta dello stile di kung fu detto wing chun, sta destando negli ultimi anni un interesse sempre maggiore. Al pubblico occidentale interessa approfondire la figura di colui che fu maestro del grande Bruce Lee, mentre le autorità cinesi si impegnano a farne una sorta di simbolo patriottico e di eroe nazionale; il ritratto del 'buon cinese', nobile, misurato, riflessivo, coraggioso quando necessario, rispettoso dei costumi tradizionali. L'incrocio di questi due interessi ha generato finora film biografici di scarsa verosimiglianza storica ma di un certo impatto. Nel 2008 è apparso 'Ip Man', con protagonista Donnie Yen; film divertente, oscillante tra humor e melodramma, e soprattutto spettacolare nella resa dei combattimenti. Nel 2013 è la volta di questo 'Grandmaster', che vira decisamente su un registro alto, toni bassi e dialoghi densi di profonda poesia. Per non parlare dei virtuosismi estetici del regista Wong Kar-Wai.
Chi conosce l'autore di film come 'In the Mood for Love' o '2046' sa già quanto di buono potrà trovare anche in questa pellicola rimasta in gestazione per ben otto anni. Ed è per questo che rimarrà deluso da tutto il resto.
Il film è troppo lento e monotono, persino in quell'elemento che avrebbe dovuto spezzare il ritmo della narrazione: i combattimenti, i quali peraltro non appaiono svolti in modo impeccabile per posa e tecnica. La trama presenta troppi elementi inutili: episodi e personaggi privi di senso nell'economia narrativa, e che sembrano inseriti a scopo riempitivo deviando inutilmente l'attenzione dello spettatore. La scelta di puntare su un certo manierismo visivo dà la sensazione di voler coprire proprio queste pecche. Inoltre la scelta registica di insistere ossessivamente sui primi piani dei volti risulta sciagurata, perché gli attori sono quasi sempre di scarsa espressività.
Un film deludente, ma anche l'ennesima conferma di una regola spietata del mondo dello show: le lavorazioni troppo lunghe partoriscono quasi sempre risultati modesti.
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onufrio
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sabato 17 maggio 2014
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biografia del maestro di bruce lee
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Il film narra la storia di "iP Man", colui che divenne il maestro del famoso Bruce Lee. Storia che parte dal Sud della Cina, a Fo Shan, luogo in cui il maestro è cresciuto ed ha iniziato a praticare la sua nobile arte, tra scene di arti marziali un pò coreografiche, la trama si cala nel contesto storico che attraversa la Cina, in un periodo che va dagli anni 20 agli anni 50 del 1900, alternando tratti monotoni e poco avvolgenti a tratti interessanti in cui le arti marziali diventano protagoniste.
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