Il venditore di medicine

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Un film di Antonio Morabito. Con Claudio Santamaria, Isabella Ferrari, Evita Ciri, Marco Travaglio.
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Drammatico, durata 103 min. - Italia 2013. - Cinecittà Luce uscita mercoledì 30 aprile 2014. MYMONETRO Il venditore di medicine * * * - - valutazione media: 3,20 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

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di rambaldomelandri


Feedback: 600 | altri commenti e recensioni di rambaldomelandri
lunedì 28 dicembre 2015

La prima impressione dopo aver visto il film, scelto alla cieca durante le feste di Natale in uno degli ultimi videonoleggi rimasti, è stata la sorpresa per non averne saputo niente prima: sia per non aver letto alcuna recensione al tempo della sua uscita, sia soprattutto per la mancanza di un dibattito sugli argomenti trattati. Argomenti scabrosi e universali, raccontati attraverso il progressivo sfrangiarsi della vita di un uomo che va alla deriva nel suo lavoro e nel suo rapporto di coppia.
"Informatore medico-scientifico" è colui che, lavorando per una casa farmaceutica, è incaricato di far conoscere i prodotti al principale veicolo di promozione degli stessi: il medico di famiglia. Questo è il mestiere che il protagonista, Bruno, interpreta come un mezzo per emergere all'interno della Zafer -la sua azienda- a qualsiasi costo, coccolandosi quotidianamente i medici che conosce da tempo, consapevole del costo della dignità di ciascuno di essi: a qualcuno regala un tablet, ad altri propone un convegno a Phuket, ad altri ancora offre solamente una cena. Ma tutti si impegnano a "spingere" i suoi prodotti, e non importa che il principio attivo si trovi anche nei generici, o che esistano studi che documentano effetti collaterali pericolosi.
Il film si apre con la scena in cui la sua capoarea spiega a tutti i venditori che il ritorno per l'azienda deve essere di 11 a 1: un regalo del valore di 2.000 euro fatto a un medico deve generare da parte di questi prescrizioni per un controvalore almeno di 22.000 euro. Chi rimane sotto questa soglia viene espulso dall'azienda, come accade a un collega di Bruno, che si uccide nel parcheggio. Non un grido da parte dei colleghi che accorrono dopo lo sparo; né un cenno nelle giornate successive, fatte di continue pressioni da parte dell'azienda e visite a vari medici che accettano come assodata e ineludibile la scelta di prescrivere farmaci non necessari pur di incassare gli incentivi della Zafer. Soltanto un giovane medico, che ha ereditato 1.500 pazienti e per questo costituisce una preda altamente appetibile, resiste alle sue lusinghe, arrivando a denunciarlo per comparaggio quando il protagonista supera la soglia dell'ammiccamento per provare apertamente a corromperlo. Mentre Bruno affonda nelle sabbie mobili di scelte professionali arbitrarie, deve affrontare anche il desiderio di maternità della moglie, sempre più potente con lo scorrere delle lancette dell'orologio biologico, e non troverà altra soluzione che somministrarle di nascosto pillole anticoncezionali che le provocheranno un collasso e faranno emergere quanto accaduto.
Non è semplice scrivere di un film di denuncia come questo, inserito in uno dei filoni storicamente più prolifici del cinema italiano, per la difficoltà di scindere il significante (il piano dell'espressione) dal significato (il piano del contenuto). Denuncia meritoria, che recensioni piccate ritengono tardiva (il comparaggio da qualche anno è diventato reato), o peggio falsa. In realtà la capacità del regista, al di là della magistrale direzione degli attori (Claudio Santamaria ed Evita Ciri su tutti) e di qualche schemtismo narrativo forse eccessivo, è proprio quella di rappresentare un mondo chiuso, autoreferenziale, in cui lo scivolamento verso la deriva etica lavorativa si sovrappone alla scelta di negare alla moglie la maternità nel modo più scorretto. Non sono i simboli del successo a testimoniare la perdita della propria dignità, quanto le azioni di ogni giorno, che da dilemmi morali si trasformano lentamente in scelte ordinarie.

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