Hannah Arendt |
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Un film di Margarethe von Trotta.
Con Barbara Sukowa, Axel Milberg, Janet McTeer, Julia Jentsch.
continua»
Drammatico,
durata 113 min.
- Germania, Lussemburgo, Francia 2012.
- Nexo Digital
uscita lunedì 27 gennaio 2014.
MYMONETRO
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Pensiero e scena quanto mai attuali
di Riccardo TavaniFeedback: 33555 | altri commenti e recensioni di Riccardo Tavani |
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martedì 4 febbraio 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il film convince anche sul piano dello stile formale che Margarethe von Trotta ha scelto ed è perfettamente riuscita a determinare sullo schermo. Rappresentare un personaggio così importante, non solo nella storia della filosofia moderna, ma della Storia tout court è sempre un’operazione ardua e perciò piena di rischi. C’è una modalità stilistica che il cinema ha elaborato e sedimentato lungo il suo cammino per rappresentare il personaggio in quanto Storia. Tale elemento stilistico è il frapporre una distanza, un elemento di ostacolo tra l’immagine dell’evento storico cruciale rappresentato sullo schermo e la percezione visiva dello spettatore. Un esempio è in Nascita di una nazione di Griffith. L’evento cruciale dell’assassinio di Lincoln, a cui sparano durante una rappresentazione teatrale, è ripreso in campo lungo, seminascosto dietro le tende che pendevano raccolte sul palco d’onore del Presidente. L’evento-personaggio messo in scena dalla von Trotta non è soltanto quello di un gigante della filosofia ma anche quello di un gigantesco scontro dell’intero pensiero occidentale. La genesi e lo sviluppo di un tale scontro critico sono sempre sotto l’occhio dello spettatore. La regista vi frappone così una impalpabile patina stilistica di colore che ricopre l’intera pellicola, intesa proprio nel senso di supporto materiale. È una tonalità cromatica giallo paglierino, quasi come il colore del tabacco delle sigarette che Hannah accende o ha tra le dita in continuazione e il cui fumo va a rafforzare il senso di cortina che pone un’impercettibile distanza tra il nostro sguardo e la scena della Storia. La pellicola inserisce all’interno della sua ricostruzione scenica le immagini vere, in bianco e nero, di Eichmann che si difende nel processo. Ciò conferisce all’opera una particolare forza storica e, paradossalmente, un riverbero quasi sperimentale, simile a L’Istruttoria, di Peter Weiss, che vedeva inserite dentro il testo teatrale le vere parole pronunciate dai testimoni nel processo di Francoforte del 1963 contro SS e funzionari di Auschwitz. La Arendt coglie del processo l’aspetto strutturale, di efficienza burocratica, amministrativa, da catena di montaggio della morte come produzione industriale strategicamente pianificata. È un aspetto, questo, che non può essere ridotto in nessun modo alla mostruosità di un singolo per quanto malefico individuo. Il vero aspetto del male assoluto è quello di privare l’essere della propria singolare umanità. Un aspetto ripreso poi anche da Primo Levi che parla della riduzione, praticata nei campi di sterminio, dell’umano al sub-umano, dell’oscena nudità dell’essere spogliato di ogni proprio sé. La stessa spoliazione, la stessa negazione, però, il Totum sistemico la pretende dai propri addetti in stivali e divisa, o in giacca e cravatta da funzionari. Hannah Arendt ha paragonato il primo atto politico allo stesso atto teatrale: presentarsi davanti all’agorà, nella scena collettiva, prendere la parola ed esporsi al giudizio critico del pubblico. La filosofa si presenta nell’anfiteatro a gradinate dell’aula magna della scuola, chiede teatralmente il permesso di accendersi una sigaretta e mette in scena questo atto che è estetico e insieme etico, politico. È il cinema stesso, dunque, ad essere opera estetica e insieme critica, politica e con questo suo film Margarethe von Trotta mette in atto, attraverso la stessa materia artistica, un aspetto quanto mai attivo e attuale del pensiero di Hannah Arendt.
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