michela siccardi
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domenica 9 febbraio 2014
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un film che di-spiega l'essenza del male
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La filosofa Hannah Arendt, inviata dal “New Yorker”, si reca a Gerusalemme per assistere al processo di Adolf Eichmann, l’“architetto dell’Olocausto” che organizzava il traffico ferroviario per il trasporto degli ebrei nei campi di concentramento. La scrittrice si aspetta di trovarsi faccia a faccia con un mostro, con un uomo spaventoso e terrificante, invece quello che ha davanti a sé è un comunissimo uomo, una persona ordinaria. Il funzionario delle SS, noto come il “contabile dello sterminio”, si rivela un uomo assolutamente mediocre, quasi insignificante, non intelligente né particolarmente malvagio; certamente non un “genio del male”, piuttosto un efficiente burocrate, un alacre esecutore di ordini.
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La filosofa Hannah Arendt, inviata dal “New Yorker”, si reca a Gerusalemme per assistere al processo di Adolf Eichmann, l’“architetto dell’Olocausto” che organizzava il traffico ferroviario per il trasporto degli ebrei nei campi di concentramento. La scrittrice si aspetta di trovarsi faccia a faccia con un mostro, con un uomo spaventoso e terrificante, invece quello che ha davanti a sé è un comunissimo uomo, una persona ordinaria. Il funzionario delle SS, noto come il “contabile dello sterminio”, si rivela un uomo assolutamente mediocre, quasi insignificante, non intelligente né particolarmente malvagio; certamente non un “genio del male”, piuttosto un efficiente burocrate, un alacre esecutore di ordini. Eichmann non sembra mostrare alcun rimorso o vergogna per i brutali crimini commessi, non sembra provare emozioni o avere sentimenti riguardanti le proprie azioni, molte delle quali non ricorda. Questa sua frequente mancanza di memoria altro non è che la tragica manifestazione di una profonda inconsapevolezza, della totale incoscienza con cui perpetrava i suoi atti, dell’ignoranza del significato delle proprie azioni. Eichmann non ha un’ideologia antisemita (per la verità non ha alcuna ideologia), non odia gli ebrei; egli è semplicemente un burocrate, un funzionario zelante nel suo lavoro, un uomo rispettoso della legge del Führer, nonché particolarmente desideroso di compiacere i propri comandanti. La Arendt capisce di avere di fronte una mediocrità, una nullità, un “nessuno”. Eichmann è un uomo qualunque, e un qualunque uomo -un qualsiasi uomo privo di idee- potrebbe essere Eichmann. Eichmann non ricorda perché “non si può ricordare qualche cosa a cui non si è pensato e di cui non si è parlato con se stessi”. Eichmann è privo di un dialogo con la propria coscienza – da cui egli stesso ammette di essersi “dissociato”. Nel suo coraggioso reportage Hannah Arendt parla dell’Olocausto in termini inediti, rivoluzionari; osa usare un nuovo linguaggio che suonerà scandaloso e indecente. Ma mostrare l’inconsapevolezza di chi compie il male non significa in alcun modo giustificare, bensì capire (forse per la prima volta). Comprendere non significa perdonare. La scrittrice riceverà durissime critiche e violente minacce personali per la sua analisi oggettiva e scevra di risentimento, per la sua brillante disamina sul male, per aver dato un ritratto di Eichmann che non ne faceva la più pericolosa bestia di satana -come tutti si aspettavano di leggere- ma rendeva piuttosto l’immagine di un uomo normale, di un mero esecutore, lontano dalla responsabilità del reale. Attraverso la descrizione di questo uomo la giornalista e filosofa di-spiega l’essenza del male portandone alla luce la natura essenzialmente banale: il male non è mostruoso e demoniaco, dietro di esso non c’è nulla. Non v’è alcuna profondità sotto la sua superficie, il male non può essere radicale ma solo estremo, assoluto. Il male è assoluto perché non può essere ricondotto a misura umana; dietro di esso non c’è il logos, non c’è la ratio, non c’è la persona, ma la totale negazione di questa. E il male è compiuto da questi “inconsapevoli volontari”: uomini che rifiutano di pensare, di essere persone. Il male coincide con l’assenza di pensiero, con la negazione dell’essere. Il pensiero è il muto dialogo che l’anima intrattiene con se stessa, ed Eichmann è “l’incarnazione dell’assoluta banalità del male” in quanto privo di pensiero,privo di anima, privo di essere.
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(di vanessa zarastro)
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minnie
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giovedì 21 marzo 2013
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se una pensatrice negli anni sessanta
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Questo film parla di un periodo preciso nella vita di Hannah Arendt, grande filosofa vissuta dal 1906 al 1975, con escursioni nella sua gioventù quando, come tutti sanno o almeno dovrebbero sapere, ella ebbe una relazione con il filosofo Martin Heidegger, suo professore all'università di Heidelberg. Se un difetto ha il film, forse è quello di essere tenero verso il vecchio Heidegger che risulta come un inoffensivo vecchietto che cita Agostino passeggiando fra i boschi mentre fu un attivo sostenitore del nazismo, ma mostrandolo così la regista von Trotta ne fa anche un simbolo: simbolo di quegli intellettuali mitteleuropei che si chiusero in una torre d'avorio (come in Italia Croce) senza contrastare attivamente i totalitarismi.
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Questo film parla di un periodo preciso nella vita di Hannah Arendt, grande filosofa vissuta dal 1906 al 1975, con escursioni nella sua gioventù quando, come tutti sanno o almeno dovrebbero sapere, ella ebbe una relazione con il filosofo Martin Heidegger, suo professore all'università di Heidelberg. Se un difetto ha il film, forse è quello di essere tenero verso il vecchio Heidegger che risulta come un inoffensivo vecchietto che cita Agostino passeggiando fra i boschi mentre fu un attivo sostenitore del nazismo, ma mostrandolo così la regista von Trotta ne fa anche un simbolo: simbolo di quegli intellettuali mitteleuropei che si chiusero in una torre d'avorio (come in Italia Croce) senza contrastare attivamente i totalitarismi. Che hanno avuto luogo perché? Perché la gente comune, il popolo, è abituata ad agire senza pensare; con sprezzo lei, che ha chiesto e ottenuto dal New Yorker, prestigiosa rivista newyorchese, di assistere al processo contro adolf eichmann , spiega in tante pagine che diventeranno un libro, "La banalità del male", che questo criminale nazista, certo condannabile, certo un essere chemeritava di essere pesantemente condannato come fu, non era certo "un mostro" ma un impiegato che riteneva che l'obbedienza, il fare scrupolosamente il suo dovere, attenersi al giuramento fossero cose più importanti di sapere a quale sorte in realtà fossero mandati milioni di ebrei nei campi di sterminio; il male è estremo ma non radicale, avviene più facilmente del bene perché la gente non pensa, eichmann non si faceva domande. Certo questa tesi non spiega il fanatismo di chi uccideva a sangue freddo donne e bambini, anziani e deboli ma nello stesso tempo dà ragione di come si possa facilmente cadere vittima di bieche dittature. "Pas trop de zel" non troppo zelo, diceva De Gaulle, e certo la burocrazia, l'applicazione cieca della legge fa danni ancor oggi...Poi c'è un altro aspetto della questione che la Arendt ha affrontato, e cioè la collaborazione di funzionari ebrei nella fase finale dello sterminio, come risulta dal processo e che sembra dar ragione a ciò che in quegli anni del processo (1960-1964) i giovani israeliani imputavano agli anziani sopravvissuti, sopravvissuti come, chiedevano, solo se si erano sottomessi fino in fondo per sopravvivere...Del resto, i nazisti che scamparono subito alla giustizia, come eichmann, furono aiutati dal Vaticano in quanto assassini ma bravi cattolici, con passaporti falsi per il Sudamerica. Qui la Arendt, pur osservando che si era attenuta a quanto era risultato dal processo stesso, fu sottoposta a una salve di critiche che tuttavia non ne piegarono, almeno apparentemente (visto che morì di un colpo al cuore) la forte tenuta critica: se è accaduto può accadere ancora perché il bieco funzionario, il mero obbediente non pensa, agisce sotto comando, non riflette e non applica il bene alle sue azioni, perché il bene implica il pensiero.Ha avuto ragione Barbara Sukova, nel presentare a Bari martedì 19 marzo il film, insieme con la regista Margarethe von Trotta, che questo film va visto anche due volte per cogliere l'intensità della sceneggiatura. In fondo l'idea che ci siano mostri fra noi è spaventosa ma accettabile; più inquietante pensare che tutti, a seconda delle circostanze, possono diventare mostri, questo per Hannah Arendt non è accettabile e questo ha voluto provare nei suoi libri, partendo proprio dallo studio del processo eichmann. Sukova è straordinaria nel rendere Arendt a cui non somiglia tanto nelle ultime foto diffuse della pensatrice quanto in un francobollo che si può vedere in un francobollo. Del resto Arendt sapeva di cosa parlava: lei stessa era stata in campo di sterminio e ne era venuta fuori miracolosamente; le sue analisi suonano come severo monito e il rigoroso film di Margarethe von Trotta le rende il giusto omaggio. Un film imperdibile, necessario.
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pascale marie
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martedì 28 gennaio 2014
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la nullità del male
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Margarethe Von Trotta ha fatto bene a presentare il film nelle lingue originali che gli danno più enfasi, credibilità e un'intensità maggiore. La bravura degli interpreti è indiscutibile. Hannah Arendt, scrittrice, filosofa e giornalista fugge dalla Germania nazista e con l'amato e devoto marito trova asilo in America, a New York dove è ammirata e rispettata. Ha spesso incontri con amici e stretti collaboratori con cui intavola accese discussioni di principi filosofici, ottenendo quasi sempre l'indiscutibile appoggio del marito. Un criminale nazista, Eichmann, viene estradato in Israele e Hannah parte come inviata del New Yorker per assistere al processo, il marito la esorta a non andare ma lei non può non esserci.
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Margarethe Von Trotta ha fatto bene a presentare il film nelle lingue originali che gli danno più enfasi, credibilità e un'intensità maggiore. La bravura degli interpreti è indiscutibile. Hannah Arendt, scrittrice, filosofa e giornalista fugge dalla Germania nazista e con l'amato e devoto marito trova asilo in America, a New York dove è ammirata e rispettata. Ha spesso incontri con amici e stretti collaboratori con cui intavola accese discussioni di principi filosofici, ottenendo quasi sempre l'indiscutibile appoggio del marito. Un criminale nazista, Eichmann, viene estradato in Israele e Hannah parte come inviata del New Yorker per assistere al processo, il marito la esorta a non andare ma lei non può non esserci. La grandezza della regista è aver introdotto il reale processo, dove Eichmann appare staccato, occhi spenti dietro gli occhiali neri, niente rimorsi o vergogna. Alle domande risponde con una voce secca, quasi infastidito e le sue risposte sono fredde e lucide: " io non ho toccato un ebreo, ho solo eseguito gli ordini che mi hanno dato, ho rispettato le leggi e se me lo ordinavano avrei ucciso anche mio padre ". Hannah, sigaretta dopo sigaretta, scruta, osserva e studia Eichmann. Al rientro a New York, il suo articolo farà scalpore, indignerà i capi e tutta la Comunità Ebraica perchè lei non si scaglia accusando Eichmann, non si indigna per quello cha ha fatto, non si comporta come tutti si aspettano che faccia. Doveva accusare, diventa l'accusata. Riceve lettere da ogni parte, che la sua stretta collaboratrice l'aiuterà a smistare, violente, intimidatorie; la insultano pesantemente, l'accusano di essere dalla parte dei nazisti, di essere fredda, calcolatrice e di non provare sentimenti. La minacciano di morte. Il suo articolo parla, spiega il pensiero umano, spiega la differenza tra il male e il bene. Eichmann con i suoi crimini e le sue terrificanti parole al processo, non è una persona, non esiste, non è nessuno. Il male che aveva fatto, che lui difende come un comportamento normale quasi, di lealtà verso gli ordini ricevuti, lo rende " banale ". E' il bene importante, ciò che più conta. Nel suo articolo invece accusa la Comunità Ebraica e alcuni capi della loro passività che hanno permesso che accadessero tutte quelle atrocità. Accusa anche la Chiesa che ha aiutato Eichmann a salvarsi. Le sue parole, il suo pensiero non sono capiti, ha tanti flashback che la riportano indietro quando seguiva le lezioni del suo mentore e poi amante, che non era contro il nazismo, ma che le ha insegnato il significato del pensiero e a pensare. Si inimica perciò anche gli amici, soprattutto il suo migliore amico dai tempi universitari. Il suo rapporto con il marito, dopo l'infarto, diventa ancora più stretto, complice e tenero. Hannah rimane fedele ai suoi principi, non si scompone nè si abbatte nemmeno quando le proibiscono di non insegnare più, anzi si presenta nell'aula colma e spiega ai suoi studenti, che la capiscono e l'applaudono, in un modo semplice, chiaro, meticoloso ma fermo e deciso, come è lei comunque, le parole del suo articolo enfatizzando l'importanza di non fermarsi soltanto ai fatti trovando solo una conclusione, ma di aprire la mente per poter dare il giusto valore ai propri pensieri. Film straordinario da non perdere.
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angelo umana
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venerdì 7 febbraio 2014
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mediocre burocrazia per la "vernichtung"
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Film fiction ma quasi documentario, a beneficio di chi non sapesse esattamente - come lo scrivente - perché l'ebrea Hannah Arendt fu avversata dai suoi stessi connazionali. Inviata a Gerusalemme dal New Yorker - a New York si era rifugiata con la famiglia e lì era una stimatissima insegnante universitaria e giornalista - a riferire del processo ad Eichmann, si trova davanti un "onesto" esecutore di ordini, si occupava semplicemente, a suo dire, dei trasporti dei deportati, un preciso spedizioniere. Grande merito dello scrupoloso film della Von Trotta è di inserirvi filmati d'epoca del processo, nei quali in b/n si può osservare l'impassibile imputato dalle cui espressioni si nota la convinzione di aver solo fatto il proprio dovere.
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Film fiction ma quasi documentario, a beneficio di chi non sapesse esattamente - come lo scrivente - perché l'ebrea Hannah Arendt fu avversata dai suoi stessi connazionali. Inviata a Gerusalemme dal New Yorker - a New York si era rifugiata con la famiglia e lì era una stimatissima insegnante universitaria e giornalista - a riferire del processo ad Eichmann, si trova davanti un "onesto" esecutore di ordini, si occupava semplicemente, a suo dire, dei trasporti dei deportati, un preciso spedizioniere. Grande merito dello scrupoloso film della Von Trotta è di inserirvi filmati d'epoca del processo, nei quali in b/n si può osservare l'impassibile imputato dalle cui espressioni si nota la convinzione di aver solo fatto il proprio dovere. La Arendt venne a maggior ragione criticata per le sue idee su quel processo perché era stata una giovane studente innamorata del suo professore Heidegger, a Heidelberg prima della guerra.
Non fece che constatare la famosa "banalità del male", vide un mediocre burocrate nel processo, dal quale molti si aspettarono un processo al nazismo piuttosto che a un uomo. Costui non si sentì colpevole ovviamente, come tanti esecutori dell'annientamento nei lager nazisti, perché aveva "ubbidito a ordini" e "agito secondo legge". Secondo la Arendt e a ragione sarebbe stato più coraggioso lasciarlo vivere, in prigione ma vivo, un modo per lui stesso e per chi lo giudicava di osservare il male, condanna peggiore della morte (tema riproposto da J.J. Campanella nel "Segreto dei suoi occhi" del 2009).
Accanto al rigore della regista - rigore presente nell'ambientazione e nella fedeltà agli avvenimenti - c'è la superba interpretazione della sua "musa" Barbara Sukowa, decisa e determinata come la Ulriche Meinhof de "Gli anni di piombo". Il film è attualissimo a tutte le latitudini perché l'umanità è pur sempre incline a "crolli morali" comuni a una massa, abituata ad arte alla "incapacità di pensare", ad una "mancanza di senso" nelle sconcertanti azioni compiute per ordine di qualche condottiero.
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vanessa zarastro
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lunedì 31 marzo 2014
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ragione versus emozione
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È raro parlare di una figura femminile associandola a sostantivi come razionalità, pensiero e intelligenza. Così è descritta la filosofa Hannah Arendt da Margareta Von Trotta. Ebrea di origine, amante (riamata) del suo maestro Martin Heidegger, fuggita in America nel 1940 dopo un breve periodo di reclusione in Francia, Hannah Arendt è una figura femminile che ha diviso - e divide a tutt’oggi - le opinioni delle sinistre, delle comunità ebraiche e delle femministe. Osannata da un lato, demonizzata dall’altro, il film mostra la storia di ciò che ha dato vita al suo testo “La banalità del male” del 1963. Il libro, a sua volta, trae le motivazioni dal reportage che la Arendt svolse per la rivista “New York Times” al processo contro Adolf Eichmann del 1961 a Gerusalemme.
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È raro parlare di una figura femminile associandola a sostantivi come razionalità, pensiero e intelligenza. Così è descritta la filosofa Hannah Arendt da Margareta Von Trotta. Ebrea di origine, amante (riamata) del suo maestro Martin Heidegger, fuggita in America nel 1940 dopo un breve periodo di reclusione in Francia, Hannah Arendt è una figura femminile che ha diviso - e divide a tutt’oggi - le opinioni delle sinistre, delle comunità ebraiche e delle femministe. Osannata da un lato, demonizzata dall’altro, il film mostra la storia di ciò che ha dato vita al suo testo “La banalità del male” del 1963. Il libro, a sua volta, trae le motivazioni dal reportage che la Arendt svolse per la rivista “New York Times” al processo contro Adolf Eichmann del 1961 a Gerusalemme. Fu proprio allora che s’iniziò a parlare di Shoah a livello mondiale (il processo fu seguito dalle televisioni di tutto il mondo) tanto è vero che nello stesso anno Stanley Kramer girò il film “Vincitori e Vinti” sul processo di Norimberga avvenuto nel 1946/47. La frantumazione delle responsabilità con la conseguente rinuncia a essere persone “pensanti” ma solo esecutori di ordini altri avvenute durante il regime nazista è proprio l’orrore maggiore che Hannah Arendt rileva. Stupisce il pubblico oggi – come stupì allora – che una donna, e per di più ebrea, potesse non farsi coinvolgere emotivamente in un processo mediatico per un fatto così funesto, e trarne invece una speculazione filosofica. Hanna si chiedeva come potesse essere che un omuncolo così piccolo possa provocare un male così grande; ed è proprio la mediocrità della persona Eichmann che la porta a teorizzare “la banalità del male”. Ma in fondo non era anche Hitler un omuncolo? Ottimo il lavoro coraggioso di Von Trotta, brava anche nella scelta di usare materiale d’archivio per il processo.
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[+] omuncolo
(di angelo umana)
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giank51
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giovedì 28 agosto 2014
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l'allieva di heidegger tenta di emulare il maestro
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Tutto il gran dibattito che l'opera della Arendt ha suscitato ruota attorno ad un'idea base che nel film ritorna come un "leitmotiv": tutto il male che è stato commesso da Eichmann e dagli altri gerarchi nazisti è conseguenza di un assenza di pensiero, una sorta di "Denken-los" generalizzato che banalizza l'operare dell'uomo. Su questa base la Arendt ritiene nello stesso tempo di non giustificare tuttavia i crimini delle SS. A parte tale evidente contraddizione come si può sostenere che alla base dei crimini nazisti vi sia stata un assenza di pensiero?
Eichmann e gli altri non erano per nulla privi di pensiero così da non accorgersi di quello che facevano.
Innanzi tutto parliamo di classe dirigente tedesca che all'epoca aveva un importante educazione religiosa: cattolica o luterana che fosse.
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Tutto il gran dibattito che l'opera della Arendt ha suscitato ruota attorno ad un'idea base che nel film ritorna come un "leitmotiv": tutto il male che è stato commesso da Eichmann e dagli altri gerarchi nazisti è conseguenza di un assenza di pensiero, una sorta di "Denken-los" generalizzato che banalizza l'operare dell'uomo. Su questa base la Arendt ritiene nello stesso tempo di non giustificare tuttavia i crimini delle SS. A parte tale evidente contraddizione come si può sostenere che alla base dei crimini nazisti vi sia stata un assenza di pensiero?
Eichmann e gli altri non erano per nulla privi di pensiero così da non accorgersi di quello che facevano.
Innanzi tutto parliamo di classe dirigente tedesca che all'epoca aveva un importante educazione religiosa: cattolica o luterana che fosse. Dubito pertanto che questa gente non avesse ben chiaro il concetto di male e di peccato.
Perchè allora non si sono in qualche modo opposti all'andazzo generale? La risposta che viene presentata nel film è che "eseguivano gli ordini supinamente". Ma allora ci si chiede: è l'assenza di pensiero o il noto appiattimento germanico all'autorità la causa dell'olocausto? Per questo secondo aspetto non avevamo bisogno della Arendt. F.Nietzsche per anni ha tuonato contro la mentalità gregaria dei tedeschi (evito le citazioni dei testi), anche R. Wagner (solo negli anni giovanili) odiava i tedeschi per il loro conformismo.
Resta solo una possibilità: che i nazisti non pensavano in quanto cerebrolesi; ipotesi ovviamente assurda.
Ne consegue banalmemte che erano tutti d'accordo nel fare piazza pulita degli ebrei (con buona pace di H. Arendt).
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[+] a proposito di hanna arendt
(di mareble)
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marcobrenni
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venerdì 30 gennaio 2015
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hannah arendt filosofa atipica
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Il film ha perlomeno il merito di fare conoscere questa donna, intellettuale certamente erudita, ma dai tratti molto ambigui, esattamente come il suo grande maestro e mentore Martin Heidegger che fu un grande ambiguo pure lui, tanto che divenne nazista contraddicendo tutto quanto aveva scritto ed insegnato. Egli cantò in pubblico pure con grande entusiasmo l'inno nazista , il famigerato "Horst Wessel Lied"! Non c'è alcun dubbio che Heidegger aderì al nazismo sia per convenienza, sia per sincera convinzione che solo molto più tardi abbandonò, senza però mai fare un "Coming-Out" sincero. Nemmeno convince la Arendt nella sua dichiarata "innocenza" verso Heidegger. Secondo U. Galimberti (ma non solo) , la Arendt sfruttò abilmente Heidegger soprattutto per farsi strada, facendo poi credere di essersene allontana alquanto "delusa".
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Il film ha perlomeno il merito di fare conoscere questa donna, intellettuale certamente erudita, ma dai tratti molto ambigui, esattamente come il suo grande maestro e mentore Martin Heidegger che fu un grande ambiguo pure lui, tanto che divenne nazista contraddicendo tutto quanto aveva scritto ed insegnato. Egli cantò in pubblico pure con grande entusiasmo l'inno nazista , il famigerato "Horst Wessel Lied"! Non c'è alcun dubbio che Heidegger aderì al nazismo sia per convenienza, sia per sincera convinzione che solo molto più tardi abbandonò, senza però mai fare un "Coming-Out" sincero. Nemmeno convince la Arendt nella sua dichiarata "innocenza" verso Heidegger. Secondo U. Galimberti (ma non solo) , la Arendt sfruttò abilmente Heidegger soprattutto per farsi strada, facendo poi credere di essersene allontana alquanto "delusa". Ma perché allora riallacciò amichevoli rapporti con lui, addirittura ad anni di distanza dalla fine della seconda guerra ?! O si è veramente delusi di una persona, o non lo si è: non si può essere ambigui fin a tal punto ! La Arendt, sempre secondo Galimberti, sfruttò abilmente pure il suo secondo compagno, lo scomodo filosofo "alternativo" Günther Anders, da cui copiò molte idee, facendole poi passare per proprie. A me pare quindi che il film, anche se formalmente ben fatto, pecchi di manifesto sbilanciamento ( sola ingenuità?) a favore dell' "eroina" Arendt, senza rilevarne le manifeste ambiguità, a volte persino ciniche ed arroganti (che pure sono note agli addetti ai lavori). Oggi viene osannata da tutti come la grande pensatrice ("filosofa") della "Banalità del Male" : Ci sarebbe invece da discutere proprio su questa sua conclusione troppo semplicistica-riduttiva. È facile e superficiale affermare che tutto sarebbe stato solo il frutto di un enorme, banale apparato burocratico, e perciò Eichmann solo un mediocre funzionario (tipicamente tedesco) ubbidiente come un cane fedele al suo grande padrone: GLOBKE (!) il vero organizzatore, responsabile principale dei Lager nazisti, che però se la svignò SOLO IN VIA DIPLOMATICA essendo allora addirittura il segretario personale di Adenauer in carica (fu quindi stipulato un accordo segreto con Israele, dietro un plurimilionario compenso in Marchi tedeschi). Così il principale responsabile GLOBKE (pure ex capo dell'azione cattolica tedesca!)finì allegramente i suoi giorni in Sudamerica dopo aver tranquillamente guadagnato la pensione statale tedesca. Un personaggio di tale peso mai viene nemmeno menzionato nel film (se non credete,indagate allora sul suo passato, magari anche solo su Wikipedia). Sono inoltre convinto (al contrario della Arendt) , che Eichmann provasse certamente del piacere in quel che faceva, come del resto anche gli altri gerarchi nazisti, tutti quanti profondamente anti-ebraici. Del resto, anti-ebraica lo fu anche la stragrande maggioranza del popolo tedesco, e già dai tempi di Lutero. Il film, fatte queste importantissime riserve, può perciò superare solo la sufficienza, mancando del tutto un'analisi critica - disincantata sul vero personaggio "Hannah Arendt" (oggi sin troppo mitizzato....).
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rampante
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mercoledì 4 marzo 2015
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una donna
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Il film ha il merito di far conoscere la filosofa ebreo-tedesca Hannah Arendt, intellettuale dai tratti molto ambigui, che nel 1940 fugge con il marito e la madre dalla Germania e si trasferisce negli Stati Uniti.
Nel 1961 si reca a Gerusalemme per seguire, per conto del New Yorker, il processo al funzionario nazista Adolf Eichmann, qui rimane sorpresa quando, pensando di trovare un mostro, vede solamente un mediocre funzionario ubbidiente come un cane fedele al suo padrone e si rifiuta di credere che Eichmann, pur profondamente anti-ebraico, provasse piacere in quello che faceva, tutto sarebbe stato solo il frutto di un enorme, banale apparato burocratico
Hannah Arendt, il vero personaggio, è una donna coraggiosa, coerente e controversa
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Il film ha il merito di far conoscere la filosofa ebreo-tedesca Hannah Arendt, intellettuale dai tratti molto ambigui, che nel 1940 fugge con il marito e la madre dalla Germania e si trasferisce negli Stati Uniti.
Nel 1961 si reca a Gerusalemme per seguire, per conto del New Yorker, il processo al funzionario nazista Adolf Eichmann, qui rimane sorpresa quando, pensando di trovare un mostro, vede solamente un mediocre funzionario ubbidiente come un cane fedele al suo padrone e si rifiuta di credere che Eichmann, pur profondamente anti-ebraico, provasse piacere in quello che faceva, tutto sarebbe stato solo il frutto di un enorme, banale apparato burocratico
Hannah Arendt, il vero personaggio, è una donna coraggiosa, coerente e controversa che rivendica ostinata la libertà di pensiero e tutto il gran dibattito che la sua opera "Banalità del Male" suscita ruota intorno ad un'idea base, tutto il male che è stato commesso da Eichmann e dagli altri gerarchi nazisti è conseguenza di un assenza di pensiero
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