fabrizio dividi
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lunedì 5 novembre 2012
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sulle metastasi del sistema
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Il cinema di Mungiu colpisce per la sua potenza espressiva fatta di inquadrature lunghe e ipnotiche e da una recitazione realistica dominata da dialoghi che diventano parossistici contraddittori. Dopo l'asciutto "4 mesi, 3 settimane e 2 giorni" e il sarcastico "Racconti dell'età dell'oro" il suo ultimo lavoro premiato a Cannes come migliore sceneggiatura e migliori attrici, compie un passo verso un cinema più spiccatamente europeo, meno intriso di gusto localistico e più incline a prerogative autoriali di grande respiro.
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Il cinema di Mungiu colpisce per la sua potenza espressiva fatta di inquadrature lunghe e ipnotiche e da una recitazione realistica dominata da dialoghi che diventano parossistici contraddittori. Dopo l'asciutto "4 mesi, 3 settimane e 2 giorni" e il sarcastico "Racconti dell'età dell'oro" il suo ultimo lavoro premiato a Cannes come migliore sceneggiatura e migliori attrici, compie un passo verso un cinema più spiccatamente europeo, meno intriso di gusto localistico e più incline a prerogative autoriali di grande respiro.
Una comunità ortodossa femminile guidata da un austero sacerdote ospita una laica, amica (vecchia compagna di orfanotrofio) di una delle monache del monastero. Le dinamiche tra le due e verso l'esterno sono distruttive e porteranno alla dissoluzione di un microcosmo votato, per sua natura, al rifiuto del mondo esterno ma che da questo mondo non ha nulla da imparare in materia di etica. È proprio questa la tesi, coraggiosa, onesta intellettualmente dobbiamo riconoscerlo, che supera la facile critica ad una struttura religiosa di stampo medievale e fondamentalmente priva di alcun senso sociale, con la sua totale chiusura alla modernità, le sue regole, i suoi metodi che puzzano di superstizioni e soprusi; la supera, dicevamo, facendoci intravedere la devastante realtà esterna, le istituzioni di uno Stato che si suppone laico e moderno per capirci, e nella fattispecie ospedali, questura e orfanotrofio, ma che in realtà non è in grado di sopperire alle carenze culturali e alle istanze sociali del Paese.
Nella clinica i malati vengono legati, dormono in due in un letto, in stanze simili alle celle del monastero, con le stesse icone alle pareti e gli stessi riti, più psico-magici (per dirla come Jodorowskj) che scientifici. Il medico è uno stregone che chiede preghiere in cambio di una ricetta e che pone domande intrise di inutile burocrazia. In questura, analogamente, l'automatica successione di domande si mescola a discorsi di superstizione che poco hanno anche fare con la auspicabile professionalità di un servitore dello Stato. Nell'orfanotrofio si perpetrano stupri, abusi di ogni genere e le poche adozioni sembrano piuttosto assunzioni di aiutanti domestiche che investimenti affettivi. E lo stesso monastero mescola il sacro (il misticismo, la preghiera, l'espiazione) al profano, simboleggiato dall'applicazione burocratica di regole (i 33 inchini alla madonna citano il numero che di solito è prerogativa dei medici), questionari (stimola il sorriso la geniale e ironica descrizione dei 400 peccati e più da spuntare dall'apposito quadernetto in una surreale ricostruzione di stampo almodovariano) e da esorcismi maldestri che rimandano ai periodi più oscuri del mondo occidentale.
Una chiesa intrisa di burocrazia e uno Stato pervaso da perniciosa religiosità: ecco le commistioni mortifere di una società allo sfascio che Mungiu riesce a descrivere con equilibrio e sagacia. Un film colto che si presta a letture complesse ma mai intellettualistiche, che non annoia e che colpisce per la sua lucida visione del mondo, anche se cinica e desolante. Fabrizio Dividi
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florest
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sabato 6 aprile 2013
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lo sguardo di voichita
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Ci si sente subito trapiantati in un credibile medioevo contemporaneo. Un medioevo senza colpevoli, con l'eccezione dell'ignoranza e dell'indifferenza, tenaci fili guida sia nel microcosmo del convento che nel contesto sociale esterno, quello 'normale'. Nessun colpevole ma tante vittime: quelle di una fede figlia soprattutto dell'ignoranza e della paura, le vittime dello stato (l'orfanotrofio dove avvengono abusi), le vittime delle famiglie, che abbandonano i figli nel nulla o li adottano con lo scopo di prenderli 'a servizio', le vittime di un sistema sanitario inefficiente e indifferente.
Il convento è un universo ristretto, fondato su un proprio codice, permeato in parte da ignoranza, che ha deciso di autopreservarsi attraverso la chiusura pressochè completa all'esterno ma il film non manca di ricordare quanto l'inutile e sterile estremismo del convento è solo una delle tante rappresentazioni dell'ignoranza che permeano la società.
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Ci si sente subito trapiantati in un credibile medioevo contemporaneo. Un medioevo senza colpevoli, con l'eccezione dell'ignoranza e dell'indifferenza, tenaci fili guida sia nel microcosmo del convento che nel contesto sociale esterno, quello 'normale'. Nessun colpevole ma tante vittime: quelle di una fede figlia soprattutto dell'ignoranza e della paura, le vittime dello stato (l'orfanotrofio dove avvengono abusi), le vittime delle famiglie, che abbandonano i figli nel nulla o li adottano con lo scopo di prenderli 'a servizio', le vittime di un sistema sanitario inefficiente e indifferente.
Il convento è un universo ristretto, fondato su un proprio codice, permeato in parte da ignoranza, che ha deciso di autopreservarsi attraverso la chiusura pressochè completa all'esterno ma il film non manca di ricordare quanto l'inutile e sterile estremismo del convento è solo una delle tante rappresentazioni dell'ignoranza che permeano la società. E' in questo terreno che le vittime diventano, in tutti i contesti descritti, quotidiani carnefici inconsapevoli. E questo è un messaggio chiaro, una gelida critica che Cristian Mungiu muove al proprio paese, alla sua arretratezza e immobilità. Ma non c'è salvezza nemmeno nel laico occidente, da cui Alina decide di ritornare. Secondo Alina, pare non sia il 'Dove', ma il 'Chi' l'elemento da perseguire per ricercare la salvezza. E il Chi, per Alina, è Voichita, l'amica che ha scelto di rimanere, che ha nominato mamma e papà due improbabili figure, circondandosi di un piccolo universo apparentemente prevedibile costruito su regole ben definite. Il regista ha deciso di non connotare il tipo di amore che lega le due ragazze. Ma non è importante. Quello che conta è l'amore in se, quello assoluto e non etichettabile in qualche categoria di rapporti umani, quello di cui ognuno ha bisogno per diventare una persona anziché un surrogato dell'essere. Con la sua irrazionalità ma anche la sua forza, in grado di piegare l'ignoranza e la paura. Ed è proprio questo il tema cruciale del film. Alina, la ragazza diversa, arriva per portare un messaggio d'amore come un Gesù Cristo contemporaneo, anche se molto diverso, e per molti aspetti opposto a quello dell'immaginario: femmina, senza doti oratorie, senza miracoli (anzi che critica aspramente la presunta icona miracolosa). Una ragazza che ha compiuto gran parte dei peccati codificati nel tabellario e che si è interrogata senza risposta sul perchè il Dio in cui al tutti credono, se esiste, permette che il mondo sia così ostile. In altre parole Alina trasporta, col suo messaggio d'amore, la volontà di sollevare una critica verso l'ignoranza, e anche lo scetticismo verso la reale possibilità dell'esistenza di un amore superiore a quello terreno. Come Gesù, Alina passa attraverso l'indifferenza del medico (Ponzio Pilato) che la dimette mettendone il destino nelle mani del convento la cui collina costituirà il suo calvario e dove finirà per morire, sacrificata e legata ad una croce. Ma il suo sacrificio non sarà avvenuto invano. Voichita, infatti, ha capito, anche se l'acquisizione della consapevolezza è dovuta passare attraverso una tragedia. Il regista non lo mostra apertamente ma con delicatezza, nelle ultime scene del film. Lo sguardo di Voichita è cambiato. La morte di Alina l'ha salvata. Avvenuta questa metamorfosi, è pronta a far condannare chi l'ha condannata e andarsene, per sempre. Oltre le colline.
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renato volpone
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sabato 3 novembre 2012
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oltre il nostro modo di pensare
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Oltrepassi le colline e ti trovi in un altro mondo, lasci dietro la città, le moderne comodità e ti ritrovi in un convento dove la vita è quella di secoli fa, niente luce elettrica, l’acqua viene raccolta dal pozzo, tanta fede e tanta superstizione. Voichita e Alina sono cresciute insieme in orfanotrofio, poi hanno scelto strade diverse, l’una all’estero a lavorare, l’altra nel convento. Alina torna per portare via con sé l’amica del cuore, un sentimento unico, forte, quasi morboso le lega, ma non ci riesce perché Voichita ormai ha donato l’anima a Dio e la sua cella è un rifugio contro i mali del mondo. Alina si ribella, si scontra con il Padre e la Madre della convivenza monastica, si fa odiare dalle altre suore, fino a diventare isterica e in preda a crisi convulsive.
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Oltrepassi le colline e ti trovi in un altro mondo, lasci dietro la città, le moderne comodità e ti ritrovi in un convento dove la vita è quella di secoli fa, niente luce elettrica, l’acqua viene raccolta dal pozzo, tanta fede e tanta superstizione. Voichita e Alina sono cresciute insieme in orfanotrofio, poi hanno scelto strade diverse, l’una all’estero a lavorare, l’altra nel convento. Alina torna per portare via con sé l’amica del cuore, un sentimento unico, forte, quasi morboso le lega, ma non ci riesce perché Voichita ormai ha donato l’anima a Dio e la sua cella è un rifugio contro i mali del mondo. Alina si ribella, si scontra con il Padre e la Madre della convivenza monastica, si fa odiare dalle altre suore, fino a diventare isterica e in preda a crisi convulsive. Una Romania vecchia, forse troppo rispetto ai nostri tempi, l’accoglie in un ospedale che crede più alla possessione demoniaca che a stati d’ansia emotivi, la famiglia adottiva dopo averne tratto ciò che poteva guadagnarne la rigetta. Alina è costretta in questa “guerra di poveri” a tornare nel convento, unico luogo ad aprirle ancora le porte, ma la spirale di ingenuità e arretratezza porterà ad un triste epilogo. E’ una storia molto lontana da noi, ma se ci guardiamo intorno la possiamo intravedere in ogni angolo di via, in ogni volto, in ogni atteggiamento di distacco e rifiuto. La povertà impera ancora e la società non fa nulla per costruire un sapere condiviso. Il film è molto lungo e lento, lento come il progresso che stenta a raggiungere traguardi nel futuro, lento come la religione che non riesce a stare al passo con i tempi, lento come la pigrizia di non andare oltre la collina per non incontrare difficoltà. E’ un grido doloroso, che ti entra dentro, un dolore che fa bene a chi si ostina a trattenere antichi retaggi nonostante tutto.
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venerdì 9 novembre 2012
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ghiaccio torbido
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I 155 minuti del film, trascorrono in un’atmosfera glaciale e come ambiente e come stato d’animo. Sacro e profano si fondano in un torbido che si annuncia già all’inizio, ma che rimane secondario e lieve rispetto alla più profonda tematica sulla quale si regge il film.
La fede come alternativa possibile ad una vita senza calore umano, è sottoposto qui a tutte le pieghe amare delle bassezze umane di chi frustrato, deluso, abbandonato dalla civiltà contemporanea come modalità di confronti autocritici, crede nella sofferenza come resurrezione e credito per il futuro nel bene. Non c’è nulla nella scenografia che dia un barlume di speranza, in un cambiamento dell’esistenza del momento: non un colore vivace, ne un’espressione sorridente nei volti, ne una frase allegra nel copione, o un gesto o un avvenimento.
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I 155 minuti del film, trascorrono in un’atmosfera glaciale e come ambiente e come stato d’animo. Sacro e profano si fondano in un torbido che si annuncia già all’inizio, ma che rimane secondario e lieve rispetto alla più profonda tematica sulla quale si regge il film.
La fede come alternativa possibile ad una vita senza calore umano, è sottoposto qui a tutte le pieghe amare delle bassezze umane di chi frustrato, deluso, abbandonato dalla civiltà contemporanea come modalità di confronti autocritici, crede nella sofferenza come resurrezione e credito per il futuro nel bene. Non c’è nulla nella scenografia che dia un barlume di speranza, in un cambiamento dell’esistenza del momento: non un colore vivace, ne un’espressione sorridente nei volti, ne una frase allegra nel copione, o un gesto o un avvenimento. L’ottusità caparbia di salvare l’unica cosa bella della vita, è affidata ad una ragazza dai lineamenti smussati, smorti, ma forse proprio questa sua ottusità di lineamenti e di comportamenti, è la forza che non le fa mai desistere dal cercare di ottenere la ricostruzione di un rapporto che dia il senso alla vita.
Se Voichita è ottusamente persistente e pronta a qualsiasi compromesso per ottenere quanto ricerca, così Alina, ormai già inserita nel contesto del monastero, persegue ottusamente il suo percorso altalenante tra dovere monasteriale e il non agire deciso in modo da spingere al suo destino allontanando l’amica Voichita. Anche Alina è ottusa e per questo ha scelto il rifugio del monastero, non ha coraggio, si nasconde dietro ad una scelta pur intuendo che non può abbracciarla totalmente. E’ questo il torbido ghiaccio che regge il film: l’ineluttabilità del suo procedere nonostante li dubbi che tutte le adepte hanno. Solo il “padre”, l’unico uomo alla guida del monastero, alla fine rivelerà più che cattiveria o maniacale ideologia religiosa, rivelerà ingenuità, vera o fasulla per l’occasione, non è dato da sapere anche se il guizzo della scena finale – dopo un tempo di attesa che mal coincide con i precedenti ritmi - è molto indicativo per la sua secca repentinità concettualità. Film intenso e non facile e magistrali interpreti le due ragazze. Le scenografie mantenute sui toni del nero e bianco, richiamano a volte la pittura naif per la composizione immersa sia nel paesaggio che negli interni; molto studiata la fotografia che spesso si distingue in due ordini le scene: in alcune contrappone ad uno sfondo sovraesposto - che annulla i particolari, lo sguardo che vada oltre - le figure già nere con i soggetti che appaiono ancor di più macchie nere senza forma mentre il viso che ne emerge è galleggiante su di un mare cupo, in altre accade viceversa: lo sfondo è predominate e viene cancellata la figura principale che rimane sì una macchia nera piatta e informe ma spesso perchè ripresa di schiena. Molto innovativo l'immettere l'affetto lesbico come imput, pretesto per la vera tematica che è poi quella di una fede, del suo essere motivo di pace o di drammi ancora esistenti in luoghi poco distanti dagli avvenimenti contemporanei in luoghi del mondo non del tutto isolati.
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luanaa
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martedì 29 gennaio 2013
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la religione come negazione della vita
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La visione di questo film ha richiamato alla mia mente due altri film diversissimi nei contesti e negli sviluppi ma dove ugualmente esiste una vittima sacrificale perchè in preda a un forte bisogno di un amore "terreno" investito di forti cariche spirituali e dove questo amore è fortemente ostacolato da un ambiente culturale. Le due pellicole sono "L'altra metà dell'amore" e "Le onde del destino".Nel primo nellegame tra due giovani fanciulle perderà chi ama di più e che meno ha da perdere. Nel secondo la proiezione spirituale e simbiotica su un altro essere umano si scontrerà con l'astratta ottusità religiosa organizzata in una solida comunità ortodossa.Anche in questi due film le protagoniste sono tacciate come anormali in quanto isolate e incapaci di entrare nelle regole vigenti.
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La visione di questo film ha richiamato alla mia mente due altri film diversissimi nei contesti e negli sviluppi ma dove ugualmente esiste una vittima sacrificale perchè in preda a un forte bisogno di un amore "terreno" investito di forti cariche spirituali e dove questo amore è fortemente ostacolato da un ambiente culturale. Le due pellicole sono "L'altra metà dell'amore" e "Le onde del destino".Nel primo nellegame tra due giovani fanciulle perderà chi ama di più e che meno ha da perdere. Nel secondo la proiezione spirituale e simbiotica su un altro essere umano si scontrerà con l'astratta ottusità religiosa organizzata in una solida comunità ortodossa.Anche in questi due film le protagoniste sono tacciate come anormali in quanto isolate e incapaci di entrare nelle regole vigenti.
La debolezza del film di Mungiu, "Oltre le colline" sta a mio parere nella premessa. Non si riesce proprio a comprendere cosa impedisca a Voichita di partire con l'amica intima, tra l'altro per intraprendere un lavoro già stabilito.E si continua a non capire che tipo di affetto provi Voichita verso Alina se non quello di pietà estrema che si esplica soprattutto nel finale. Ma mi pare proprio il minimo.Forse il vero "peccato" di Alina come pure quello delle altre protagoniste dei film da me citati sta nel cercare un amore unico e totalizzante ( va detto per correttezza che nelle "onde del destino" il bisogno trova una complementarietà dall'altra parte ovvero nel marito).
Perchè sono proprio gli assolutismi ad essere discussi nel film che ha d'altro canto una sua forza nell'illustrarne le estreme perversioni che, aggiungo, farebbero ammattire una persona davvero sana ( ma il concetto di sanità diventa il concetto di che cosa e che cosa "non funziona" in un contesto).Ma non solo di questo il film parla. Guardandolo respiriamo un'aria di estrema povertà e miseria materiale; culturale e morale.Ecco allora che il Monastero, come l'Orfanotrofio come l'Ospedale e come le famiglie adottive presso le quali si paga una sorta di affitto fungono da Istituzioni e/o Famiglie allargate a cui SI REGALA L'ANIMA E IL CORPO in cambio di accoglimento e sostentamento. E la disfunzionalità estrema della Famiglia Religiosa viene indagata fino alle estreme conseguenze che comporta. E'chiaro che in questo contesto l'anelito di libertà di Alina verrà schiacciato perche' la sua comprensione comporterebbe il mettere in discussione ciò che non si è in grado e che non si sente il bisogno di fare. La paura della vita è più forte della vita stessa. E' la paura e l'indecisione di Voichita che farà morire Alina nell'impazzimento del dolore.Un film complesso.Molto triste nella sua tragicità.
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pepito1948
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lunedì 19 novembre 2012
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le contraddizioni della realtà rumena
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Casupole di legno, pozzi, strade di fango, lanterne ad olio. Una comunità senza tempo, di mille o 500 anni fa, quando le emanazioni della Chiesa dettavano legge in ambito religioso come in quello civile, in cui il sacro regolamentava anche il profano, il potere era concentrato nel capogruppo, monarca assoluto che dirigeva la baracca come incontestabile intermediario tra Dio e uomini. Invece no, Mungiu ci parla di un monastero di oggi, che si erge oltre le colline di una città europea dei giorni nostri, da cui dista poche decine di km ma sembra far parte della sua storia remota. Unica irruzione di modernità una macchina rossa, che tiene i contatti con l’altro mondo per esigenze pratiche, ed un’ambulanza per i casi di ineludibile necessità.
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Casupole di legno, pozzi, strade di fango, lanterne ad olio. Una comunità senza tempo, di mille o 500 anni fa, quando le emanazioni della Chiesa dettavano legge in ambito religioso come in quello civile, in cui il sacro regolamentava anche il profano, il potere era concentrato nel capogruppo, monarca assoluto che dirigeva la baracca come incontestabile intermediario tra Dio e uomini. Invece no, Mungiu ci parla di un monastero di oggi, che si erge oltre le colline di una città europea dei giorni nostri, da cui dista poche decine di km ma sembra far parte della sua storia remota. Unica irruzione di modernità una macchina rossa, che tiene i contatti con l’altro mondo per esigenze pratiche, ed un’ambulanza per i casi di ineludibile necessità. In questo contesto avulso da ogni progresso, in cui la totale condiscendenza è ritenuta indispensabile per lo sviluppo della comunità che si identifica con il suo capo, ogni attività è scandita dai riti religiosi, le preghiere, i continui richiami a Dio, fonte ispiratrice e pangiustificativa del verbo infallibile del suo vicario barbuto. Ma un giorno arriva e si insinua un corpo estraneo, seme di discordia, potenzialmente contagioso e quindi periglioso per l’armonia della comunità: una ragazza non catechizzata vuole portare via una di loro, cui è da sempre legata da un amore travolgente. La reazione non si fa attendere: dalla maschera di buonismo ed ipocrisia prorompe l’impulso ad estirpare il male, cioè Satana in persona, a qualsiasi costo, compreso una atto estremo come estremo è il pericolo, che risulterà fatale alla vittima così come al suo carnefice. Questa in sintesi la linea narrativa di un’opera di ampio respiro, fortemente simbolica ed a valenza universale, che fa del suo autore un regista occidentale a tutti gli effetti, sia pure lontano da certa convenzionalità. E’ una parabola del potere, della sua chiusura ad ogni trasformazione evolutiva, ad ogni apporto di diversità e di progresso, che identifica il suo maggior nemico nel diffondersi dall’interno del dissenso, entità diabolica la cui capacità di erosione non ha confronti e merita per autodifesa un’aggressione di pari effetto distruttivo. Ogni riferimento a situazioni o fenomeni attuali non è affatto casuale: è chiara l’allusione alla odierna realtà rumena, alle sua contraddizioni irrisolte tra modernità e retaggi atavici, così come ad un potere ancora restio ad adeguarsi agli standard più avanzati del modello democratico europeo, cui la Romania pure tende a conformarsi. Per rendere tutto questo Mungiu ci racconta con apparente distacco la sua storia lasciando trasparire lentamente la violenza che serpeggia sottotraccia, astenendosi da ogni giudizio fino alla scena finale (che ricorda la scena delle rane di Magnolia), portandoci passo dopo passo da un’iniziale indulgenza al disgusto verso un modello sociale e ideologico che nella realtà del mondo globale è tutt’altro che scomparso. “Questo inverno non passa mai”; “Prima o poi finirà” dice qualcuno. Ma il fango sembra distruggere ogni speranza di rinnovamento. Splendido il cast, con attrici che sembrano parlare con la loro fisionomia prima ancora che con i movimenti recitativi, splendida la fotografia, fredda e monotona quanto basta per mettere in risalto un mondo cupo e ottuso, splendida la regia, senza smagliature ed attenta a non rompere mai il ritmo inesorabile delle crescenti emozioni della sala. Superbo.
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filippo catani
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martedì 21 gennaio 2014
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una storia struggente
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Due ragazze vivono per lungo tempo in orfanotrofio. Al momento di uscire, una si reca in Germania a cercare lavoro mentre l'altra decide di entrare in un convento ortodosso. Di ritorno dalla Germania, la giovane decide di andare a trovare l'altra ragazza per convincerla ad andare a lavorare con lei.
Un film cupo e doloroso quello che ci regala il regista Mungiu già autore dello struggente 4 mesi 3 settimane e 2 giorni. La storia è quella di due amiche che hanno condiviso una terribile infanzia in un orfanotrofio dell'Europa dell'Est e tra le quali è nato anche un sentimento d'amore. Voichita però è ormai entrata a fare parte della rigida congregazione ortodossa e ne segue ciecamente i precetti mentre Alina non riesce a fare a meno della sua compagnia.
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Due ragazze vivono per lungo tempo in orfanotrofio. Al momento di uscire, una si reca in Germania a cercare lavoro mentre l'altra decide di entrare in un convento ortodosso. Di ritorno dalla Germania, la giovane decide di andare a trovare l'altra ragazza per convincerla ad andare a lavorare con lei.
Un film cupo e doloroso quello che ci regala il regista Mungiu già autore dello struggente 4 mesi 3 settimane e 2 giorni. La storia è quella di due amiche che hanno condiviso una terribile infanzia in un orfanotrofio dell'Europa dell'Est e tra le quali è nato anche un sentimento d'amore. Voichita però è ormai entrata a fare parte della rigida congregazione ortodossa e ne segue ciecamente i precetti mentre Alina non riesce a fare a meno della sua compagnia. Il dramma si consuma all'interno del convento quando Alina riceve il rifiuto non solo di dormire insieme alla compagna ma anche quello di trasferirsi in Germania e ha una crisi isterica. Dopo le prime cure in ospedale, i religiosi decidono di curare la ragazza con un esorcismo perchè evidentemente posseduta dal demonio. Insomma la storia è davvero terribile e ci parla di un amore impossibile che invece dovrebbe essere compreso, promosso e tollerato specialmente sapendo la durissima realtà da cui provengono le ragazze. Purtroppo vuoi l'arretratezza vuoi il fanatismo fanno propendere per una decisione scellerata che avrà conseguenze devastanti ed è doloroso vedere come i religiosi fossero convinti di non aver fatto nulla di male ma anzi di aver cercato di aiutare. Davvero meritato il premio a Cannes per le protagoniste di questo struggente dramma.
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francesco2
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domenica 20 aprile 2014
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un mungiu ambizioso, che però gira a vuoto
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Dopo "4 mesi"......., Mungiu cambia obiettivo, o forse no. C'è ancora l'amore al centro della scena, ed in fondoanche lì veniva declinato sotto varie forme (L'amicizia, il rapporto di una madre con qualcosa o qualcunoc he porti in grembo, persino quello del padre per le tradizioni). Ed alla fine le affinità non finiscono qui: anche stavolta il regista rumeno si ispira ad un fatto di cronaca.
Con una differenza, però, probabilmente non da poco: perché qui è come se puntasse a suggerire. Qual'è il vero legame tra le due giovani? Il "papà" è davvero in buona fede? E poi, a parte l'intensità dei sentimenti di Voichita (Quale è più forte, quello per Dio o quello per l'amica?), DI COSA SOFFRE Alina?
C'erano tutti gli elementi, allora, per un'opera intrisa di rigore spirituale e/o religioso, che guardasse a Kieszlowski o a Bergman.
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Dopo "4 mesi"......., Mungiu cambia obiettivo, o forse no. C'è ancora l'amore al centro della scena, ed in fondoanche lì veniva declinato sotto varie forme (L'amicizia, il rapporto di una madre con qualcosa o qualcunoc he porti in grembo, persino quello del padre per le tradizioni). Ed alla fine le affinità non finiscono qui: anche stavolta il regista rumeno si ispira ad un fatto di cronaca.
Con una differenza, però, probabilmente non da poco: perché qui è come se puntasse a suggerire. Qual'è il vero legame tra le due giovani? Il "papà" è davvero in buona fede? E poi, a parte l'intensità dei sentimenti di Voichita (Quale è più forte, quello per Dio o quello per l'amica?), DI COSA SOFFRE Alina?
C'erano tutti gli elementi, allora, per un'opera intrisa di rigore spirituale e/o religioso, che guardasse a Kieszlowski o a Bergman. Ma i guai, invece, cominciano proprio qui.
Costruire un film che insinuasse dubbi e dinterrogativi, infatti, avrebbe comportato dei personaggi che non appartengano a tipologie definite: Alina, infatti, rappresenta la rabbia, la mancanza di sottomissione, forse persino l'immanenza, come l'amica la trascendenza e la sottomissione. Né Mungiu appare uno Zonca o Kechif, che costruisce rapporti intensi al femminile anche ove i personaggi non appaiano credibilissimi. Alle due ragazze si contrappone il prete: se è vero che l'atteggiamento di Voichita non si sbilancia a favore dell'altra ragazza, forse perché l'uomo rappresenta Dio, e non assistiamo ad una contrapposizione così schematica (L'uomo meno giovane daunaparte, le due ragazze dall'altra), la prevedibilità quasi totale dei suoi comportamenti allontana sempre di più questo film da opere come "Lourdes" o persino "Uomini di Dio" di Beauvois.
In quest'atmosfera, praticamente nulla aggiungono figur(in)e come il poliziotto o l'infermiera, mal caratterizzate e forse anche mal interpretate: paradossalmente a Mungiu la scena citata all'inizio, nonostante i rischi di essere dilatata dove il padre rimpiangeva la Romania di un tempo nel film precedente, era riuscita meglio di questi schizzi. Ancora peggio va con la madre della giovane ribelle, null'altro che un pretesto per (Ri)proporre uno sterile scontro tra generazioni quando non può e/o non vuole soddisfare le richieste economiche della figlia.
Dopo che Alina, una brutta copia di una delle protagoniste della "Vita sognata dagli angeli" (A proposito: se l'avete visto, vi ricordate il finale?), denuncia il falso spiritualismo del pope ortodosso (Ma questo rgista ha visto, in questo senso, un film lontanissimo da questo come "La ceremonie"di Chabrol?), ed una delle due protagoniste è stata definitivamente valutata incompatibile con la vita da monastero, ci aspetta un finale che denuncia -Giustamente- il bigottismo di certe comunità "Religiose", ed un'ironia che coinvolge i già citati poliziotti, anch'essi vittime e carnefici di quell'ingranaggio. Ma di fronte a uno di quei film da Festival che sembrano cercare il colpo basso, ed in qualche modo lo centrano ottenendo una menzione speciale a cannes, viene da chiedersi se Mungiu non sia un -Relativamente- giovane promosso con eccessivo anticipo a grande regista.
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kimkiduk
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martedì 22 gennaio 2013
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qualcosa di troppo .... o forse di poco!!!!!
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Mah!!!! Dopo avere visto anni fa 4 mesi 3 settimane 2 giorni e letto parti di critica su questo film e i premi avuti, soprattutto attrici, mi aspettavo un film lento e in parte noioso, ma ero curioso di vedere Mungiu emergente regista giovane e promettente. Sinceramente sono rimasto deluso. Dei premi confermo la sceneggiatura, perchè l'idea, anche se storia vera e quindi non inventata, è veramente da sfruttare. Ci poteva essere tutto dentro, omosessualità, solitudine, abbandono, amore, bigottismo religioso, paura del mondo, ecc.
Sinceramente ho trovato poco di tutto se non la descrizione di una piccola comunità (ininfluente in tutto il resto del mondo) che vive in totale disarmonia e con niente vicino ad una civiltà che ormai appare avvicinarsi all'occidente.
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Mah!!!! Dopo avere visto anni fa 4 mesi 3 settimane 2 giorni e letto parti di critica su questo film e i premi avuti, soprattutto attrici, mi aspettavo un film lento e in parte noioso, ma ero curioso di vedere Mungiu emergente regista giovane e promettente. Sinceramente sono rimasto deluso. Dei premi confermo la sceneggiatura, perchè l'idea, anche se storia vera e quindi non inventata, è veramente da sfruttare. Ci poteva essere tutto dentro, omosessualità, solitudine, abbandono, amore, bigottismo religioso, paura del mondo, ecc.
Sinceramente ho trovato poco di tutto se non la descrizione di una piccola comunità (ininfluente in tutto il resto del mondo) che vive in totale disarmonia e con niente vicino ad una civiltà che ormai appare avvicinarsi all'occidente. La comunità non ha luce, acqua corrente, cibo, riscaldamento, tv, musica, non ha quasi niente ma proprio per questo stride ancora di più il significato delle sue scelte, vivendo ai margini di una società in evoluzione e non chissà dove. Stride il passaggio di un SUV, stride il cellulare del medico nel finale, stride il ridicolo dialogo con la polizia , stride la reazione quasi infantile e stolta del "papà" alle accuse a lui rivolte. Se lo scopo era voler rendere ridicola la chiesa per certe persone bastava molto meno e non due ore e 30' di film con un "papà" che dice solo che la verità è avere Dio dentro ed una "mamma" che sa solo fare il,segno della croce o dire "Signore aiutaci e salvaci .... o Dio misericordioso". Se lottare per un amore o per vivere da parte di Alina è perdere il senno ..... sà più di vera e propria malattiva psichiatrica e schizofrenia. Ma anche qui bastava molto meno che 12 crisi di nervi. Mi è sembrato un tantino prolisso nel suo voler far capire. Forse colpa mia, ma per quello che ho capito del film e del significato che voleva dare Mungiu, mi bastavano 10 minuti. In fondo avevo davvero sonno.
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paolo_89
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martedì 19 febbraio 2013
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oltre le colline, oltre il buon senso
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Oltre le colline c'è un piccolo e sinistro monastero. Voichita è una novizia giunta in quella comunità dopo aver trascorso l'infanzia e l'adolescenza in un orfanotrofio.
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Oltre le colline c'è un piccolo e sinistro monastero. Voichita è una novizia giunta in quella comunità dopo aver trascorso l'infanzia e l'adolescenza in un orfanotrofio. Sembra aver trovato la sua vita perfetta di sacrifici e diligenza ma «senza amici. Qui... ci si aiuta», come ammette egli stessa. Alina, una sua vecchia amica e forse qualcosa di più, giunge dalla Germania per riprendersela e rompe un equilibrio più precario di quanto gli artefici non fossero disposti ad ammettere, evidentemente basato sulla solitudine e sulla sottomissione piuttosto che sulla fiducia e sulla dedizione.
Oltre le colline è tratto dai romanzi di Tatiana Niculescu Bran; il primo è Spovedanie La Tanacu (Deadly Confession) che documenta i fatti accaduti nel monastero di Tanacu, in Romania: una giovane donna in visita a una novizia è morta a qualche settimana dal suo arrivo, dopo essere stata sottoposta a un esorcismo. L'autrice ha poi pubblicato un secondo capitolo della storia, Cartea Judecatorilor, in cui parla del prete che aveva fatto l'esorcismo. La notorietà di questa tragedia ha spinto la Chiesa Ortodossa a scomunicare il prete e vietare la lettura delle preghiere di San Basilio, ritenute efficaci nel combattere il Diavolo, ma l'istituzione resta responsabile di aver allevato una figura di questo genere. E non è un caso isolato.
Quello che emerge in maniera chiara ma non sensazionalistica, il pregio più grande del film, è una vita apparentemente regolata da pochi principi sani, atti a fortificare lo spirito e cementare il legame di fratellanza tra le sorelle: questa condizione, in realtà, ricopre quel sentimento come un'ostia sottilissima che si scioglie non appena Alina entra nel gruppo, esclusivo e tutt'altro che aperto al prossimo; gruppo che si nutre dei principi sani di una religione per sminuzzarli e sputarli corrotti, pervertiti, non capiti. Sono però principi fortissimi, di cui solo Voichita sembra in grado di dubitare, che resistono fino alla morte grottesca di Alina. Nemmeno questa, però, riesce a instillare nelle altre suore ingenue e bigotte il dubbio che quello in cui credono non potrebbe essere più lontano da quello che il buon Gesù predicava.
Il film è stato girato nel freddissimo inverno rumeno e la rappresentazione è essenziale e quasi scarna, al servizio della narrazione; è molto verboso ma non stanca perchè si percepisce come sia tutto destinato alla comprensione della storia, per chi ha la pazienza di seguirla per 150 minuti. Molte inquadrature durano a lungo e dànno l'opportunità di esplorare i personaggi, che non sembrano delle teste parlanti nemmeno nel doppiaggio italiano; gettano le basi di una quiete surreale pronta a disfarsi nelle scene più concitate, seguite invece con la macchina da presa in spalla e portatrici di sconcerto, riflessione: fino a che punto la fede in un sistema di pensiero rigoroso e limitante, scritto da uomini per altri uomini, può offuscare la ragione e il buon senso?
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