Hanna

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Un film di Joe Wright. Con Cate Blanchett, Eric Bana, Saoirse Ronan, Olivia Williams, Tom Hollander.
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Thriller, durata 111 min. - USA, Gran Bretagna, Germania 2011. - Sony Pictures Italia uscita venerdì 12 agosto 2011. MYMONETRO Hanna * * 1/2 - - valutazione media: 2,87 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Una bambina addestrata come macchina da guerra. Valutazione 3 stelle su cinque

di GreatSteven


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martedì 13 giugno 2017

 HANNA (GERM/USA, 2011) diretto da JOE WRIGHT. Interpretato da SAOIRSE RONAN, ERIC BANA, CATE BLANCHETT, OLIVIA WILLIAMS, TOM HOLLANDER, JASON FLEMYNG
Tre personaggi principali: Hanna, sedicenne, cresciuta nelle foreste del Circolo Polare Artico, abituata ad una vita violenta ed essenziale; Erik Heller, olandese, che si spaccia per suo padre e l’ha addestrata all’omicidio e alla sopravvivenza; Marissa Wiegler, tedesca, agente della CIA, in passato compagna di lavoro di Erik, a conoscenza dell’estrema duttilità fisica della ragazza e intenzionata a togliere di mezzo entrambi. Con un bagaglio di informazioni fittizie da tenere con sé, Hanna se ne va dalle lande ghiacciate, viene catturata dagli sgherri di Marissa, riesce a fuggire rocambolescamente, esce da un tombino, si ritrova nel deserto del Marocco e ha la fortuna di aggregarsi ad una famigliola lì in vacanza. Nascostasi nel loro bagagliaio con la complicità della coetanea Sophie, Hanna attraversa lo stretto di Gibilterra, sbarca in Spagna e, dovendo raggiungere Berlino, deve ancora far fuori i predatori che la braccano, ora guidati dal perfido Isaacs, assassino a pagamento reclutato da Marissa. Erik, frattanto, ha lasciato anche lui la capanna nordica, è giunto a nuoto in terra tedesca e, dopo un primo attentato alla sua vita miracolosamente ben gestito, si ricongiunge ad Hanna e le racconta la verità: nata da una donna polacca a nome Johanna, è stato iniettato nel suo embrione un gene che enfatizzò i poteri fisici in modo da creare una bambina-soldato con resistenza, velocità e forza sovrumane, in grado di affrontare pericoli inimmaginabili e sfide di portata formidabile. Triplo epilogo sanguinoso in un parco giochi della capitale germanica. Musicato dalla colonna sonora pomposa e martellante dei Chemichal Brothers, sorretto da un montaggio mozzafiato che lascia poco respiro allo spettatore e sostenuto da una sceneggiatura che zigzaga fra esplosioni di ferocia e pause riflessive che aumentano la tensione, è un thriller fantascientifico che trae a piene mani gli elementi più crudi del dramma, condendoli con una vena horror non troppo calcata e spingendo rispettivamente sul pedale della spietata analisi psicologica nel ritratto di una protagonista non convenzionale, e sulla frizione dell’emotività per cambiare le marce a seconda della cifra narrativa che assume il racconto, passando con ammirevole disinvoltura dal patetico al sentimentale, dall’efferato al sanguinario, dal melanconico al mellifluo. Già con un’esperienza nel cinema fantasy (molto differente da Hanna) avuta col discreto Ember – Il mistero della città di luce (2008), Ronan si mostra assai a suo agio nel ruolo di un’assassina adolescente ammaestrata come il più malvagio degli animali da circo a correre, saltare, maneggiare il coltello, sparare con la pistola, lottare a perdifiato e in generale sopravvivere, qualunque condizione di pericolo se li presenti davanti. La sua protagonista si conferma come carta vincente di un film emozionante che pecca nella ricerca di un finale efficace e nei rallentamenti dovuti all’iniezione di zucchero mieloso nella parte centrale, in cui, con l’incontro con una famiglia legata più dalle convenzioni da società globalizzata che da un sincero affetto fraterno, prevalgono le leziosità in puro stile teen-ager. I risultati migliori, dunque, vengono ottenuti con la rappresentazione della violenza, che, tanto per fare un paragone, si allontana drasticamente da quella degli spaghetti-western per attingere dalla scuola hitchcockiana, puntando su un trionfante accumulo della suspense e sulla crescita interiore dei personaggi (ben avviata, ma poi leggermente ingolfata, il che fa perdere punti alla credibilità dell’intreccio). Due australiani (caso raro) in un ruolo che li contrappone come elementi complementari, non solo sessualmente: Bana è un ex agente votato alla protezione della sua figlioccia, a costo di tollerare il relativo allontanamento e di riaffrontare un doloroso passato che l’ha visto complice nella modificazione genetica del patrimonio di Hanna, mentre Blanchett, sempre poco a suo agio nelle vesti di un’antagonista, riesce comunque a brillare col suo volto algido, la sua espressione serafica e il suo sguardo malizioso mentre ripercorre le tracce della sua odiatissima fuggitiva, mostrando un’ampia conoscenza delle debolezze dell’animo umano e dovendo scontrarsi anche lei con trascorsi ben poco illustri. I pezzi di bravura migliori corrispondono al prologo e alla conclusione: lo sventramento del cervo ucciso a frecciate e l’inseguimento per i binari ferroviari del parco giochi. Ma si distinguono per genialità creativa anche la fuga di Hanna dal bunker sotterraneo irto di telecamere, il dialogo nell’alberghetto polveroso col marocchino, l’amicizia un po’ traballante ma sanguigna con la ragazzina sdolcinata e pretenziosa, le numerose sequenze di combattimento (di forte impatto visivo ed emotivo), le altrettanto innumerevoli corse di Hanna sia nel paesaggio desertico che in quello polare, le acrobazie fra i containers del porto, l’uccisione della nonna che parla solo tedesco e la scioccante rivelazione nel sottofinale. Funzionano anche l’Isaacs di T. Hollander (il Cutler Beckett de I Pirati dei Caraibi, qui non meno perverso), il papà barbuto di J. Flemyng (anche lui spesso impiegato in ruoli squilibrati o comunque fuori dal comune) e il mago del parco ispirato alle fantasiose fiabe dei Grimm. In ultima analisi, Hanna non è una ragazza cattiva, non vuole far del male agli altri benché sia stata allenata proprio per questo obiettivo: nel fondo del suo animo, albergano la pietà, la bontà e la carità, e lei sente di dover ricorrere a mezzi estremi soltanto perché non ne conosce altri per entrare pacificamente in sintonia col mondo. Non a caso uno dei suoi maggiori rimpianti è non aver potuto godere di un’infanzia serena, il che riporta il discorso alla struttura fondamentalmente fiabesca della pellicola e al suo leitmotiv, poco ricorrente ma importantissimo, delle favole dei fratelli Grimm, illustrate in un libro all’inizio e traslate figurativamente più avanti nel film. Una piccola perla densa di tensione a rotta di collo da gustare in sala cinematografica, non certo un caposaldo, ma tuttavia un dignitoso esperimento su ruoli non abituali agli attori che li hanno incarnati. 

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