sergio dal maso
|
domenica 28 giugno 2015
|
e ora dove andiamo?
|
|
|
|
“La storia che sto per raccontare la offrirò a chi la vuole ascoltare, su gente che digiuna che in preghiera si raduna, la storia di un villaggio isolato dalle mine circondato solo, tra cielo e terra sperduto nella guerra,
due gruppi dal cuore straziato sotto un cielo infuocato, con le mani che il sangue abbruna, in nome della croce o della mezzaluna …..è una lunga storia di ombre scure senza gloria senza, stelle scintillanti né fiori sfavillanti con occhi di cenere e lacrime cerchiati, le donne per proteggere i loro amati … di coraggio si sono corazzate”
Questi versi evocativi e malinconici narrati dalla voce fuori campo e uno struggente canto arabo accompagnano un corteo di donne vestite di nero.
[+]
“La storia che sto per raccontare la offrirò a chi la vuole ascoltare, su gente che digiuna che in preghiera si raduna, la storia di un villaggio isolato dalle mine circondato solo, tra cielo e terra sperduto nella guerra,
due gruppi dal cuore straziato sotto un cielo infuocato, con le mani che il sangue abbruna, in nome della croce o della mezzaluna …..è una lunga storia di ombre scure senza gloria senza, stelle scintillanti né fiori sfavillanti con occhi di cenere e lacrime cerchiati, le donne per proteggere i loro amati … di coraggio si sono corazzate”
Questi versi evocativi e malinconici narrati dalla voce fuori campo e uno struggente canto arabo accompagnano un corteo di donne vestite di nero. Donne mussulmane e cristiane, unite dallo stesso dolore, con una mano sul cuore e nell’altra una foto del marito o di un figlio.
Sotto la calura dell’arido paesaggio libanese si dirigono con una ammaliante cadenza, quasi una danza, verso il comune cimitero, per poi dividersi tra la metà del cimitero cristiana e la metà islamica.
Con questa strepitosa sequenza, di grande cinema, inizia “E ora dove andiamo ?”, opera seconda della bella e talentuosa regista libanese Nadine Labaki, che interpreta anche Amale, una delle protagoniste principali della storia.
Come anticipato dalla voce narrante di apertura è la storia di un piccolo villaggio situato sulle colline libanesi, isolato dal mondo perché il ponte è stato semidistrutto dalla guerra, ma che proprio per questo isolamento riesce a mantenere una difficile seppur precaria pace tra le due comunità religiose. Anche se nel piccolo centro del paese convivono da secoli chiesa e moschea, il campanile cristiano quasi affianca il minareto islamico, i lutti e il sangue versato nella drammatica guerra civile hanno lacerato per sempre i sentimenti delle due comunità e l’odio e la violenza possono riesplodere da un momento all’altro. Se gli uomini del villaggio sono irascibili, ottusamente orgogliosi e guidati dall’istinto vendicativo, l’instabile pace tra cristiani e mussulmani sarà possibile solo grazie alla determinazione e alla saggezza delle donne, capaci di vero perdono e di trasformare il dolore in forza d’animo per preservare la convivenza pacifica a tutti i costi.
Quando la situazione sembra sfuggire di mano e il fragile equilibrio spezzarsi, Amale, Takla, Afaf , Yvonne e Saydeh, cinque straordinarie e indimenticabili amiche, dovranno far ricorso a tutto il loro coraggio e alla loro straripante fantasia per mantenere il controllo della situazione. Stratagemmi esilaranti e invenzioni spassosissime, come far piangere la statuetta della Madonna, ingaggiare ballerine ucraine o preparare dolci all’hashish per calmare i rancorosi mariti, danno al film un tocco ironico e delicato, da commedia agrodolce.
La bellezza e l’unicità di “E ora dove andiamo ?” sta però nell’essere indefinibile : a tratti sembra una favola moderna anche se realistica, in altri momenti è veramente drammatico, come quando la madre occulta il cadavere del figlio per non fare scoppiare il finimondo, ci sono anche scene di puro musical, in stile medioorientale naturalmente. E’ una commedia che sa commuovere ma anche far ridere, sfodera una ironia graffiante, ma soprattutto, con intelligenza e sensibilità, sa far pensare su temi difficili e complicati come la coesistenza di fedi diverse e l’uso della violenza per risolvere i problemi tra differenti gruppi etnici o religiosi.
Qualche critico non ha gradito la rappresentazione della storia definita troppo caricaturale, con il “bene” associato alla proverbiale saggezza femminile opposto al “male” dell’irruenza maschile, oppure per l’aver semplificato troppo le ragioni storiche del conflitto. Mi sembra evidente che si tratta di una “favola” allegorica, evocativa e poetica, che mira al cuore delle persone e che usa l’arma dell’ironia proprio perché, spesso, una durissima realtà creata da pregiudizi ancestrali e da odio reciproco antico è più facile scalfirla con un sorriso che con freddi ragionamenti. Non è un caso che in Libano “E ora dove andiamo ?” ha avuto un successo clamoroso, diventando il film più visto degli ultimi decenni. Teniamo presente che le bellissime figure del prete e dell’Iman che collaborano attivamente per preservare la pace, se per noi possono essere scontate, nel mondo arabo non lo sono altrettanto. Nadine Labaki, dopo il successo dell’altrettanto bello “Caramel”, ha centrato un altro capolavoro, dimostrandosi anche, nel ruolo di Amale, una ottima attrice, affascinane e sensuale come una diva italiana degli anni cinquanta. Il finale spiazzante e per nulla buonista è l’ennesima trovata geniale, è una domanda che non riguarda solo il medio-oriente o le diverse comunità religiose, il corteo di donne la pone a ciascuno di noi …già, e ora dove andiamo?
[-]
|
|
[+] lascia un commento a sergio dal maso »
[ - ] lascia un commento a sergio dal maso »
|
|
d'accordo? |
|
osteriacinematografo
|
mercoledì 29 febbraio 2012
|
donne al servizio della pace fra i popoli
|
|
|
|
Il film si apre con la danza funebre e onirica di vedove di fedi diverse che condividono un tragitto dissestato, prima di giungere in prossimità dei due cimiteri in cui sono seppelliti i propri morti: qui i loro percorsi si separano in ossequio ai rispettivi rituali.
La vicenda si svolge in un villaggio sperduto e assolato del Libano, nel bel mezzo di un paesaggio aspro e semi-desertico e di un territorio che nasconde mine inesplose e l’ombra spettrale di conflitti irrisolti.
Nel villaggio vivono due comunità ben distinte: una musulmana, l’altra cristiana. Gli screzi e le baruffe fra gli uomini delle opposte “fazioni” sono all’ordine del giorno, anche per questioni banali, e la situazione pare sempre sull’orlo del precipizio della reciproca intolleranza, nonostante l’azione mitigatrice dell’imam e del prete del paese.
[+]
Il film si apre con la danza funebre e onirica di vedove di fedi diverse che condividono un tragitto dissestato, prima di giungere in prossimità dei due cimiteri in cui sono seppelliti i propri morti: qui i loro percorsi si separano in ossequio ai rispettivi rituali.
La vicenda si svolge in un villaggio sperduto e assolato del Libano, nel bel mezzo di un paesaggio aspro e semi-desertico e di un territorio che nasconde mine inesplose e l’ombra spettrale di conflitti irrisolti.
Nel villaggio vivono due comunità ben distinte: una musulmana, l’altra cristiana. Gli screzi e le baruffe fra gli uomini delle opposte “fazioni” sono all’ordine del giorno, anche per questioni banali, e la situazione pare sempre sull’orlo del precipizio della reciproca intolleranza, nonostante l’azione mitigatrice dell’imam e del prete del paese.
Le donne sono il vero collante della piccola struttura sociale, che si regge soltanto grazie agli espedienti messi in opera dal gruppo in cui spiccano Amale, Takla, Yvonne, Afaf e Saydeh, cinque vedove, cinque amiche pronte a tutto per evitare che il sangue scorra ancora in mezzo a loro.
E così le donne tramano all’oscuro di uomini accecati da una rabbia ottusa, e pongono in essere comportamenti più o meno visibili per ridurre al minimo gli attriti: gridano e ciarlano per coprire l’audio di un notiziario che riferisce di scontri bellici fra cristiani e musulmani; tentano di manomettere la parabola “comunale”, così da oscurare i messaggi guerrafondai che ne scaturiscono; fingono un miracolo della Madonna per mettere in guardia chi intenda insistere sulla via della violenza; ingaggiano un corpo di ballerine ucraine per distrarre la comunità in un momento critico; si spingono persino a drogare gli uomini del villaggio, coinvolgendo nel misfatto il prete e l’imam, per mitigare gli animi e coinvolgere l’intero villaggio in una serata di festa e aggregazione.
Nadine Ladaki, già autrice e protagonista del coloratissimo Caramel, dirige e interpreta un’opera corale e poetica, capace di trattare con ironia il disastro sociale provocato dai conflitti fra religioni: il lato drammatico della follia separatista dei culti dissimili, che costringe l’uomo a creare delle categorie da difendere, nelle quali arroccarsi e sulle quali basare diversità insormontabili, viene attutito dall’azione di donne audaci e lungimiranti, che riescono a guardare oltre le differenti prospettive di fede. La regista libanese alterna gravità e leggerezza, leggendo con sagacia e intelligenza il problema dell’integrazione interreligiosa, mostrando l’aspetto tragicomico di una questione che si trasforma e si riduce –ai miei occhi- a un tira e molla insulso e mortale fra adulti immaturi che giocano alla guerra.
“E ora dove andiamo?”
[-]
|
|
[+] lascia un commento a osteriacinematografo »
[ - ] lascia un commento a osteriacinematografo »
|
|
d'accordo? |
|
m.barenghi
|
domenica 22 gennaio 2012
|
nella "non-appartenenza"
|
|
|
|
Un villaggio rurale nel Libano, nazione dilaniata da anni di guerra e massacri. Lontani quel che basta dalla civiltà,la gente del villaggio convive in pace e armonia, curandosi non più di tanto dell' appartenenza alla fede cristiana o musulmana. Qualche segno c'è, come è connotato nella bellissima sequenza d'apertura, in cui un corteo di donne di entrambe le confessioni si reca al cimitero a piangere i propri numerosi morti, a destra le cristiane, a sinistra le musulmane. E a questo rito comune si recano danzando, dapprima in modo appena accennato, tanto da suscitare nello spettatore il dubbio di essere davanti a un musical. Su questa commistione di generi e timbri narrativi il film gioca moltissimo, alternando i registri della commedia (si ride a tratti anche di gusto!!) e della tragedia con tanta disinvoltura da disorientare quasi lo spettatore.
[+]
Un villaggio rurale nel Libano, nazione dilaniata da anni di guerra e massacri. Lontani quel che basta dalla civiltà,la gente del villaggio convive in pace e armonia, curandosi non più di tanto dell' appartenenza alla fede cristiana o musulmana. Qualche segno c'è, come è connotato nella bellissima sequenza d'apertura, in cui un corteo di donne di entrambe le confessioni si reca al cimitero a piangere i propri numerosi morti, a destra le cristiane, a sinistra le musulmane. E a questo rito comune si recano danzando, dapprima in modo appena accennato, tanto da suscitare nello spettatore il dubbio di essere davanti a un musical. Su questa commistione di generi e timbri narrativi il film gioca moltissimo, alternando i registri della commedia (si ride a tratti anche di gusto!!) e della tragedia con tanta disinvoltura da disorientare quasi lo spettatore. Così i toni scanzonati delle sequenze iniziali si alternano con quelli più duri dello scontro ideologico, nel cui innesco non sono estranei i mezzi d'informazione (stampa e TV), e con quelli più tragici della morte di un figlio. E' alle donne che la regista affida il ruolo di interpreti della pace e protagoniste della convivenza. Smaliziate e coraggiose, fino al punto di assoldare ai propri fini una troupe di disinvolte ballerine ucraine, sulle quali convogliare gli ardenti bollori dei loro focosi parenti che vengono così distolti dalla lotta contro l'opposta fazione. L'uomo è in quest'opera figura marginale, caricaturale, o irritante. Con l'eccezione dei due ministri del culto, che legittimano da subito con i propri discorsi conciliatori l'idiosincrasia delle loro fedeli alla lotta e al lutto. Il tema-chiave di questo film coraggioso è la non-appartenenza: in questo valore, che non comporta necessariamente il sacrificio della propria identità, sta la strada a senso unico per poter conservare una convivenza pacifica. Ed è singolare che nel nostro panorama culturale, la sola voce che si sia levata negli ultimi anni a sottolineare gli stessi concetti sia stata quella di un altro intellettuale anch'egli libanese: mi riferisco a Gad Lerner e al suo "Tu sei un bastardo".
Alla seconda regia cinematografica dopo il delizioso "Caramel", la bella Nadine Labaki confeziona magnificamente un'opera di elevata levatura estetica e culturale, e di grande impegno civile. La sequenza finale, splendida, chiude circolarmente il film in un'atmosfera consolatoria e ottimistica, dando ragione anche del titolo dell'opera, che a scatola chiusa potrebbe invece suonare greve e impegnativo.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a m.barenghi »
[ - ] lascia un commento a m.barenghi »
|
|
d'accordo? |
|
enrichetti
|
martedì 7 febbraio 2012
|
questa è la guerra
|
|
|
|
Da una parte i morti di Allah, dall'altra i morti di Cristo, in mezzo il sentiero di Dio calpestato fino allo sfinimento da una umanità maschile ed integralista votata alla distruzione. Antropomorfizzato in un prodotto dell'umana specie (il film di Nadine), Dio sembra chiedersi come abbia fatto a creare tanta idiozia. Ma lo può fare proprio perchè la regia del film è di una donna... Genere umano femminile, aiutaci tu! Musulmane e cristiane accomunate dal lutto avanzano compatte verso il cimitero e annunciano gli eventi come un coro tragico, testimoni di una intolleranza colpevole e folle. Questa è la guerra. Pallottole vaganti che vanno ad introdursi nel cranio di un ragazzo prima di poter capire, prima di poter anche solo fermarsi a pensare.
[+]
Da una parte i morti di Allah, dall'altra i morti di Cristo, in mezzo il sentiero di Dio calpestato fino allo sfinimento da una umanità maschile ed integralista votata alla distruzione. Antropomorfizzato in un prodotto dell'umana specie (il film di Nadine), Dio sembra chiedersi come abbia fatto a creare tanta idiozia. Ma lo può fare proprio perchè la regia del film è di una donna... Genere umano femminile, aiutaci tu! Musulmane e cristiane accomunate dal lutto avanzano compatte verso il cimitero e annunciano gli eventi come un coro tragico, testimoni di una intolleranza colpevole e folle. Questa è la guerra. Pallottole vaganti che vanno ad introdursi nel cranio di un ragazzo prima di poter capire, prima di poter anche solo fermarsi a pensare. I ruderi di un ponte, esile collegamento con la sopravvivenza. I corpi senza vita che tornano dalla battaglia e si disprezzano un'ultima volta sotto la terra di Allah e sotto la terra di Cristo. Questa è la guerra. Nulla. Il nulla che si frappone tra l'umana convivenza e la morte. Mancanza assoluta di fantasia. Arma pacifica, la fantasia, di cui, invece, le donne del villaggio sono dotate e che usano per spianare i cervelli dei loro uomini, sotterrare i fucili, confondere il nemico, mischiare veli e croci e indurre così, l'idiota neutralizzato, a porsi finalmente una domanda sensata: e ora dove andiamo?
[-]
|
|
[+] lascia un commento a enrichetti »
[ - ] lascia un commento a enrichetti »
|
|
d'accordo? |
|
pepito1948
|
martedì 24 gennaio 2012
|
uomini sull'orlo di una crisi di nervi
|
|
|
|
Nella Lisistrata di Aristofane la protagonista ateniese convoca le donne di Atene e di altre città greche per concordare un'azione comune contro l'esasperato bellicismo dei loro uomini -allora concentrato nella guerra del Peloponneso- colpevoli di anteporre le armi alle cure ed ai doveri coniugali. Decidono quindi di attuare uno sciopero del sesso per costringere i riluttanti maschi guerrieri a tornare alle loro case (ed ad abbandonare la guerra)e, grazie alla fermezza ed alla compattezza delle fiere combattenti, l'obiettivo, sia pure dopo non facili trattative, sarà raggiunto in un tripudio generale. Qualcosa del genere avviene nell'ultimo film di Nadine Labaki, in cui in un villaggio libanese viene sperimentata la convivenza di famiglie cristiane e musulmane, guidate di comune accordo da un prete e da un imam.
[+]
Nella Lisistrata di Aristofane la protagonista ateniese convoca le donne di Atene e di altre città greche per concordare un'azione comune contro l'esasperato bellicismo dei loro uomini -allora concentrato nella guerra del Peloponneso- colpevoli di anteporre le armi alle cure ed ai doveri coniugali. Decidono quindi di attuare uno sciopero del sesso per costringere i riluttanti maschi guerrieri a tornare alle loro case (ed ad abbandonare la guerra)e, grazie alla fermezza ed alla compattezza delle fiere combattenti, l'obiettivo, sia pure dopo non facili trattative, sarà raggiunto in un tripudio generale. Qualcosa del genere avviene nell'ultimo film di Nadine Labaki, in cui in un villaggio libanese viene sperimentata la convivenza di famiglie cristiane e musulmane, guidate di comune accordo da un prete e da un imam. Ma le rivalità tra le due componenti cova sotto le ceneri finchè rischia di esplodere alla casuale uccisione di un giovane della comunità: saranno le donne di entrambe le parti, attraverso vari espedienti -tra cui la richiesta collaborazione di ragazze tutte pepe e sensualità provenienti dall'Est europeo- ad allentare le tensioni e ad imporre la pace, o almeno un armistizio temporaneo.
Traendo spunto dalla complessa coesistenza di diversi credo religiosi del suo Paese, il Libano, Labaki ha messo sul fuoco un calderone in cui all'ingrediante dominante della commedia ha unito un tocco di dramma, qualche grano di musical, una spruzzata di sentimentalismo, un pizzico di bolliwood, il tutto in salsa etnica agrodolce. Il piatto è talmente piaciuto in patria da superare gli incassi di colossi come Avatar o Titanic. L'operazione della regista-sceneggiatrice- attrice è evidente: mettere nel dovuto risalto la capacità del mondo femminile nel guidare il cambiamento nei Paesi in cui i rapporti tra differenti entità culturali stentano a trovare una soddisfacente composizione a causa della pari incapacità degli uomini di trovare soluzioni che prescindano dal ricorso alle armi. Il peso delle donne nella primavera araba, come in altri contesti pervasi da fermenti rivendicativi come l'Iran lo stanno a dimostrare. "La società si può cambiare anche senza rivoluzioni, all'interno delle nostre case, nel modo in cui educhiamo i nostri figli. Lo capisco ancora di più ora che sono diventata madre e sono felice che le donne arabe si stiano rendendo conto di quanta responsabilità e quanto potere c'è nelle loro mani". Operazione non facile quella di affrontare un tema come quello del sanguinoso conflitto dominante in certi Paesi arabi ricorrendo alla morbidezza del sorriso ed a una certa grazia tutta femminile. La tragedia che fa da sfondo irrompe improvvisamente con una lunga sequenza di morte che rompe il filo ed il tono della narrazione, che tuttavia si innesta come pretesto per spingere le protagoniste ad uscire dal ristagno e ad attivarsi in modo determinante per risolvere l'impasse. Qualche frattura si avverte nel cambio di tensione, ma nel complesso la vicenda scorre piacevolmente verso l'ambiguo finale, in cui le due parti riconquistano la pace smarrita ma sembrano incerte sulla loro identità futura. Le sequenze musicali, accompagnate dai testi sottotitolati, aggiungono un tocco di poesia al già ricco miscuglio di ingredienti, tanto che la fluidità del tutto mostra qualche pecca in termini di omogeneità. Buono il cast, considerato che la Labaki si avvale di attori non professionisti.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a pepito1948 »
[ - ] lascia un commento a pepito1948 »
|
|
d'accordo? |
|
zoom e controzoom
|
domenica 5 febbraio 2012
|
"la bisbetica domata" ispira in medioriente
|
|
|
|
I bellissimi volti delle donne mediorientali, hanno gli occhi profondi di un linguaggio antico ed intenso. In questo film sono loro, le donne, che mettono in atto una geniale soluzione per risolvere il conflitto religioso che rischia di distruggere ogni possibilità di convivenza. Film ricco di spunti di intuizioni di proposte. La scena iniziale molto suggestiva, già pone davanti alla realtà del conflitto e sulla stessa realtà del conflitto tra cattolici e musulmani, il film si chiude. Il cimitero diviso in due, punto di partenza e punto di stasi. Ma negli spazi contrapposti, vivono uomini e donne anche se di due diversi credo. Pare che le donne abbiano più motivi di scambio, motivi dettati dalla sopravvivenza quotidiana e risolti dalla pragmaticità femminile.
[+]
I bellissimi volti delle donne mediorientali, hanno gli occhi profondi di un linguaggio antico ed intenso. In questo film sono loro, le donne, che mettono in atto una geniale soluzione per risolvere il conflitto religioso che rischia di distruggere ogni possibilità di convivenza. Film ricco di spunti di intuizioni di proposte. La scena iniziale molto suggestiva, già pone davanti alla realtà del conflitto e sulla stessa realtà del conflitto tra cattolici e musulmani, il film si chiude. Il cimitero diviso in due, punto di partenza e punto di stasi. Ma negli spazi contrapposti, vivono uomini e donne anche se di due diversi credo. Pare che le donne abbiano più motivi di scambio, motivi dettati dalla sopravvivenza quotidiana e risolti dalla pragmaticità femminile. Le inquadrature mettono spesso in risalto la bellezza di questi tratti femminili, quasi in contrapposizione all'ambiente miserrimo dove i personaggi vivono. Un ambiente che non riesce ad essere del tutto indenne delle influenze e piacevolezze degli apporti della tecnologia. Si accontentano di quel che riescono ad avere, anche di un televisore da cavernicoli, ma salvando la genuinità dei sentimenti più profondi. Fatti e accadimenti possono essere definiti piccoli quadri d'autore, ma non del tutto coesi stilisticamente in una proposta tra commedia e drammaticità. E' la contrapposizione stilistica tra queste due peculiarità del film che non ha trovato una fluida soluzione, che penalizza in parte un film validissimo. L'inserimento di brani cantati e resi come sogno, gli episodi "buffi" in una contesto drammatico, sono troppo staccati e devianti, implicherebbero una diversa scelta di conduzione stilistica molto più sottile, molto più equilibrata. Splendida la scena della madre che sacrifica il proprio dolore perchè la morte del proprio figlio non sia motivo di scatenamento di ferocia tra i due gruppi opposti, come splendido è il tentativo di far passare per eletta-visionaria, l'altra donna che si fa tramite col volere della Madonna, nel tentativo di placare gli animi. Molte dunque le idee immesse e sviluppate, validdissime, ma rese in modo tale da essere troppo staccate dall'unicum stilistico. Ed infine, la meraviglia si concretizza nella soluzione finale, suggerita da un lontanissimo Shakespeare per la Bisbetica domata e qui riproposto in modo altrettanto efficace anche se con molte più alte intenzioni.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a zoom e controzoom »
[ - ] lascia un commento a zoom e controzoom »
|
|
d'accordo? |
|
maria f.
|
martedì 15 gennaio 2013
|
evviva i buoni film!
|
|
|
|
Un’intuizione strepitosa quella di miscelare nel film tante situazioni, ora drammatiche, un po’ grottesche e infilarci, perché no, anche alcuni momenti musicali, che a dir il vero mi sono apparsi molto ben riusciti, per le melodie, per i canti suadenti che ci hanno dato l’opportunità di ascoltare i suoni di un’altra lingua con fonemi molto carezzevoli, e infine i sottotitoli della parte cantata ci hanno restituito il significato intenso e tenero che i due innamorati avrebbero desiderato gridare al mondo.
Noi donne abbiamo sempre una marcia in più, e questo film lo dimostra nella sua semplicità e quotidianità.
Non avremmo il tempo di condurre operazioni belliche noi, abbiamo altro da fare, noi!
I nostri compiti, sia se si tratta di musulmane, cristiane o appartenenti ad altre religioni sono infiniti, passiamo la vita dal fare da balie a badanti, siamo le creature più democratiche, pronte ad ascoltare, a consolare, ad aiutare, siamo pratiche ed essenziali ma anche altruiste e generose con tutti, nel nostro vocabolario esiste il noi, l’individualismo non ci appartiene.
[+]
Un’intuizione strepitosa quella di miscelare nel film tante situazioni, ora drammatiche, un po’ grottesche e infilarci, perché no, anche alcuni momenti musicali, che a dir il vero mi sono apparsi molto ben riusciti, per le melodie, per i canti suadenti che ci hanno dato l’opportunità di ascoltare i suoni di un’altra lingua con fonemi molto carezzevoli, e infine i sottotitoli della parte cantata ci hanno restituito il significato intenso e tenero che i due innamorati avrebbero desiderato gridare al mondo.
Noi donne abbiamo sempre una marcia in più, e questo film lo dimostra nella sua semplicità e quotidianità.
Non avremmo il tempo di condurre operazioni belliche noi, abbiamo altro da fare, noi!
I nostri compiti, sia se si tratta di musulmane, cristiane o appartenenti ad altre religioni sono infiniti, passiamo la vita dal fare da balie a badanti, siamo le creature più democratiche, pronte ad ascoltare, a consolare, ad aiutare, siamo pratiche ed essenziali ma anche altruiste e generose con tutti, nel nostro vocabolario esiste il noi, l’individualismo non ci appartiene.
Come la regista ci ha trasmesso, anche nel dolore siamo uniche e speciali, infatti, la mamma alla quale è stato ucciso il figlio pur di non fomentare altro odio è stata capace di soffocare e dissimulare il suo dolore al punto di gambizzare l’altro figlio quando si è resa conto che l’odio lo avrebbe portato a vendicare la morte del fratello.
La battaglia femminile sarà vinta del tutto quando riusciremo a trasmettere le nostre idee senza però sgomitare e senza ricorrere ad atteggiamenti mascolini.
Assumiamo, infatti ancora oggi, inconsapevolmente, e per avere un po’ di legittima visibilità, toni di voce che assomigliano a quello maschile, utilizziamo abiti simili ad armature, (o al contrario del tutto inesistenti), insomma dobbiamo abbandonare i panni camaleontici e avvalerci unicamente del nostro essere femminile, veste squisitamente appropriata, che indossiamo con grande regalità e che ci renderà egemoni nel diffondere quei sentimenti di giustizia, di equità, e di fratellanza interreligiosa, espressioni di un popolo che accoglie, anche se non sempre condivide.
Film da vedere e discutere .
[-]
|
|
[+] lascia un commento a maria f. »
[ - ] lascia un commento a maria f. »
|
|
d'accordo? |
|
marica romolini
|
martedì 28 febbraio 2012
|
nel pragmatismo fantasioso è la salvezza
|
|
|
|
Portata al successo da Caramel, Nadine Labaki torna a parlare, nella sua caratteristica cifra non grave anche nel dramma, del conflitto interreligioso e della speranza di riscatto affidata al genere femminile. Questa volta siamo fuori dalla città, in un paese montano isolato dalle mine e da un abbozzo di ponte, dove vive una comunità mista di musulmani e cattolici, sempre sul piede di guerra nonostante i buoni propositi di civile convivenza. Le informazioni che di sbieco penetrano questa sorta di hortus conclusus sembrano portare solo guai: gli echi del mondo esterno funzionano da pericolose scintille su un terreno riarso dal risentimento. Di qui i complotti delle donne, che sabotano programmi tv e incendiano giornali, non perché genericamente fautrici della filosofia del 'meglio non sapere', bensì perché consapevoli dei limiti e degli inamovibili meccanismi con cui hanno a che fare.
[+]
Portata al successo da Caramel, Nadine Labaki torna a parlare, nella sua caratteristica cifra non grave anche nel dramma, del conflitto interreligioso e della speranza di riscatto affidata al genere femminile. Questa volta siamo fuori dalla città, in un paese montano isolato dalle mine e da un abbozzo di ponte, dove vive una comunità mista di musulmani e cattolici, sempre sul piede di guerra nonostante i buoni propositi di civile convivenza. Le informazioni che di sbieco penetrano questa sorta di hortus conclusus sembrano portare solo guai: gli echi del mondo esterno funzionano da pericolose scintille su un terreno riarso dal risentimento. Di qui i complotti delle donne, che sabotano programmi tv e incendiano giornali, non perché genericamente fautrici della filosofia del 'meglio non sapere', bensì perché consapevoli dei limiti e degli inamovibili meccanismi con cui hanno a che fare. Il film, volutamente non realistico, anche per il pastiche di generi che commistiona, si propone infatti di lanciare il valore di un 'pragmatismo fantasioso'. Su questa forma mentis sono allineati, oltre alle rappresentanti del gentil sesso, anche i due capi religiosi, che accettano di mettere in scena un falso miracolo o che promuovono l'adesione a una (truccata) riunione prospettando un buon feedback dalle provocanti ballerine dell'Est Europa che in quei giorni popolano il villaggio (altra diavoleria architettata dalle donne per placare gli animi belligeranti dei compagni) più che nebulose ricompense eterne. L'unica strada per la salvezza è, anteponendo il quaggiù al lassù, la metis, l'astuzia pratica, la capacità di superare le convenzioni e di deflagrare gli schemi. Nel microcosmo del villaggio sono infatti riprodotte in diminutio le dinamiche dell'odio che imperversa nel resto del paese, cancrenizzato dal medesimo vortice di vendette e controvendette. Tanto che il cimitero, su cui significativamente si apre il film, diventa un luogo che non solo accoglie i morti, ma li produce, slittando da effetto a causa (è il peso del ricordo che divide). Non a caso, in una delle punte drammatiche del film, una madre deciderà di nascondere il corpo del figlio ucciso da una pallottola vagante nel pozzo, sì per necessità di trama ma nondimeno per non rimpinguare una voragine che già fagocita troppe vittime. Lì semmai si devono seppellire i fucili e ammazzare così la stessa morte.
I tentativi per uscire dall'impasse sono molteplici. Tutto il film vi si regge, anche per quanto riguarda le scelte stilistiche. Si alternano i più disparati registri linguistici (commedia, dramma, musical: non si dimentichi che la regista nasce come autrice di videoclip) e un carosello di ammicchi alle varie arti (dalla tragedia greca alla danza, dal canto al dicorso in versi, che fa da cornice suggerendo la figura di un narratore-cantastorie). Pullulano citazioni metacinematografiche (Absurdistan, Chocolat, L'erba di Grace, fors'anche The hole per i sogni di evasione codificati in stacchetti canori), teatrali (la Lisistrata di Aristofane, capovolta la strumentalizzazione dell'impulso sessuale), pittoriche (Il quarto stato, La morte di Marat, le molteplici Deposizioni di Cristo di cui è piena la storia dell'arte occidentale). La dissacrazione dell'unità di genere accompagna dunque quella di un concetto rigido di appartenenza o del rispetto delle tradizioni, senza tuttavia mai scadere nell'irriverenza, se, anzi, ciò che si ricerca è proprio il senso originario delle religioni, strumento di pacifica regolamentazione sociale e non muro divisorio. Ma la risoluzione definitiva del conflitto, di quello ontologicamente fondato nell'animo umano, non può che passare per la fratellanza, attraverso la dimostrazione che anche il nemico è un proprio simile. È su questo che si gioca lo scambio finale: un'abiura che si rivela come il più tenace atto di fede. Di fede nella possibilità di un mondo migliore. Alla luce di ciò va interpretata la domanda conclusiva, che fornisce il titolo e che inscrive il film in un cerchio (di nuovo il cimitero). Per nulla retorica e nemmeno tritamente esistenzialista come veniva da sospettare, dà ragione del propizio disorientamento, dell'avvenuta rottura di quegli schemi esiziali che è necessaria premessa escatologica.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a marica romolini »
[ - ] lascia un commento a marica romolini »
|
|
d'accordo? |
|
gabriella
|
mercoledì 10 aprile 2013
|
donne oltre
|
|
|
|
In “Volver” la scena iniziale vedeva un gruppo di donne intente a pulire le lapidi dei loro cari, mentre un vento dispettoso vanificava il lavoro svolto, cosicchè le protagoniste dovevano ricominciare il lavoro, e nel film della Labaki, un gruppo di donne cammina unito sotto il sole cocente fino al cimitero, e si dividono solo all’entrata, musulmane e cristiane, ma accumunate dallo stesso dolore, Sono madri, mogli,sorelle, che piangono mariti, figli, fratelli, uccisi da una guerra assurda e ingiustificata, frutto di un’intolleranza ottusa e insensata degli uomini del villaggio libanese dove sembra non possa coesistere una reciproca rispettabilità.
L’intuizione e la caparbietà femminile hanno il potere d’inventarsi l’impossibile, per questo il film si muove abilmente tra commedia, dramma e musical , perché è la capacità stessa delle donne a immedesimarsi e calarsi in qualsiasi situazione , in un perfetto esercizio di equilibrio e abilità .
[+]
In “Volver” la scena iniziale vedeva un gruppo di donne intente a pulire le lapidi dei loro cari, mentre un vento dispettoso vanificava il lavoro svolto, cosicchè le protagoniste dovevano ricominciare il lavoro, e nel film della Labaki, un gruppo di donne cammina unito sotto il sole cocente fino al cimitero, e si dividono solo all’entrata, musulmane e cristiane, ma accumunate dallo stesso dolore, Sono madri, mogli,sorelle, che piangono mariti, figli, fratelli, uccisi da una guerra assurda e ingiustificata, frutto di un’intolleranza ottusa e insensata degli uomini del villaggio libanese dove sembra non possa coesistere una reciproca rispettabilità.
L’intuizione e la caparbietà femminile hanno il potere d’inventarsi l’impossibile, per questo il film si muove abilmente tra commedia, dramma e musical , perché è la capacità stessa delle donne a immedesimarsi e calarsi in qualsiasi situazione , in un perfetto esercizio di equilibrio e abilità . Sono le donne di Almadovar, che il vento della Mancia rende folli, sono le donne del sesto piano di Le Guay, sono le donne di Bertolucci, che in Novecento si stendono a terra sull’argine del Po davanti ai militari a cavallo, sono donne che non si arrendono e tengono accesa la speranza di un futuro migliore.
Nadine Labaki, che già ci aveva deliziato con “Caramel” e il suo salone di bellezza, riuscendo a caramellare il sogno d’amore di ogni donna in un elastico morbido da impastare,ma doloroso allo strappo, non riesce , pur con un buon lavoro, a eguagliare il film d’esordio. Non basta la passione, la partecipazione ad amalgamare tutti gli ingredienti per una pellicola di qualità , c’è qualche incertezza, lo sguardo a volte indugia un po’ troppo su alcuni aspetti, anziché scivolare, però ha il pregio di essere un lavoro fatto con il cuore e quando ci si mette troppo il cuore, l’emotività può giocare qualche scherzo, elemento questo perdonabile perché alla fine è un film gradevole, pieno di vigore e femminilità.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a gabriella »
[ - ] lascia un commento a gabriella »
|
|
d'accordo? |
|
shingo tamai
|
venerdì 31 marzo 2017
|
i tre messaggi
|
|
|
|
Bella e brava Nadine Labaki.
Ottima l'ambientazione,buone le musiche e i costumi per un film sulla guerra tutto al femminile.
Nonostante una sceneggiatura che non sempre è a livelli strepitosi e qualche tocco in stile musical non troppo indovinato,credo che ci siano almeno tre Messaggi che valgono da soli il prezzo del biglietto.
Il primo è che la guerra è una delle cose più insensate e dannose che possano avvenire.
Il secondo è che fosse per l'intelligenza femminile non ce ne sarebbero proprio.
Il terzo è che gioie e dolori appartengono a tutti i tipi di individui, di qualunque religione,portando all'ovvia ,ma non scontata conclusione,che su questa terra siamo tutti uguali.
[+]
Bella e brava Nadine Labaki.
Ottima l'ambientazione,buone le musiche e i costumi per un film sulla guerra tutto al femminile.
Nonostante una sceneggiatura che non sempre è a livelli strepitosi e qualche tocco in stile musical non troppo indovinato,credo che ci siano almeno tre Messaggi che valgono da soli il prezzo del biglietto.
Il primo è che la guerra è una delle cose più insensate e dannose che possano avvenire.
Il secondo è che fosse per l'intelligenza femminile non ce ne sarebbero proprio.
Il terzo è che gioie e dolori appartengono a tutti i tipi di individui, di qualunque religione,portando all'ovvia ,ma non scontata conclusione,che su questa terra siamo tutti uguali.
Originale e divertente,nonostante temi importanti ed accadimenti a volte tragici ,ne consiglio la visione a tutti.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a shingo tamai »
[ - ] lascia un commento a shingo tamai »
|
|
d'accordo? |
|
|