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Cronenberg illustra il triangolo (virtuale) tra Carl Jung, Sigmund Freud e Sabine Spielrein nel primo quarto del ventesimo secolo… Basato su una pièce teatrale, a sua volta tratta da un libro (già questo dà un primo senso di polpettone della domenica sera…), A Dangerous Method risulta un’opera narrativa piuttosto verbosa e statica. I personaggi sono tutto sommato ben delineati dall’inizio, anche se, forse proprio per questo, alla fine risultano piuttosto didascalici e bidimensionali. Jung, curioso, intuitivo, contradditorio; Freud, dogmatico, scientifico, razionale; la Spielrein destinata ad essere vittima (consapevole) di se stessa, intrappolata tra il martello e l’incudine. Di fatto, neanche una volta nel film questi personaggi escono dalla loro parte, ogni azione è perfettamente prevedibile. I dialoghi non sopperiscono, purtroppo, alla mancanza di sviluppo della trama. Anzi, il film di per sé sembra una sequenza di episodi piuttosto che un’opera unica.
A differenza del rapporto Jung/Spielrein (piatto) e quello Freud/Spielrein (appena accennato, anche se di fatto la Spielrein, e non Jung, è la vera prosecutrice del pensiero di Freud, come si capisce nel film), il rapporto tra il maestro (Freud) e il discepolo (Jung) avrebbe senz’altro i suoi punti di interesse, anche se, fastidiosamente, i due giocano semplicemente ad interpretare i rispettivi sogni (o fanno finta di farlo) per comunicare tra di loro, questo per almeno 3 volte nel film, rendendo il gioco noioso, invece di affrontare in modo godibile, l’inevitabile divergenza dei due pensieri, e le motivazioni che sottendono (Freud rappresenta un modello scientifico avulso dalla cultura dominante, Jung è invece immerso nello Zeitgeist della propria epoca, ormai prossimo alle mitologie ed epiche dei totalitarismi del ‘900).
Purtroppo, A Dangerous Method risulta essere un’opera minore di Cronenberg, assolutamente asettica e a tratti poco ispirata, di certo non supportato dalle glaciali interpretazioni di Fassbender e Mortensen, e da quella posticcia della Knightley (altro che metodo Stanislavskij…). Anche la regia appare più adatta ad uno sceneggiato tedesco, che ad un film con queste aspettative. Si salva, a sorpresa, il quasi cameo di Vincent Cassel, nella parte dell’erotomane e nichilista Otto Gross, che dà un senso di leggerezza e calore nella sua visione del personaggio.
Per alcuni versi questo film ricorda (con pregi e difetti) il Kinsey di Bill Condon... Evidentemente la tematica dell’Eros studiata in modo quasi entomologico deve essere piuttosto complessa da riportare sullo schermo, anche per un maestro certo non timido come Cronenberg. In definitiva, un film che si perderà presto nella memoria. Peccato, perché i presupposti per una pellicola interessante c’erano tutti.
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enterthemax
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venerdì 6 settembre 2013
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interpretazione parziale
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Mi dispiace, ma leggendo il suo commento non posso che dissentire su diversi punti. Naturalmente il tuo gusto personale è inopinabile, ma per una lettura consapevole di questo particolare film c'è bisogno di un minimo di preparazione sui tre grandissimi personaggi che vi sono rappresentati. Ad esempio, il momento in cui i due si raccontano i propri sogni (tra l'altro ci sono documentazioni in questo senso) per due studiosi dell'inconscio è una situazione di estrema intimità e pregnanza. Grande errore, inoltre, quello di considerare jung così "integrato" nella cultura medica degli anni 20: il suo metodo, così poco scientifico e tanto "magico" trova proprio nelle parole di Freud un'espressione del disappunto del senso comune.
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Mi dispiace, ma leggendo il suo commento non posso che dissentire su diversi punti. Naturalmente il tuo gusto personale è inopinabile, ma per una lettura consapevole di questo particolare film c'è bisogno di un minimo di preparazione sui tre grandissimi personaggi che vi sono rappresentati. Ad esempio, il momento in cui i due si raccontano i propri sogni (tra l'altro ci sono documentazioni in questo senso) per due studiosi dell'inconscio è una situazione di estrema intimità e pregnanza. Grande errore, inoltre, quello di considerare jung così "integrato" nella cultura medica degli anni 20: il suo metodo, così poco scientifico e tanto "magico" trova proprio nelle parole di Freud un'espressione del disappunto del senso comune. Infine trovo l'interpretazione di Fassbender ineccepibile: qualche giorno fa ho guardato un'intervista al vecchio Carl, ed addirittura la mimica facciale è perfetta.La vera pecca di questo film, purtroppo, è il suo non voler essere troppo mainstream: solo chi si sia approcciato in maniera anche superficiale al vaso di Pandora scoperto da questi due filosofi della psiche può comprenderne minimamente la profondità: e purtroppo sono troppe poche persone.
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