lorenzodv
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sabato 28 dicembre 2019
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allora, tutte quante fuori.
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"Right, everybody out. " Questa è la versione lunga del resoconto sull'incontro tra le rappresentanti del reparto lavorazione sedili e la direzione aziendale dello stabilimento Ford di Dagenham. C'è anche una versione breve: un capannone vuoto (e il dirigente che spegne la luce, visto che non si guadagna evitiamo di spendere).
Esiste una recensione autorevole su questo film, fatta in un'intervista da due delle protagoniste di quei fatti. Il film narra in maniera fedele ciò che avvenne, pur con talune licenze che sono necessarie alla narrazione cinematografica, come la creazione di una figura eroica che nella realtà non è esistita ma che serve come voce narrativa, per riunire in una sola persone che catalizzi l'attenzione dello spettatore l'esposizione delle ragioni etiche e politiche della rivendicazione.
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"Right, everybody out. " Questa è la versione lunga del resoconto sull'incontro tra le rappresentanti del reparto lavorazione sedili e la direzione aziendale dello stabilimento Ford di Dagenham. C'è anche una versione breve: un capannone vuoto (e il dirigente che spegne la luce, visto che non si guadagna evitiamo di spendere).
Esiste una recensione autorevole su questo film, fatta in un'intervista da due delle protagoniste di quei fatti. Il film narra in maniera fedele ciò che avvenne, pur con talune licenze che sono necessarie alla narrazione cinematografica, come la creazione di una figura eroica che nella realtà non è esistita ma che serve come voce narrativa, per riunire in una sola persone che catalizzi l'attenzione dello spettatore l'esposizione delle ragioni etiche e politiche della rivendicazione.
In quel periodo gli scioperi erano un fatto ordinario, si scioperava continuamente e per periodi molto lunghi; lo sciopero di Dagenham fu speciale perché era stato organizzato dalle donne e portò a conseguenze ben maggiori di quelle richieste e sperate. La condizione lavorativa femminile cambiò prima nel Regno Unito (per legge) e poi nel mondo.
Negli anni '80 non c'era internet. Ricordo che un'affermazione di mia madre mi costò una giornata di ricerche in biblioteca. Mia madre mi raccontava che vent'anni prima quando lavorava in un uffico le donne erano pagate meno degli uomini a parità di lavoro. Ciò che soli vent'anni dopo a me sembrò un'assurdità da verificare storicamente a mia madre sembrava un dato di fatto abbastanza ovvio, scontato. Le operaie di Dagenham erano animate dalla mia stessa ingenuità, non combattevano la cultura dell'epoca, la ignoravano. Combattevano però una situazione attuale.
Il film racconta in modo efficace tutti i risvolti della lotta sindacale, la necessità di spiegare le proprie ragioni, l'opposizione di categorie sociali con interessi avversi, il rapporto con l'appartenenza da un lato alla propria classe e dall'altro alle categorie sociali della famiglia e del genere.
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sergio dal maso
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domenica 28 giugno 2015
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c'era una volta la lotta per i diritti....
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A scanso di malintesi We want sex non parla di sesso ma di parità tra i sessi. Ciò per cui lottano le protagoniste è la parità salariale e di condizioni di lavoro tra uomini e donne. Lo striscione all’origine dell’equivoco completamente srotolato afferma infatti “we want sex equality”.
Il film parla di un mondo del lavoro maschilista in cui le donne sono discriminate ed hanno poche tutele, un mondo in cui i sindacati sono incapaci di comprendere i cambiamenti epocali in corso e i padroni delle fabbriche minacciano di spostare la produzione all’estero per spegnere le rivendicazioni dei lavoratori.
“Un film drammatico sull’Italia di oggi!”, esclamerà qualcuno.
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A scanso di malintesi We want sex non parla di sesso ma di parità tra i sessi. Ciò per cui lottano le protagoniste è la parità salariale e di condizioni di lavoro tra uomini e donne. Lo striscione all’origine dell’equivoco completamente srotolato afferma infatti “we want sex equality”.
Il film parla di un mondo del lavoro maschilista in cui le donne sono discriminate ed hanno poche tutele, un mondo in cui i sindacati sono incapaci di comprendere i cambiamenti epocali in corso e i padroni delle fabbriche minacciano di spostare la produzione all’estero per spegnere le rivendicazioni dei lavoratori.
“Un film drammatico sull’Italia di oggi!”, esclamerà qualcuno. Niente di più sbagliato. We want sex è una commedia brillante e coinvolgente, di forte impegno sociale ma all’insegna del sorriso e della leggerezza. La storia, ambientata nel ‘68 e realmente accaduta, è quella del primo grande sciopero femminile, della lotta delle 187 operaie del più grande stabilimento inglese della Ford (all’epoca il quarto più grande del mondo con 55.000 dipendenti uomini e 187 donne) per ottenere la parità di retribuzione con quella dei colleghi maschi. La scintilla che accende la protesta delle lavoratrici addette alla cucitura dei sedili dello stabilimento di Dagenham, che lavorano in condizioni vergognose, con un’afa tremenda e in uno stabile fatiscente, è il declassamento ad operaie non qualificate. La protesta divamperà in un incendio, uno sciopero ad oltranza di 3 settimane che metterà in ginocchio non solo la produzione della Ford ma anche le relazioni politico-industriali nazionali e internazionali, riuscendo a conquistare il diritto alla parità retributiva anche dal punto di vista giuridico con la legge “equality pay act” del 1970.
Protagonista della battaglia salariale e leader improvvisata della protesta è Rita O’Grady (la superba Sally Hawkins), una operaia minuta ma sanguigna e combattiva capace di trascinare le compagne alla lotta ma
anche di sostenerle e rincuorarle nei momenti di difficoltà. Prima di essere operaie, infatti, le protagoniste sono donne, fiere e solidali, con il peso della famiglia e dei pregiudizi sulle spalle ed una parità coniugale da
conquistare assieme a quella retributiva. Donne moderne e vitali che vestono colori sgargianti e ballano il rock ‘n roll, opposte all’opportunismo pavido dei grigi sindacalisti e al maschilismo di una società conservatrice poco disposta ad accettare il progresso sociale. Con lo sciopero infatti si incrinano anche i rapporti familiari e i delicati equilibri nelle relazioni coniugali. Ma alla fine le donne sono comunque protagoniste del loro destino, non solo le battagliere operaie che rivoluzioneranno i diritti del mondo del lavoro, anche la moglie del dirigente della Ford, laureata ad Oxford e relegata a casalinga obbediente, trova la forza di ribellarsi, e la ministra Barbara Castle prima si dimostra ostile poi disposta a concedere alle lavoratrici i diritti che legittimamente reclamano.
Difficile non apprezzare We want sex, improbabile uscire dalla sala senza il sorriso sulle labbra. E’ una commedia che unisce passione civile ed ironia senza mai apparire retorica, assumendo a tratti anche il tono della favola moderna. Emoziona la semplicità e la sincerità di Rita O’Grady ma soprattutto il fatto che le protagoniste sono vere, autentiche come i loro sentimenti, le loro frustrazioni ed i problemi quotidiani e familiari che devono affrontare. Non lottano per la rivoluzione ma per i loro diritti e il futuro delle loro famiglie. Molte comparse utilizzate nelle scene dello sciopero sono vere operaie che hanno perso il lavoro nella fabbrica gallese dismessa dove sono state girate la maggior parte delle riprese. Come sono autentiche le arzille ex-lavoratrici che compaiono nei titoli di coda, fatte sfilare al festival del Cinema di Roma al posto delle attrici del film. E questo è un ulteriore merito del regista Nigel Cole, capace di confezionare una commedia impegnata sul mondo del lavoro assolutamente riuscita e credibile pur senza entrare nel terreno, più naturale per queste tematiche, del dramma sociale o del pessimismo politico alla Ken Loach. Certo, la sensazione che si ha è quella di un mondo che non c’è più, e non per le pettinature anni 70 o i vestiti vintage, quella società guardava ancora al futuro con ottimismo, con la speranza e la voglia di credere che il domani sarebbe stato migliore.
Forse We want sex piace proprio per questo, perchè in questo momento storico drammatico dove è difficile immaginare un futuro migliore trasmette la nostalgia di un’epoca lontana, dove si credeva ancora nell’idea, magari semplice e banale, di lottare per cambiare il mondo non in nome di ideologie astratte ma, come di dice Rita O’Grady, “perché è giusto!”.
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framenne
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venerdì 15 giugno 2012
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titolo orrendo per un bel film
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Ovviamente ancora una volta il titolo non c'entra nulla con il contenuto del film e con gli ideali che hanno spinto queste donne a chiedere la parita' dei diritti lavorativi tra uomini e donne...mi chiedo se sia una trovata tutta italiana quella di cambiare il titolo di un film inglese con un ulteriore titolo in inglese fuori luogo.
Temo solo che sia una trovata publicitaria, cosi' la gente va a vederlo solo perche' c'e' scritto "sex", e questo gli italiani lo capiscono anche se fosse scritto in cirillico, o lo dobbiamo prendere come un insulto alla nostra intelligenza ????
Trovate il soggetto che ha messo in giro la moda di cambiare i titoli originali, creando scempi in inglese, e chiedetegli se sa quello che scrive!!!!!!!!
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owlofminerva
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giovedì 3 maggio 2012
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abbiamo ancora bisogno di quelle donne
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E’ il 1968, Dagenham, Inghilterra. La fabbrica della Ford dà lavoro a 55mila operai e a 187 donne, addette alla cucitura dei sedili per auto in un’ala della fabbrica che cade a pezzi, in condizioni precarie. Un bel giorno la fabbrica decide di sottoporre le donne ad una ridefinizione professionale che le vuole “non qualificate”. Vengono pagate meno della metà degli uomini per analoghe mansioni. Le operaie scioperano ad oltranza fino a paralizzare anche il lavoro degli uomini, dell’industria intera.
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E’ il 1968, Dagenham, Inghilterra. La fabbrica della Ford dà lavoro a 55mila operai e a 187 donne, addette alla cucitura dei sedili per auto in un’ala della fabbrica che cade a pezzi, in condizioni precarie. Un bel giorno la fabbrica decide di sottoporre le donne ad una ridefinizione professionale che le vuole “non qualificate”. Vengono pagate meno della metà degli uomini per analoghe mansioni. Le operaie scioperano ad oltranza fino a paralizzare anche il lavoro degli uomini, dell’industria intera. Lo striscione che le operaie cercano di dispiegare in una manifestazione reca scritto “We want sex equality” (“vogliamo parità di genere”), ma il vento rende difficoltosa l’operazione e appare solo lo scritta ”We want sex”, metafora di una società che riduce le donne, oggi come ieri, a oggetti sessuali dell’immaginario maschile e ne mortifica sistematicamente le aspirazioni professionali e il desiderio di realizzazione. Il film riesce a valorizzare l’inesperienza come elemento vincente del conflitto: le protagoniste sono donne modeste, sono le donne delle case popolari che affrontano la materia politica, presunto appannaggio di maschi acculturati, facendo accalorare anche le signore borghesi e trovando l’appoggio della deputata Barbara Castle, pronta a lottare con loro contro una legge iniqua e obsoleta. La commedia nasce dalle testimonianze di un evento storico che porterà alla legge sulla parità di retribuzione. La carta vincente rimane una: la solidarietà, quella delle donne anche se borghesi, e quella degli uomini che si affiancano alle donne in questa battaglia. Quella protesta si conserva forte e necessaria, anche oggi. Abbiamo bisogno di quelle donne, nelle nostre amministrazioni comunali.
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filippo catani
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sabato 21 gennaio 2012
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la rivolta delle operaie inglesi
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Nel 1968 le operaie di uno stabilimento Ford di rpovincia iniziano uno sciopero per richiedere la parità salariale con i colleghi maschi. La vicenda crea scossoni sia nel governo, sia nella proprietà ma anche e soprattutto all'interno del sindacato stesso.
Il film racconta con piacevolezza la serrata lotta di un manipolo di operaie di provincia. E certamente quello che più colpisce è la grande ostilità che queste donne trovarono all'interno del sindacato. Ma soprattutto il film ci mostra quanto poco fossero considerata le donne in ogni settore. Molto forte la figura della moglie del responsabile della Ford che, pur essendo laureata, è considerata dal marito al pari di una domestica.
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Nel 1968 le operaie di uno stabilimento Ford di rpovincia iniziano uno sciopero per richiedere la parità salariale con i colleghi maschi. La vicenda crea scossoni sia nel governo, sia nella proprietà ma anche e soprattutto all'interno del sindacato stesso.
Il film racconta con piacevolezza la serrata lotta di un manipolo di operaie di provincia. E certamente quello che più colpisce è la grande ostilità che queste donne trovarono all'interno del sindacato. Ma soprattutto il film ci mostra quanto poco fossero considerata le donne in ogni settore. Molto forte la figura della moglie del responsabile della Ford che, pur essendo laureata, è considerata dal marito al pari di una domestica. Naturalmente il film si concentra anche su tutte le tragiche difficoltà a cui queste donne andarono incontro in quanto il loro sciopero finì per bloccare anche il lavoro degli uomini gettando intere famiglie sull'orlo del lastrico. Sarà la grande determinazione di queste donne e del loro leader che faranno sì di ottenere grandi risultati e di lì a poco la parità salariale questione che, seppur ormai quasi risolta, continua a sollevare problemi e discussioni ahimè ancora al giorno d'oggi.
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nigel mansell
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venerdì 14 ottobre 2011
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storico, istruttivo e divertente
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Un modo per fare informazione brillante e divertente, per non dimenticare che per i diritti che abbiamo qualcuno ci ha lottato. Bravissima la protagonista dal sorriso contagioso, ma tutti gli attori sono al posto giusto e molto credibili.
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vittorio dornetti
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domenica 5 giugno 2011
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la lotta delle donne
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Non sarà un capolavoro, ma dice molte cose vere e autentiche sul meccanismo della sopraffazione nella nostra società, e aiuta anche a capire che, quando i profitti non sono quelli che si vorrebbero, ma un po' meno,l'industria fa il diavola a quattro, ricatta, minaccia, prevede catastrofi, tanto la pelle è degli altri ( e per pelle si intende anche vivere quotidianamente in un luogo di lavoro impossibile, asfissiante). Personalmente ho trovato straziante la scena della donna colta, laureata in storia, che viene trattata come una serva dal marito. Provo la più violenta antipatia per pseudoffemministe come Lilli Gruber, ma bisogna fare un esame di coscienza su queste cose.
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Non sarà un capolavoro, ma dice molte cose vere e autentiche sul meccanismo della sopraffazione nella nostra società, e aiuta anche a capire che, quando i profitti non sono quelli che si vorrebbero, ma un po' meno,l'industria fa il diavola a quattro, ricatta, minaccia, prevede catastrofi, tanto la pelle è degli altri ( e per pelle si intende anche vivere quotidianamente in un luogo di lavoro impossibile, asfissiante). Personalmente ho trovato straziante la scena della donna colta, laureata in storia, che viene trattata come una serva dal marito. Provo la più violenta antipatia per pseudoffemministe come Lilli Gruber, ma bisogna fare un esame di coscienza su queste cose.
Per il resto il film funziona benissimo almeno per chi, come me, crede che il cinema sia anche intrattenimento e che se si vuole far riflettere anche gente che non lo fa a livello professionale, occorre presenragli le cose in maniera accattivante e gradevole, senza trionfalismi (e non si dica che il film passi sotto silenzio i costi umani che una lotta di quel tipo presuppone). E comunque divertire non significa bocciare a priori l'arte o almeno l'abilità professionale. Bel film dunque, che ci aiuta a ricordare che le ingiustizie ci sono state e ci sono ancora.
Vittorio Dornetti
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taxidriver
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sabato 19 febbraio 2011
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la ribellione? roba da donne!
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Dagenham, sobborgo orientale di Londra. Siamo nel 1968, l'anno della contestazione planetaria. Nello stabilimento Ford di Dagenham lavorano ben 55.000 uomini e solo 187 donne, addette alla cucitura dei sedili per le auto. Un lavoro considerato non qualificato dalla dirigenza Ford, e quindi meno retribuito rispetto a quello degli uomini. Qualcosa non quadra... le donne lo capiscono, e cominiciano la loro battaglia. Il merito del film di Cole è quello di trattare un argomento serio con l'humour tipico britannico, amalgamando con maestria e coerenza il dramma e la commedia, quindi la lotta sociale e l'allegria con cui le donne la portano avanti.
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Dagenham, sobborgo orientale di Londra. Siamo nel 1968, l'anno della contestazione planetaria. Nello stabilimento Ford di Dagenham lavorano ben 55.000 uomini e solo 187 donne, addette alla cucitura dei sedili per le auto. Un lavoro considerato non qualificato dalla dirigenza Ford, e quindi meno retribuito rispetto a quello degli uomini. Qualcosa non quadra... le donne lo capiscono, e cominiciano la loro battaglia. Il merito del film di Cole è quello di trattare un argomento serio con l'humour tipico britannico, amalgamando con maestria e coerenza il dramma e la commedia, quindi la lotta sociale e l'allegria con cui le donne la portano avanti. Le donne, si sa, quando si mettono in testa una cosa... Viene fuori così un ritratto della donna duro, combattivo, ostinato e al tempo stesso dolce, delicato, brioso. Le donne vanno contro tutti e tutto, persino contro il sindacato comunista, spiazzato dalle loro (sacrosante) rivendicazioni. Una storia vera che non va dimenticata, ma presa ad esempio in un mondo che ancora oggi spesso non ha raggiunto dappertutto l'effettiva parità dei sessi.
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writer58
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lunedì 17 gennaio 2011
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dagenham, 1968
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Il '68 ha molti aspetti, molte facce. Da quello mitico e mitizzato del Maggio francese, al movimento che ha scosso le università e le piazze italiane, alle spinte controculturali e libertarie in un' America che protestava contro la guerra del Vietnam.
Questo film propone un apisodio apparentemente minore, ma che ha modificato in modo permanente i rapporti tra imprese e operai, la lotta di 187 donne della Ford di Dagenham, in Inghilterra, per ottenere parità di salario. E' una lotta condotta in modo intransigente fino alla vittoria, a dispetto della politica del colosso industriale, dei sindacati sostanzialmente disinteressati a sostenere la rivendicazione, degli stessi mariti che vedono scemare il reddito famigliare e la presenza delle loro mogli nelle incombenze di casa.
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Il '68 ha molti aspetti, molte facce. Da quello mitico e mitizzato del Maggio francese, al movimento che ha scosso le università e le piazze italiane, alle spinte controculturali e libertarie in un' America che protestava contro la guerra del Vietnam.
Questo film propone un apisodio apparentemente minore, ma che ha modificato in modo permanente i rapporti tra imprese e operai, la lotta di 187 donne della Ford di Dagenham, in Inghilterra, per ottenere parità di salario. E' una lotta condotta in modo intransigente fino alla vittoria, a dispetto della politica del colosso industriale, dei sindacati sostanzialmente disinteressati a sostenere la rivendicazione, degli stessi mariti che vedono scemare il reddito famigliare e la presenza delle loro mogli nelle incombenze di casa.
Il film di Nigel ricostruisce la vicenda in modo avvincente e corretto, scegliendo un registro intermedio tra le pellicole d'impegno sociale alla Ken Loach e la commedia proletaria alla "Full Monty", si avvale di un cast eccellente e racconta una storia che suscita nello spettatore empatia e solidarietà.
Lo striscione che le operaie cercano di dispiegare in una manifestazione reca scritto "We want sex equality" ("vogliamo parità di genere"), ma il vento rende difficoltosa l'operazione e appare solo lo scritta . "We want sex". Metafora di una società che riduce le donne, oggi come ieri, a oggetti sessuali dell'immaginario maschile e ne mortifica sistematicamente le aspirazioni professionali e il desiderio di realizzazione.
Un buon film, privo di retorica, che racconta un pezzo del nostro passato recente.
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smighish
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lunedì 10 gennaio 2011
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delizioso
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Film delizioso, dignitoso, molto meno commedia di quello che vuole sembrare. Riporta la mente indietro, a qualcosa che ora non c'è più, o almeno è sopito. Dovrebbe spronare e incoraggiare, perchè sono in arrivo tempi duri che richiederanno la forza e il coraggio di un tempo.
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