gianleo67
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venerdì 28 marzo 2014
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rue morge santiago
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Impiegato presso l'obitorio di Santiago del Cile, dove si occupa di trascrivere i referti autoptici, Mario conduce una vita grigia e solitaria cullando una indolente ossessione sentimentale per la vicina di casa, soubrettina di avanspettacolo in crisi professionale e umana. Quando le squadre della morte del generale Pinochet sterminano la famiglia di lei in seguito al golpe in cui viene deposto e ucciso il presidente Allende, egli approfitta della sua posizione di vantaggio per tenerla nascosta, ventilando proditoriamente una proposta di matrimonio. Il suo rifiuto le sarà fatale... Continua, dopo il riuscito esordio del 'Tony Manero' vincitrice al TFF, la trilogia di Larrain sugli anni del regime militare del generalissimo Pinochet (qui proprio nei gironi a ridosso del golpe del 1973), attraverso un ulteriore ritratto del disagio esistenziale ed etico cui lo stesso Alfredo Castro presta la sua maschera di impassibile ambiguità, nei suoi spostamenti compulsivi lungo quella incerta linea di demarcazione tra l'ossequio al potere ed le aberrazioni morali di un egocentrismo laido e disumano.
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Impiegato presso l'obitorio di Santiago del Cile, dove si occupa di trascrivere i referti autoptici, Mario conduce una vita grigia e solitaria cullando una indolente ossessione sentimentale per la vicina di casa, soubrettina di avanspettacolo in crisi professionale e umana. Quando le squadre della morte del generale Pinochet sterminano la famiglia di lei in seguito al golpe in cui viene deposto e ucciso il presidente Allende, egli approfitta della sua posizione di vantaggio per tenerla nascosta, ventilando proditoriamente una proposta di matrimonio. Il suo rifiuto le sarà fatale... Continua, dopo il riuscito esordio del 'Tony Manero' vincitrice al TFF, la trilogia di Larrain sugli anni del regime militare del generalissimo Pinochet (qui proprio nei gironi a ridosso del golpe del 1973), attraverso un ulteriore ritratto del disagio esistenziale ed etico cui lo stesso Alfredo Castro presta la sua maschera di impassibile ambiguità, nei suoi spostamenti compulsivi lungo quella incerta linea di demarcazione tra l'ossequio al potere ed le aberrazioni morali di un egocentrismo laido e disumano. Formalmente più freddo e asettico di quanto non fosse già l'opera precedente, Larrain epura il suo realismo simbolico dalle residue tracce di sottolineature musicali, per proporci la raggelante cronaca di un massacro annunciato, laddove i rumori d'ambiente e la scarna progressione narrativa (tra inquadrature fisse e la inesorabile lentezza del montaggio) suggeriscono,più che mostrarlo direttamente, l'orrore della dissezione anatomica del corpo martoriato di una democrazia popolare vituperata e tradita, il silenzio assordante di una violenza disumana che produce (come tutte le epurazioni politiche che si rispettino) il macabro inventario di un inarrestabile genocidio. Attraverso un artificio ellittico di spiazzante semplicità, l'autore ci mostra la sorte predestinata di una vittima sacrificale (una tra le tante) quale indiretta conseguenza di un clima 'morale' di crudele impunità, riproponendo (come nel personaggio-feticcio della sua opera precedente) le degenerazioni sociopatiche di un 'uomo senza qualità', un grigio funzionario-dattilografo che non sa battere a macchina, amante impotente di un desiderio non corrisposto, servile militante di un potere in cui non crede ma che si dispone ad assecondare con la infingarda doppiezza di chi persegue cinicamente i propri scopi. Cinema etico in cui la scelta delle soluzioni figurative (la doppiezza del personaggio-simbolo, il climax di allarmante provvisorietà, la asettica freddezza di una fotografia da 'camera mortuaria') si coniuga mirabilmente con le sue ragioni politiche ed il suo impegno civico, assecondando la vena di un autore che non ostante l'età anagrafica sa come rigirare dolorosamente il coltello (pardon il bisturi) nelle ferite ancora aperte di una storia patria di laceranti divisioni e conflitti irrisolti, percorrendo ancora una volta quelle strade lastricate che altrove ed in momenti diversi hanno portato ad esiti espressivi di straordinaria consonanza (per citarne due pensiamo a 'Spalovac mrtvol' di Juraj Herz del 1969 e 'Cekist' di Aleksandr Rogozhkin del 1992) a ricordarci che nell'orrore dei corsi e ricorsi storici l'abominio e l'aberrazione si manifestano attraverso le ambigue e sulfuree personificazione di una sconcertante 'banalità del male'. Film che si apre simbolicamente sulla soggettiva di un carrello da 'morgue' quale macabro presagio di un blindato che attraversa la devastazione golpista delle strade di Santiago e si chiude con la spietata pianificazione di una puerile e disumana vendetta. Nomination per il Leone d'oro al Festival di Venezia 2010.
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mareincrespato70
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domenica 3 novembre 2013
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viaggio all'inferno senza ritorno...
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Santiago del Cile 1973: vicende private minimaliste si intrecciano con le tragedie e gli orrori della Storia. Il sottotitolo potrebbe essere: cosa facciamo noi essere umani, per evitare la morte, a cosa siamo disposti?
Film scarno nella sua purezza di una efficace scrittura cinematografica: in una Santiago livida, di cui si intravedono solo pochi esterni, in una perfetta ricostruzione anni settanta, il funzionario della sala autopsie Mario Corneo fa i conti con la morte che sfida la sua coscienza, e con l'amor di morte per la ballerina Nancy Puelma...Nessuna concessione allo spettatore, ma una maniera di raccontare e di girare tipica del grande cinema d'autore.
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Santiago del Cile 1973: vicende private minimaliste si intrecciano con le tragedie e gli orrori della Storia. Il sottotitolo potrebbe essere: cosa facciamo noi essere umani, per evitare la morte, a cosa siamo disposti?
Film scarno nella sua purezza di una efficace scrittura cinematografica: in una Santiago livida, di cui si intravedono solo pochi esterni, in una perfetta ricostruzione anni settanta, il funzionario della sala autopsie Mario Corneo fa i conti con la morte che sfida la sua coscienza, e con l'amor di morte per la ballerina Nancy Puelma...Nessuna concessione allo spettatore, ma una maniera di raccontare e di girare tipica del grande cinema d'autore. IL regista cileno Pablo Larrain filma e firma un autentico capolavoro: viaggio all'inferno senza ritorno e marcia funebre per le propria coscienza: perchè si deve sopravvivere e troppo spesso fingiamo di dimenticare il nostro istinto animale.
Film agghiacciante nella sua bellezza cinematografica, da non perdere.
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nigel mansell
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sabato 28 aprile 2012
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la rivoluzione e l'indifferenza
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La rivoluzione e l'indifferenza della gente, che abulicamente subisce senza neanche capire cosa esattamente succede, come accade il protagonista. E mentre si esegue l'autopsia all'ormai ex presidente che è stato suicidato, parallelamente scorre la storia d'amore impossibile. E quando ormai il caos impera, con cadaveri ovunque, diventa cattivo pure lui.
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eugenio
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martedì 20 marzo 2012
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la crisi di un popolo nell'intimità umana
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Post Mortem tratteggia il periodo storico del colpo di stato a danno del socialista Allende in Cile nel 1973 attraverso il punto di vista di un impiegato all' obitorio (che redige le autopsie dei deceduti) quasi specchio della morte da lui "amministrata" con precisa maniacalità. Innamorato segretamente di una reginetta del cabaret, una smagrita e consumata giovinetta sua vicina di casa, il freddo funzionario rimarrà invischiato nei tumulti repressivi propri del delicato contesto storico vissuto: il golpe militare di Pinochet,la morte di Allende e la sanguinosa repressione contro il comunismo.
Dalla contigenza particolare di un uomo dinanzi ad una vicenda apparentemente banale che esploderà in tutta la sua vena drammatica nella forte scena dell'esplosione e nel cranio fracassato di Allende mostrato cadavere sul tavolo dell'autopsia dinanzi ai militari, Larrain, già regista di Tony Manero descrive la caduta di uno dei più importanti leader cileno effettuando un confronto "forzato" tra la sua figura e quella del solitario redattore .
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Post Mortem tratteggia il periodo storico del colpo di stato a danno del socialista Allende in Cile nel 1973 attraverso il punto di vista di un impiegato all' obitorio (che redige le autopsie dei deceduti) quasi specchio della morte da lui "amministrata" con precisa maniacalità. Innamorato segretamente di una reginetta del cabaret, una smagrita e consumata giovinetta sua vicina di casa, il freddo funzionario rimarrà invischiato nei tumulti repressivi propri del delicato contesto storico vissuto: il golpe militare di Pinochet,la morte di Allende e la sanguinosa repressione contro il comunismo.
Dalla contigenza particolare di un uomo dinanzi ad una vicenda apparentemente banale che esploderà in tutta la sua vena drammatica nella forte scena dell'esplosione e nel cranio fracassato di Allende mostrato cadavere sul tavolo dell'autopsia dinanzi ai militari, Larrain, già regista di Tony Manero descrive la caduta di uno dei più importanti leader cileno effettuando un confronto "forzato" tra la sua figura e quella del solitario redattore . Come il primo appare ora un corpo morto che per la libertà di un popolo ha sacrificato ogni cosa, cosi' Mario, il protagonista, è dilaniato dai tormenti interiori che gli impongono una difficile scelta ideologica tra realtà e ideali,in bilico tra obbedienza al potere e riscatto. L'intera pellicola che sovrappone tre differenti registri cinematografici, quello testimoniale, storico e narrativo con la crudezza realistica di alcune scene scarne e prive di dialoghi (ma non per questo meno intense), è incentrata sull'ossimoro: vita/morte entro cui l'esistenza di Mario sembra intrappolata,una morte dell'anima contrapposta all'ideale della giovane ballerina che verrà nascosta nel cortile del redattore autoptico; libertà e oppressione dinanzi al regime militare, solipsismo forzato e straniamento contro la lucida consapevolezza della violenza. Un incubo di un paese sofferente e immerso nel dolore, l'autopsia di un tumore che non lascia scampo.
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bruno leonardini
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mercoledì 25 maggio 2011
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sottile e profondo
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Il film, ha avuto una distribuzione cinematografica molto scarsa, per questo, appena uscito il dvd, l'ho preso. Non è stato doppiato in italiano, per cui, il film si guarda in lingua originale (spagnolo e quindi molto simile all'italiano) con sottotitoli. La cosa non è pesante, poichè i dialoghi sono pochissimi e quindi ci si concentra sulle immagini. E' la Archibald ad averne acquistato i diritti per l'Italia e ciò dimostra che la compagnia della sig. Vania Taxler Protti, punta decisamente al cinema impegnato e d'autore, con la A maiuscola. Difatti il film è decisamente poco commerciale, molto lento e senza musica. Ciò che contraddistingue le immagini è una definizione bassissima: sembra girato con una di quelle vecchie cineprese di un tempo, che regalavano immagini piuttosto sfumate, sgranate, ma dal grandissimo sapore cinematografico.
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Il film, ha avuto una distribuzione cinematografica molto scarsa, per questo, appena uscito il dvd, l'ho preso. Non è stato doppiato in italiano, per cui, il film si guarda in lingua originale (spagnolo e quindi molto simile all'italiano) con sottotitoli. La cosa non è pesante, poichè i dialoghi sono pochissimi e quindi ci si concentra sulle immagini. E' la Archibald ad averne acquistato i diritti per l'Italia e ciò dimostra che la compagnia della sig. Vania Taxler Protti, punta decisamente al cinema impegnato e d'autore, con la A maiuscola. Difatti il film è decisamente poco commerciale, molto lento e senza musica. Ciò che contraddistingue le immagini è una definizione bassissima: sembra girato con una di quelle vecchie cineprese di un tempo, che regalavano immagini piuttosto sfumate, sgranate, ma dal grandissimo sapore cinematografico. Nulla a che vedere con queste diaboliche telecamere digitali, capaci di avere 10.000 pixel, ma incapaci di restituire quel sapore cinematografico che lo spettatore vorrebbe quando entra in una sala. La pellicola presenta anche numerosi graffi, polvere, che accentuano il sapore tipico degli anni '70... forse messi in post produzione o realmente riprodotti attraverso un tipo di pellicola vecchia. Questo per quanto riguarda l'aspetto visivo, che a mio avviso è superlativo. Il protagonista del film è lo stesso di Tony Manero (film sempre diretto dallo stesso regista), ma qui cambia totalmente look e personaggio. Se in Tony Manero era un ballerino sfrontato, qui diventa un cupo e remissivo dattilografo di referti autoptici. La sua interpretazione è straordinaria. Il regista Pablo Larrain realizza un film dal grandissimo stile, snobbato (come spesso succede per le opere di qualità) in Italia. C'è da soffermarsi sul lavoro svolto da Larrain in questi anni: dopo aver fondato la casa di produzione Fabula, realizza diversi spot nella sua nazione, poi qualche cortometraggio, il primo film poco diffuso ed arriva al successo con Tony Manero. Poi sceglie la strada più ostica del cinema d'autore e firma questo capolavoro assoluto, esempio di stile e grazia. L'atmosfera è lugubre (non poteva essere altrimenti) visto che si parla di cadaveri, di rivoluzione cilena (l'autopsia a Salvator Allende è il momento più toccante). Ma si parla anche di sentimenti distrutti, di prostituzione. Il finale è la disperazione di questo uomo solo.
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spike
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mercoledì 15 dicembre 2010
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angosciante
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La caduta morale di un paese. Film ben girato, ottimi interpreti. Da vedere
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eddie '85
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venerdì 19 novembre 2010
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la conferma del talento di larrain
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"Post mortem" è la conferma del talento di Pablo Larrain.
Ambientato nel Cile del fatidico settembre 1973, racconta di Mario, funzionario alla "Morgue", e innamorato di una scadente e bruttina vecchia gloria del cabaret che è anche sua vicina di casa.
Indifferente alle drammatiche vicende che il paese sta attraversando, ed emotivamente immune alla massa dei cadaveri che gli passano sotto il naso dopo l'11 settembre, il protagonista sembra riuscire ad accendersi e ad avere scatti di apparente moralità solo al pensiero e in funzione del suo amore.
L'egoismo e l'indifferenza del personaggio si possono anche leggere come metafora dell'indifferenza di un intero popolo, e dei suoi comportamenti che hanno portato all'affermarsi del regime.
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"Post mortem" è la conferma del talento di Pablo Larrain.
Ambientato nel Cile del fatidico settembre 1973, racconta di Mario, funzionario alla "Morgue", e innamorato di una scadente e bruttina vecchia gloria del cabaret che è anche sua vicina di casa.
Indifferente alle drammatiche vicende che il paese sta attraversando, ed emotivamente immune alla massa dei cadaveri che gli passano sotto il naso dopo l'11 settembre, il protagonista sembra riuscire ad accendersi e ad avere scatti di apparente moralità solo al pensiero e in funzione del suo amore.
L'egoismo e l'indifferenza del personaggio si possono anche leggere come metafora dell'indifferenza di un intero popolo, e dei suoi comportamenti che hanno portato all'affermarsi del regime.
L'attenzione sull'ossessione e il disinteresse di Mario fa sì che per tutta la prima parte la Storia con la S maiuscola, pur resa drammaticamente evidente dalla primissima inquadratura, rimanga quasi estranea alla narrazione: i tumultuosi giorni che precedono il colpo di stato sembrano banali e fastidiosi intralci al traffico che rovinano la prima uscita con l'amata; lo stesso 11 settembre avviene fuori campo, evocato da rumori mentre la camera è fissa su Mario che si fa la doccia.
Nella seconda parte, la tragedia del paese è evidenziata dalla moltitudine di cadaveri che arrivano all'obitorio, ma l'amoralità del protagonista, accentuata dall'ossessione di cui è vittima, è ancora in primo piano.
Il cupissimo finale, bellissimo quanto angosciante, non lascia scampo.
Duro, con tanto pelo sullo stomaco, crudo e nero, anche se attraversato da lampi di acre ironia e umorismo, "Post mortem" riesce a rendere alla perfezione la sgradevolezza del personaggio, e a fare i conti con la storia del paese.
Tutto il film è attraversato da una rigorosa tensione morale, sostenuta da uno stile asciutto,e, quando necessario, sgradevole (sgradevolezza che non diventa mai maniera o vezzo autoriale): insomma, uno sguardo da anatomo-patologo che però non ti permette di staccare gli occhi dallo schermo. Tutto ciò è evidente nella scena migliore del film, quella dell'autopsia più importante:efficace, inquietante e tesa fino a sfiorare l'insostenibilità, è un grande momento di cinema che non lascia indifferenti e obbliga a fare i conti.
La fotografia è sporca e sgranata come ciò che racconta e descrive.
é un cinema che non fa sconti, ma che ti rimane dentro a lungo e di cui è difficile liberarsi.
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brian77
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martedì 9 novembre 2010
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cinema da festival
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Tutto scontato, senza vita, alla fin fine banale. A un certo punto, la metafora dell'obitorio non riguarda più il Cile di Pinochet, grande morgue dell'umanità, vera tragedia dell'11 settembre, ma incarna un cinema inteso come fantasma, senza più vita. Ennesimo esempio di cinema da festival. E' proprio vero: i festival sono l'obitorio della settima arte.
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renato volpone
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lunedì 8 novembre 2010
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troppo lento
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Il film ha il solo pregio di ricordare gli avvenimenti del golpe militare cileno e invoglia ad andare a rileggere questa pagina di storia. La parte storica viene solo sfiorata con la rappresentazione cruda di una realtà che fa da sfondo alla vita del protagonista, che, invece è squallida e deprimente. La stessa ambientazione all'obitorio appare superficiale rispetto alla parte storica ed inutile per la parte narrativa, considerato che il personaggio è descritto benissimo anche nelle altre scene. Buona la fotografia e le inquadrature ma non è sufficiente per farne un buon film.
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laulilla
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giovedì 4 novembre 2010
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il consenso degli ignavi
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Post Mortem racconta i tragici momenti del golpe militare che cancellò l'esperienza socialista di Salvador Allende in Cile nel settembre del 1973. La tensione sociale e politica, da tempo percepibile nel paese sudamericano, sfociò nell'assalto alla Moneda, residenza ufficiale del presidente cileno, da parte dei militari infedeli, che si schierarono con una parte dell'opinione pubblica ostile, ma soprattutto con i proprietari americani delle miniere di rame, nazionalizzate, con la CIA e col governo di Nixon, le cui pressioni non furono mai nascoste, anche se non fu mai suffragato da prove concrete il loro diretto coinvolgimento. Il film si apre con uno spettacolino di terz'ordine che si svolge in un locale di Santiago piuttosto squallido e frequentato da uomini soli.
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Post Mortem racconta i tragici momenti del golpe militare che cancellò l'esperienza socialista di Salvador Allende in Cile nel settembre del 1973. La tensione sociale e politica, da tempo percepibile nel paese sudamericano, sfociò nell'assalto alla Moneda, residenza ufficiale del presidente cileno, da parte dei militari infedeli, che si schierarono con una parte dell'opinione pubblica ostile, ma soprattutto con i proprietari americani delle miniere di rame, nazionalizzate, con la CIA e col governo di Nixon, le cui pressioni non furono mai nascoste, anche se non fu mai suffragato da prove concrete il loro diretto coinvolgimento. Il film si apre con uno spettacolino di terz'ordine che si svolge in un locale di Santiago piuttosto squallido e frequentato da uomini soli. Fra questi, anche Mario Cordejo, grigio "funzionario", come ama definirsi: in realtà Mario trascrive, nell'obitorio della città, i verbali delle autopsie che vi si svolgono. Il motivo del suo interessarsi allo spettacolo è Nancy, ballerina non più giovanissima e troppo magra per quel pubblico. La donna abita di fronte a lui, che ne è invaghito e che vorrebbe sposarla, anche se lei sembra poco apprezzare tale prospettiva. Nella casa di lei si riuniscono alcuni sostenitori di Allende che, in condizioni sempre più difficili, cercano di elaborare proposte per aiutare il loro presidente. Il momento del golpe è descritto di qui: attraverso il fragore delle bombe che squassano l'abitazione di Nancy lasciandovi solo distruzione e macerie, mentre la donna sembra sparita. Mario, che è sotto la doccia, non sente il fracasso della distruzione, tuttavia si mette alla sua ricerca e la ritroverà. Per quanto riguarda il suo lavoro i cambiamenti sono immediatamente percepibili: il bagno di sangue spaventoso, in cui sembrerà affogare il Cile, fa aumentare mostruosamente il numero dei cadaveri che vengono posti in attesa di autopsia, poiché i militari cercano di accreditare per lo più la tesi del suicidio per molti dei morti, soprattutto se si tratta del cadavere "eccellente" di Allende. Alcune scene del film sono indimenticabili: l'emozione di Sandra e del Dottor Castillo (i due medici settori) di fronte alle spoglie di Allende, contro la burocratica impassibilità del "funzionario" che trascrive il referto; l'esasperazione di Sandra di fronte all'accumularsi dei corpi straziati; la sua consapevole morte per dignità (non saprei come definirla diversamente) e ancora l'indifferenza da ignavo di chi, riducendo in "carta" dolori e tragedie pensa che se la caverà. Non può tuttavia cavarsela a buon mercato: entrerà nella logica dei macellai e darà anche lui il suo contributo alla mattanza, in un finale agghiacciante in cui la normalizzazione del paese straziato troverà un'emblematica rappresentazione. Gran bel film, idealmente imparentato col precedente Tony Manero, dello stesso regista, che in entrambi i lavori, rappresenta l'ignavia di chi vuole ignorare, in vista esclusivamente del proprio vantaggio, il dolore e le sofferenze che gli stanno intorno e che perciò tenta di scavarsi una miserabile nicchia di tranquillità senza alcuno scrupolo di coscienza. Anche l'attore protagonista è lo stesso, il grande Alfredo Castro, perfetto in questo film, come nell'altro.
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