Dovrebbe essere più che evidente, a una persona razionale, il diritto di disporre della PROPRIA vita. Non riconosciuto (come del resto tanti altri) dalla nostra "civiltà" ancora molto barbarica e poco civile. Una civiltà rimasta abbarbicata a superstiz... pardon, fedi, che null'altro rispecchiano dal primitivo terrore per l'ignoto, che si cerca di vincere inventandosi una spiegazione (ovviamente indimostrabile, e perciò da "credere e basta") a ciò che non si conosce.
Certo: ognuno è libero di confortarsi come meglio crede. Ma è giusto IMPORRE tali forme di "consolazione" agli altri? Dovrebbe essere una domanda retorica. Tuttavia per la Santa Inquisizione non lo era. E non è stato, purtroppo, il solo né l'ultimo caso in cui è stato valicato il labile confine tra irrazionalità e prevaricazione: dal credere ciecamente, in maniera non logica e non motivata, in qualcosa, al pretendere d'imporlo con la forza, il passo è breve. Così, chi crede che un certo Dio (di cui non si conosce né il numero di telefono, né l'indirizzo -neanche di posta elettronica- né altro di documentato e dimostrabile) ci abbia assegnato questa vita come un compito da portare a termine, dal quale non si ha il diritto di esimersi, pretende che anche chi non ci crede debba essere sottoposto a questa regola. Qualcuno sa trovare, per definire ciò, parole diverse da "fondamentalismo" "fanatismo religioso" "talebani cattolici" (che, come quelli islamici, fondano la propria ottusa prepotenza sull'autorità statale)?
Nessuno nega che la convivenza sociale presupponga delle regole coercitive. Proprio questo distingue il barbaro, l'uomo-bestia, dall'uomo evoluto. Ma affinché sia davvero così, le regole devono rendere ogni individuo libero nella massima misura in cui può esserlo senza intaccare la libertà altrui. Si potrebbero fare, al riguardo, mille esempi, e da molti potrebbe venir fuori che tante regole vigenti non fanno altro, invece, che ampliare ingiustificatamente la "libertà" di alcuni, soffocando quella altrui (e naturalmente, una libertà sopraffatoria non merita questo nome, in quanto io godo una VERA libertà solo quando l'altro è altrettanto libero). Per restare in tema: partendo dal diritto alla vita -che costituisce una libertà inalienabile di tutti- a rigor di logica, appare evidente che, se il divieto di omicidio è giustamente volto a tutelare tale diritto (impedendo che uno impedisca ad altri di goderne), non altrettanto si può dire per il divieto di suicidio, atto con il quale uno non intacca la sfera di nessuno, viceversa tale divieto intacca la propria. Non c'è un vero diritto alla vita, se non comprende quello alla morte.
Il film meriterebbe 5 stelle per l'interesse del tema che tratta, e una per come lo tratta, in quanto non contiene alcuna coraggiosa critica contro il bigottismo confessionale delle attuali legislazioni. Anzi, finisce per dare l'impressione di condividere lo sdegno nei confronti del medico della clinica: degli abitanti del villaggio non si disapprovano le intenzioni, ma soltanto i metodi, cioè il fatto che essi attentino a loro volta alla vita (in tal caso altrui, non propria, ma tanto non fa differenza), di cui viene quindi ribadita, in sostanza, la sacralità intangibile, la non-liceità del disporne. A ciò contribuisce anche il tratteggio, piuttosto caricaturale, dei ricoverati, che naturalmente vengono dipinti come dei deviati, esaltati ecc. Come per far passare il messaggio che uno NON PUò, essendo perfettamente sano di mente, e senza avere alcun disturbo psichico (e perfino senza alcuna di quelle malattie terminali che sembrano condizione indispensabile per poter soltanto dibattere del diritto a farla finita), averle semplicemente piene della dura lotta quotidiana che è la vita, e perciò aver lucidamente e consapevolmente deciso di ritirarsene, senza con ciò nuocere a nessuno.
Mi piacerebbe, non tanto suicidarmi, quanto farmi ibernare, e ripassare tra alcuni secoli (facciamo millenni...) per vedere se nel frattempo l'umanità sarà uscita dalle grotte e avrà smesso di prostrarsi e pregare i fulmini, e sarà diventata un po' più razionale e "sapiens", smettendo di impedire ai propri simili di esercitare i propri più basilari diritti.
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