Da sessant’anni Manoel De Oliveira voleva realizzare questo film,sulla difficoltà dello stare al mondo, di rapportarsi con le cose “terrene”, le persone, gli avvenimenti e l’amore, tema costante nel suo cinema sperimentale, rigoroso, d’elite, il cinema “della vertigine” come è stato ribattezzato dalla critica.
Il film è contrassegnato da un’aurea metafisica,onirica,poetica sulle note di Chopin e le suggestioni pittoriche di Renoir e Chagall che in maniera raffinata contribuiscono alla perfetta resa della fotografia.
Isaac è un giovane fotografo di origine ebraica che,durante una notte viene svegliato e chiamato all’improvviso da un’importante famiglia del luogo per scattare delle foto alla loro figlia Angelica,morta pochi giorni dopo il suo matrimonio.Il giovane viene subito rapito dalla bellezza delicata ed eterea della ragazza, che,attraverso l’obiettivo fotografico, si sveglia e gli sorride. Isaac però in silenzio continua a fotografarla e poi scappa via, turbato. Ma da quel momento l’immagine della ragazza, il suo sorriso, lo tormentano continuamente tant’è che di notte, comincia ad apparirgli anche in sogno, come un fantasma,e confondendolo:”" Un'allucinazione? Era così realistica...Sarà l'ingresso nello spazio assoluto,di cui ho tanto sentito parlare?E che si dissolve....come il fumo di una sigaretta.Si,perchè questo incantesimo annulla tutte le angosce che mi perseguitano,O forse sono solo pazzo ? Mio Dio! Perchè tutto questo?"Isaac comincia a farsi mille domande e crede di sentirsi profondamente legato a quella ragazza,la cui bellezza è stata rubata dalla morte,lui, straniero in quella terra e guardato con sospetto e diffidenza dall’altra gente, soprattutto la donna che lo ospita nella sua pensione, senza sapere nulla delle sue inquietudini, angosce, tormenti malessere…Vorrebbe solo evadere, abbandonare la dimensione terrena, vuota e per lui senza senso e forse l’immagine di Angelica rappresenta un segno o meglio un punto di congiunzione tra realtà e sogno. Non è una visione forzata come in “fantasma d’amore”,dettata dal volere del protagonista di continuare a vedere dopo morta la sua amata(“Mi vedi perché tu mi hai chiamata”), Oliveira non pone l’accento solo sull’amore inteso come sentimento che può continuare anche con l’assenza materiale, fisica di un’altra persona,ma mette in rilievo l’importanza del pensiero che soccorre la memoria appannata,e sorregge le idee, la volontà; aiuta a superare la staticità della vita e ad avvicinarsi ad un’altra dimensione, all’immortalità,allo spirito. Anche per questo film il regista si avvale dell’uso composto della telecamera, cosi che le inquadrature risultino dilatate, composte, quasi immobili , come da sguardo sulla vita terrena e l’immortalità dell’anima, sul senso della storia, all’interno della quale, pur cambiando gli scenari e i protagonisti, l’uomo resta sempre sullo stesso punto, prigioniero dei mille interrogativi cosmici e non,dell’incapacità di spiegarli e dare valide risposte universali.L’unica via d’uscita sembra quella finestra sull’ignoto, la trascendenza, che, attraverso l’Amore e il suo Pensiero può portare l’uomo a sfiorarla, quantomeno, l’Amore come anticipazione di un aldilà,dell’infinito, dell’immortalità, in questo film rappresentato concretamente dalla bellissima e luminosa protagonista Pilar Lopez De Ayala, una sorta di Beatrice che salva il protagonista, invocando la morte come unica via di salvazione. Tutto senza la contaminazione a volte inutile didascalica e ripetitiva delle componenti filosofiche-religiose di parte sebbene le contenga tutte ma in modo placido.
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