laulilla
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martedì 20 aprile 2010
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voglia di mediocrità
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Trish vive in una piccola villa in Florida, dopo che il primo marito è finito in galera per pedofilia. La donna, ancora giovane e con tre figli, medita di risposarsi con Harvey, uomo senza qualità, pieno di adipe e di luoghi comuni, che proprio per questo le potrebbe dare la sicurezza a cui aspira con libidinoso trasporto. I tre figli hanno età diverse e problemi a iosa: la bimba si nutre di psicofarmaci più che di cibo e promette una anoressia coi fiocchi per il futuro; Billy, il più grande, va al liceo e finge di credere alla madre che gli dice che il padre è morto, mentre il piccolo Timmy si aggira nel giardino di casa meditando sul suo futuro, ma ancora privo dell'identità che solo il rito del bar-mitzvah gli conferirà.
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Trish vive in una piccola villa in Florida, dopo che il primo marito è finito in galera per pedofilia. La donna, ancora giovane e con tre figli, medita di risposarsi con Harvey, uomo senza qualità, pieno di adipe e di luoghi comuni, che proprio per questo le potrebbe dare la sicurezza a cui aspira con libidinoso trasporto. I tre figli hanno età diverse e problemi a iosa: la bimba si nutre di psicofarmaci più che di cibo e promette una anoressia coi fiocchi per il futuro; Billy, il più grande, va al liceo e finge di credere alla madre che gli dice che il padre è morto, mentre il piccolo Timmy si aggira nel giardino di casa meditando sul suo futuro, ma ancora privo dell'identità che solo il rito del bar-mitzvah gli conferirà. Il piccino apprende dai compagni di scuola la verità sul padre e apprende dalla madre che la morte del padre è stata inventata da lei per renderlo felice! Trish ha due sorelle, ognuna delle quali vive in una condizione di assoluto solipsismo: Joy continua a parlare con i due uomini che per causa sua si sono uccisi e che ora, come fantasmi assediano la sua mente e la sua coscienza; Helen, affermata come scrittrice, vive del suo successo, incurante delle ferite che le sue parole provocano in Joy. In questo tremendo ritratto di famiglia si colloca la guerra che Trish ha deciso, con l'aiuto di Harvey, di intraprendere contro il male. Apprendiamo da lei che diverse sono le facce con cui il Male può presentarsi a noi: la pedofilia, il terrorismo dei palestinesi, il suicidio dei kamikaze dell'11 settembre. Per sradicare dalle fondamenta il Male non solo ha scelto Harvey, ma ha scelto anche di schierarsi con Bush e ora con Mc Caine, nelle guerre contro il Male Assoluto, mentre personalmente e con l'aiuto di Harvey vorrebbe continuare la sua privata guerra per tenere il marito e il male lontano dai figli Nella sua pensosa ingenuità, Timmy, però, intuisce che il male e il bene sono strettamente connessi nei nostri cuori e che non possiamo dividere gli uomini in buoni e cattivi senza interrogarci sulle ragioni che li spingono a certe azioni. Il modo per uscire dall'angoscia è dunque, forse, il perdono, che deve essere dato cancellando il passato, laddove in famiglia si sente parlare di perdono, ma solo dopo la vendetta. Tutti, infatti agiscono in una dimensione di egoistica attenzione solo alle proprie sventure, e sono fondamentalmente incapaci di ascolto e di compassione. Il regista rappresenta con feroce ironia un mondo meschino, privo di slanci ideali, teso solo a conservare la propria mediocre tranquillità, in una solitudine sottolineata anche dalla demenzialità dei colloqui, in cui ciascuno parla grottescamente sempre e solo di sé. Così ho inteso anche il significato delle inopportune e imbarazzanti confidenze di Trish al piccolo Timmy.
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francesco2
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domenica 4 marzo 2012
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ossimori e coerenza
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Soffermandoci sul titolo italiano, sarebbe lecito pensare ad un taglio più autoconsolatorio rispetto ad altri film di Solondz. Specifico "Italiano", perché quello inglese è "Life during wartime": appare una scelta ben più in linea col passato dell'autore statunitense, vuoi perché manca una dimensione ottimistica, per quanto scaturita dal travaglio (Il perdono, appunto, ma vuoi anche (O soprattutto?) perché probabilmentela vita in tempo di guerra è un'espressione ossimorica, nonostante la dolcezza della musica della canzone omonima )Non ho modo di valutare il testo). Fuorché in un atteggiamento (iper)ottimista non si interpreti
anch'essa come un momento di travaglio: il che, casualmente(?), ci riporta al "Perdona e dimentica" scelto dai distributori italiani.
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Soffermandoci sul titolo italiano, sarebbe lecito pensare ad un taglio più autoconsolatorio rispetto ad altri film di Solondz. Specifico "Italiano", perché quello inglese è "Life during wartime": appare una scelta ben più in linea col passato dell'autore statunitense, vuoi perché manca una dimensione ottimistica, per quanto scaturita dal travaglio (Il perdono, appunto, ma vuoi anche (O soprattutto?) perché probabilmentela vita in tempo di guerra è un'espressione ossimorica, nonostante la dolcezza della musica della canzone omonima )Non ho modo di valutare il testo). Fuorché in un atteggiamento (iper)ottimista non si interpreti
anch'essa come un momento di travaglio: il che, casualmente(?), ci riporta al "Perdona e dimentica" scelto dai distributori italiani...
Insistendo sulla differenza che lo stesso regista puntualizza senza didatticismi alla fine del film (Quando mai, del resto, le grandi cose sono state didattiche?), ci rendiamo conto di come "Perdonare" e "Dimenticare" non siano necessariamente sinonimi l'uno dell'altro, o perlomeno di come non necessariamente uno dei due includa necessariamente l'altro. "Dimenticare", forse, oltre ad apparire un termine più laico di "Perdonare", presuppone un percorso per certi versi più ampio: ovvero, che qualcosa o qualcuno non incidano più nella nostra vita, AL DI LA'del superamento del rancore e del risentimento. Per altri versi, però, il perdono, oltre ad essere un passo necessario per "Dimenticare", include un superamento della legge del taglione, di una ricerca di un capro espiatorio (sixc!) su cui scaricare la rabbia per le ingiustizie subite, ecc.
Se questa interpretazione regge, bisogna valutare come si applichi ai protagonisti del film. Chi perdoni, per esempio, rischia paradossalmente di (non) scontrarsi (più) con chi non abbia dimenticato: si pensi al nero che maltrattava le donne, che riceve una telefonata volta alla riconciliazione (Il perdono, appunto), quando ormai per dimenticare è tardi. O anche a quando, alla fine della storia, si finge di perdonare torti mai subiti: per dimenticare qualcosa che non esiste, però, sarà troppo tardi. In quel momento alla realtà concreta (?) esaminata nel film si contrappone una dimensione fittizia, nello stesso modo in cui il presente sembrava qualcosa che perseguitava (Anche nel senso Spagnolo e Portoghese del termine "Perseguir", ovvero "Inseguire")i personaggi: il bambino, per esempio, nello scoprire la verità sul padre deve, dopo avere dimenticato qualcosa che non esisteva (Anche lui), cercare di perdonare; e poi, di dimenticare NUOVAMENTE. Perché oltre a capire il comportamento dei genitori, per quanto gli sia possibile, e quindi due tipi diversi di menzogna, deve dimenticare unar ealtà fittizia, raccontata (Solo?) per evitare vhe soffrisse, e sostituirla con la nuova realtà che avrà davanti a sé.
Alla luce (Almeno) di queste considerazioni, possiamo capire come bugia e verità (Sempre tassativamente separabili?) si rincorrano durante il film, come il passato
sembra non concedere respiro ai protagonisti (Il bamino che fugge, per esempio, con un'espressione arrabiatissima, pretendendo la verità dalla madre). E come anche il titolo italiano non (Cor)risponda ad una logica così stringente: come anche era "Illogico" "Happiness", perché la felicità è forse un'aspirazione più che un traguardo, e "Palindromi" è un'esplicitazione (Sin eccessiva) di come Solondz cerchi di ribellarsi ai concetti di Tempo, Luogo ed Azione.
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francesco gatti
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martedì 25 maggio 2010
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un leone solo sfiorato
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Il Woody Allen dell’indicibile ci ripropone (altri attori, e storia un po’ diversa) i protagonisti di “Happiness”, dieci anni dopo la confessione della passione pedofila dello psichiatra del New Jersey. Oggi li ritroviamo (in un mondo -anzi, diciamo in un’America- ancora in guerra) pure loro in guerra: la guerra interiore di tre sorelle, della loro mamma, e del loro entourage. C’è Trish, la moglie dello psichiatra Billy (in procinto di uscire di prigione), che si fa corteggiare dall’indesiderabile Harvey; c’è poi Helen, sceneggiatrice soffocata dal proprio successo planetario (in casa sua luccicano 4 golden globes: stoccata di nulla alla povera Academy); viene infine Joy, educatrice carceraria dall’indole passiva e lamentosa.
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Il Woody Allen dell’indicibile ci ripropone (altri attori, e storia un po’ diversa) i protagonisti di “Happiness”, dieci anni dopo la confessione della passione pedofila dello psichiatra del New Jersey. Oggi li ritroviamo (in un mondo -anzi, diciamo in un’America- ancora in guerra) pure loro in guerra: la guerra interiore di tre sorelle, della loro mamma, e del loro entourage. C’è Trish, la moglie dello psichiatra Billy (in procinto di uscire di prigione), che si fa corteggiare dall’indesiderabile Harvey; c’è poi Helen, sceneggiatrice soffocata dal proprio successo planetario (in casa sua luccicano 4 golden globes: stoccata di nulla alla povera Academy); viene infine Joy, educatrice carceraria dall’indole passiva e lamentosa. I figli di Trisha e Bill crescono come possono: la piccola Hemma è dipendente dagli ansiolitici; il povero Timmy cerca di dare un senso alla vita, ad ogni episodio della vita; il più grande Billy è scappato in Oregon per studiare e farsi un po’. Tra il freddo New Jersey e la Florida edonistica i personaggi sono in balìa dei risvolti iniqui e più tristi della loro normalità. Ma, e qui c’è il genio di Solondz, in questo schifo si riesce anche a ridere. Ce n’è per tutti: per gli ebrei, per i repubblicani, per i perbenisti, per il sistema carcerario, e anche per gli analisti informatici. Attori eccellenti, unico volto noto ai più Charlotte Rampling, in una parte un po’ deprimente.
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