pipay
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lunedì 6 giugno 2011
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la vita e il tempo
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Il film copre un arco temporale che va dalla morte di Stalin al periodo che precede e segue la cosiddetta "guerra fredda". Ma parte da questi ultimi anni, quando un regista arriva a Cinecittà per continuare un film che aveva lasciato in sospeso. Da qui, attraverso una serie di flash-back, si svolge un viaggio a ritroso nel tempo. Ed è proprio questo itinerario della memoria e dell'anima, che costituisce l'ossatura, ma anche la parte debole del film. Il tutto, infatti, è reso con un montaggio quasi caotico, con personaggi che appaiono e poi scompaiono per riapparire in contesti completamente diversi. Dalla Russia della metà degli anni Cinquanta alla Germania fine anni Ottanta, alla Roma dei nostri giorni.
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Il film copre un arco temporale che va dalla morte di Stalin al periodo che precede e segue la cosiddetta "guerra fredda". Ma parte da questi ultimi anni, quando un regista arriva a Cinecittà per continuare un film che aveva lasciato in sospeso. Da qui, attraverso una serie di flash-back, si svolge un viaggio a ritroso nel tempo. Ed è proprio questo itinerario della memoria e dell'anima, che costituisce l'ossatura, ma anche la parte debole del film. Il tutto, infatti, è reso con un montaggio quasi caotico, con personaggi che appaiono e poi scompaiono per riapparire in contesti completamente diversi. Dalla Russia della metà degli anni Cinquanta alla Germania fine anni Ottanta, alla Roma dei nostri giorni. Lo spettatore deve fare uno sforzo notevole per non perdere i punti di riferimento e per non lasciarsi sfuggire il bandolo della matassa. Sembra che il regista abbia voluto dare troppe cose per scontato, senza curarsi delle reazioni del pubblico, che dovrebbe godersi il film invece di fare sforzi notevoli per stare dietro alla storia. Peccato, perché se la vicenda fosse stata più lineare il film avrebbe meritato anche cinque stelle. Molto suggestive alcune scene con la nebbia, con la neve; efficaci le scene di massa; ottima l'interpretazione degli attori; ottima fotografia; regia impeccabile>; pertinente l'inserimento di filmati b/n di cinquanta anni fa. Un film d'atmosfera, di sentimenti, che fa riflettere sull'amicizia, sull'amore, sulla casualità della vita, sul destino, sulla gioia e sul dolore. Peccato che la struttura abbia in parte demolito il film.
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francesco2
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giovedì 9 giugno 2011
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fare storia (del o nel cinema?)
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Non avevo mai visto al cinema un film di Anghelopoulos. "Paesaggio nella nebbia" l'ho "Saltato" perché all'epoca avevo quindici anni, ed altre cose, che non sempre a Palermo è stato facile distribuire, a me comunque non interessavano più di tanto.
I suoi estimatori lo considerano un visionario del cinema, che in una (Ri)costruzione che attribuisce un senso anche ai tempi morti intesse un senso anche alla Storia; i detrattori, invece, un signore un pò trombone che imbastisce di didascalie poeticizzanti un cinema retorico-sentimentaloide, che riflette anche la presunzione "Autoriale" di chi lo fa.
Se vedendo pezi del "Paesaggio", nonché il pasticciato e pretenzioso "Passo sospeso della cicogna" mi verrebe da schierarmi anche coi secondi, qui il discorso mi appare in sospeso.
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Non avevo mai visto al cinema un film di Anghelopoulos. "Paesaggio nella nebbia" l'ho "Saltato" perché all'epoca avevo quindici anni, ed altre cose, che non sempre a Palermo è stato facile distribuire, a me comunque non interessavano più di tanto.
I suoi estimatori lo considerano un visionario del cinema, che in una (Ri)costruzione che attribuisce un senso anche ai tempi morti intesse un senso anche alla Storia; i detrattori, invece, un signore un pò trombone che imbastisce di didascalie poeticizzanti un cinema retorico-sentimentaloide, che riflette anche la presunzione "Autoriale" di chi lo fa.
Se vedendo pezi del "Paesaggio", nonché il pasticciato e pretenzioso "Passo sospeso della cicogna" mi verrebe da schierarmi anche coi secondi, qui il discorso mi appare in sospeso. Con un cast - Sarà un caso?- internazionale, in un'opera -Sarà un caso?_ coprodotta internazionalmente, Anghelopoulos riprende anche qui la Storia ed il Cinema (Inteso come film nel film), già presenti che io sappia nel discusso "Sguardo di Ulisse". Partire dal presente "Vero" fuso con la dimensione cinematografica incarnata da Defoe è un pretesto per un viaggio a ritroso, che attravwersa nazioni epoli differenti, e dove i genitori alla fine decidono di tornare a casa dal figlio Defoe. <non mancano situazioni -Credo- abbastanza caratteristiche del suo cinema, come la poetessa che vorrebbe un angelo con tre ali, e che a volte gli costano critiche (Proprio nello "Sguardo di Ulisse2 la stessa attrice incarnava tre personaggi).Le sue, comunque, oltre ad essere acrobazie temporali che lo accomunano in qualche modo al francese Bilier con "Merci à la vie!, hanno almeno in un ltro senso una DOPPIA valenza, dato che la storia del singolo, siano le vicissitudini vere e tragiche dei genitori in anni atroci, sia il gioco(?) allegro(?) ed inventato del cinema, vuole essere elevata a metafora del Tempo con la T maiuscola, non a caso forse citato nel titolo insieme alla polvere: una (Non) materia lieve e fastidiosa al tempo stesso, che ricorda la bellezza delle neve ma anche la tristezza di ciò che non torna più.
Ricollegandomi al paragone con Bilier, purtroppo ciò che lo accomuna al film citato sono una forma forse di presunzione nel collegare pezzi di presente e di passato, di verità e di finzione, sperando che ciò anziché generare disorganicità sia "Originale". La disorganicità poi, spiace dirlo, scade nel puro ridicolo quando il regista ci mostra Piccoli che torna in un luogo frequentato decine d'anni fa e riascolta le stesse disperate,voci di allora: ma forse non va benissimo anche quando l'omicidio di un giovane di allora vorrebbe simboleggiare -Credo-l'ingiustizia e la solitudine del mondo di oggi. Relativamente più convincente, semmai, potrebbe essere la scena in cui Eleni-La nipotina- non vuole uscire da un palazzo abitato da extracomunitari, forse non molto raccomandabili. Ancora un pò didascalico e plateale, qui ANghelopoulos sembra volerci comunicare l'incertezza che permea l'Europa odierna, con il suo desiderio -In parte giusto- di aprirsi ad altri popoli e costumi, ma che finisce per diventare una babele da cui però non sappiamo distaccarci.
In una delle più belle sequenze, uno dei protagonisti dice: "Siamo come mozziconi". Questo senso di "Lievità" manca però al regista, che nonostante un film più accettabile e commovente di altri, ha perso l'occasione di non passare per un amante delle didascalie pretenziose, pronto a riempire il proprio cinema con ogni idea che gli affiora.
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howlingfantod
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mercoledì 17 giugno 2015
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il faticoso incedere del tempo in un capolavoro
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Un film ad andamento lento, come i lunghi illuminanti piani sequenza del compianto maestro greco, un opera votata alla riflessione, alla ricerca di un tempo perduto che non è. Un film certamente Proustiano ed anche faticoso da seguire, pesante e relegato magari ad alcuni vecchi clichè cinematografici, in special modo quelli dello stesso regista, il film si snoda infatti su diversi piani narrativi, con salti e scarti temporali, con la professione di fede come nella scena iniziale davanti al cancello di Cinecittà che l’andare ed il narrare è sempre un eterno ritorno. Il film narra l’opera del figlio (Willem Dafoe) che tenta di ricostruire cinematograficamente la storia d’amore dei propri genitori, persi nel gran mondo della vita e della storia (il tempo) dalla seconda guerra mondiale passando per ricongiungimenti e separazioni, provvisorie e definitive, (la morte nel finale).
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Un film ad andamento lento, come i lunghi illuminanti piani sequenza del compianto maestro greco, un opera votata alla riflessione, alla ricerca di un tempo perduto che non è. Un film certamente Proustiano ed anche faticoso da seguire, pesante e relegato magari ad alcuni vecchi clichè cinematografici, in special modo quelli dello stesso regista, il film si snoda infatti su diversi piani narrativi, con salti e scarti temporali, con la professione di fede come nella scena iniziale davanti al cancello di Cinecittà che l’andare ed il narrare è sempre un eterno ritorno. Il film narra l’opera del figlio (Willem Dafoe) che tenta di ricostruire cinematograficamente la storia d’amore dei propri genitori, persi nel gran mondo della vita e della storia (il tempo) dalla seconda guerra mondiale passando per ricongiungimenti e separazioni, provvisorie e definitive, (la morte nel finale). Tanti temi, si affastellano, come tracce di ricordi e di esperienze , si sospettano anche accadute cose tremende, come nella scena dell’Ontario bar e i monologhi chissà se reali o immaginati con la lite ed i vetri rotti. C’è il film nel film, c’è la storia d ‘amore e soprattutto la storia d’amore in concorrenza, quella “ufficiale”e socialmente riconosciuta tra Eleni e Spyros (grande come sempre Michel Piccoli) e quella fra Eleni e Jacob. Sono tutte persone che s’incontrano e si separano proprio come sul proscenio della vita, con grande sapienza scenografica e resa teatrale il maestro greco sa rendere queste atmosfere, due scene su tutte quella dove Spyros suona il piano di spalle e arriva alla finestra Eleni che poi fugge e quella del figlio (Dafoe) in una strada trafficata che vede Helga dall’altro lato, si sono sfiorati, visti si sono persi…chissà se per sempre. Il tempo assorbe, lavora, da e riprende tutto, anche gli spazi, scene strazianti sul filo del ricordo, l’unica cosa che il tempo non può distruggere è l’arte che può condensare in forme eterne, come in un film, questo film, le forme passeggere dei ricordi, le emozioni e le vite passate e future. Film di una bellezza straziante come il tempo che passa e che tutto cancella e ricrea.
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