Non avevo mai visto al cinema un film di Anghelopoulos. "Paesaggio nella nebbia" l'ho "Saltato" perché all'epoca avevo quindici anni, ed altre cose, che non sempre a Palermo è stato facile distribuire, a me comunque non interessavano più di tanto.
I suoi estimatori lo considerano un visionario del cinema, che in una (Ri)costruzione che attribuisce un senso anche ai tempi morti intesse un senso anche alla Storia; i detrattori, invece, un signore un pò trombone che imbastisce di didascalie poeticizzanti un cinema retorico-sentimentaloide, che riflette anche la presunzione "Autoriale" di chi lo fa.
Se vedendo pezi del "Paesaggio", nonché il pasticciato e pretenzioso "Passo sospeso della cicogna" mi verrebe da schierarmi anche coi secondi, qui il discorso mi appare in sospeso. Con un cast - Sarà un caso?- internazionale, in un'opera -Sarà un caso?_ coprodotta internazionalmente, Anghelopoulos riprende anche qui la Storia ed il Cinema (Inteso come film nel film), già presenti che io sappia nel discusso "Sguardo di Ulisse". Partire dal presente "Vero" fuso con la dimensione cinematografica incarnata da Defoe è un pretesto per un viaggio a ritroso, che attravwersa nazioni epoli differenti, e dove i genitori alla fine decidono di tornare a casa dal figlio Defoe. <non mancano situazioni -Credo- abbastanza caratteristiche del suo cinema, come la poetessa che vorrebbe un angelo con tre ali, e che a volte gli costano critiche (Proprio nello "Sguardo di Ulisse2 la stessa attrice incarnava tre personaggi).Le sue, comunque, oltre ad essere acrobazie temporali che lo accomunano in qualche modo al francese Bilier con "Merci à la vie!, hanno almeno in un ltro senso una DOPPIA valenza, dato che la storia del singolo, siano le vicissitudini vere e tragiche dei genitori in anni atroci, sia il gioco(?) allegro(?) ed inventato del cinema, vuole essere elevata a metafora del Tempo con la T maiuscola, non a caso forse citato nel titolo insieme alla polvere: una (Non) materia lieve e fastidiosa al tempo stesso, che ricorda la bellezza delle neve ma anche la tristezza di ciò che non torna più.
Ricollegandomi al paragone con Bilier, purtroppo ciò che lo accomuna al film citato sono una forma forse di presunzione nel collegare pezzi di presente e di passato, di verità e di finzione, sperando che ciò anziché generare disorganicità sia "Originale". La disorganicità poi, spiace dirlo, scade nel puro ridicolo quando il regista ci mostra Piccoli che torna in un luogo frequentato decine d'anni fa e riascolta le stesse disperate,voci di allora: ma forse non va benissimo anche quando l'omicidio di un giovane di allora vorrebbe simboleggiare -Credo-l'ingiustizia e la solitudine del mondo di oggi. Relativamente più convincente, semmai, potrebbe essere la scena in cui Eleni-La nipotina- non vuole uscire da un palazzo abitato da extracomunitari, forse non molto raccomandabili. Ancora un pò didascalico e plateale, qui ANghelopoulos sembra volerci comunicare l'incertezza che permea l'Europa odierna, con il suo desiderio -In parte giusto- di aprirsi ad altri popoli e costumi, ma che finisce per diventare una babele da cui però non sappiamo distaccarci.
In una delle più belle sequenze, uno dei protagonisti dice: "Siamo come mozziconi". Questo senso di "Lievità" manca però al regista, che nonostante un film più accettabile e commovente di altri, ha perso l'occasione di non passare per un amante delle didascalie pretenziose, pronto a riempire il proprio cinema con ogni idea che gli affiora.
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